
In comune non hanno solo l’iniziale del cognome, ma anche l’estrema debolezza politica dei rispettivi governi: ieri mattina il neo cancelliere tedesco Friedrich Merz, il giorno dopo la clamorosa bocciatura al primo voto al Budestag, ha effettuato la prima visita di Stato a Parigi, dove ha incontrato il presidente francese Emmanuel Macron. Entrambi sono incalzati da partiti di destra cresciuti a dismisura e guidati da donne carismatiche, il Rassemblement National di Marine Le Pen e Alternative für Deutschland di Alice Weidel (due forze politiche che il sistema sta cercando di contrastare mettendole fuori legge, ricordiamo che la Le Pen è già ineleggibile dopo una condanna e Afd è stata definita pericolosa per la democrazia dai servizi segreti tedeschi): Macron e Merz cercano di stringere i bulloni dell’arrugginito asse franco-tedesco per rafforzare le rispettive posizioni interne e tentare di ridare vigore a quella che era una volta era l’egemonia di Parigi e Berlino in Europa. La storia però si ripete in farsa: Macron è a fine corsa, il governo francese non ha una maggioranza, la situazione è talmente instabile che l’inquilino dell’Eliseo aveva anche pensato a nuove elezioni; Merz ha capito subito che l’accordo Cdu-Csu/Spd è fragilissimo, che anche all’interno del suo partito lo terranno in ostaggio e che quindi dovrà contrattare di volta in volta i voti in Parlamento per far passare i provvedimenti. Sono finiti i tempi (2011) in cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy potevano far traballare un governo, in questo caso quello di Silvio Berlusconi, con una risatina in conferenza stampa: Merz e Macron hanno ben poco da ridere. In conferenza stampa, al di là dei buoni propositi di rito, del tipo «Insieme, facciamo progredire l’Europa» (Macron) e «L’Europa si trova davanti a enormi sfide potranno essere superate solo se Francia e Germania saranno più unite che in passato» (Merz), il punto chiave emerso dal vertice dell’Eliseo riguarda la Difesa: «Istituiremo un consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza», dice Macron, «che si riunirà regolarmente per fornire risposte operative alle nostre sfide strategiche comuni». Che significa? A una lettura superficiale, sembra l’annuncio di un ennesimo tavolo di partenariato tra due nazioni, ma qui siamo di fronte a ben altro: Francia e Germania hanno chiaramente l’intenzione di fare la parte del leone nell’operazione di riarmo dell’Europa annunciata da Ursula von der Leyen. Una manovra da 800 miliardi di euro, un gigantesco piano di investimenti destinati alle industrie del settore della Difesa, non intesa (si spera) solo come produzione di jet e carrarmati ma piuttosto come una iniezione di denaro nelle imprese dello spazio, della cyber sicurezza, delle infrastrutture, delle telecomunicazioni. La Germania è tra i 12 Paesi europei che hanno chiesto alla Commissione di attivare le deroghe sui vincoli del Patto di stabilità con la clausola nazionale di salvaguardia per aumentare le spese nella difesa (gli altri sono Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia); la Francia non lo ha fatto perché, come ha spiegato il ministro delle Finanze Éric Lombard, «non abbiamo il margine di manovra fiscale che ci consentirebbe di farlo» (il rapporto deficit/pil di Parigi è superiore al 6%). Detto ciò, i colossi del settore della Difesa francesi e tedeschi sono tra i più potenti del mondo, e i rispettivi sistemi industriali risultano tra i più pronti a una riconversione per la produzione di armamenti. L’idea che questo organismo congiunto di difesa e sicurezza altro non sia che una sorta di centrale per lo smistamento degli acquisti di sistemi di armamenti e di tutto ciò che ruota intorno al comparto verso le industrie tedesche e francesi è un sospetto più che fondato. La Francia tra l’altro è una potenza atomica, la Germania come ben sappiamo no, e quindi va sottolineata anche una affermazione netta di Merz sulla deterrenza nucleare: «Riconosco la necessità fondamentale», sottolinea Merz, «di discutere con la Francia e il Regno Unito su come continuare a fornire insieme una risposta deterrente di questo tipo in futuro».
Del resto, la parola Difesa si traduce sempre con la parola soldi: ieri a Bruxelles si è riunito il Consiglio atlantico della Nato per esaminare la proposta del segretario generale, Mark Rutte, sui nuovi target di spesa militare da concordare al vertice dei leader in programma a l’Aja a giugno. Gli Usa chiedono agli Stati membri di spendere per la Difesa il 5% del Pil, Rutte ha proposto una mediazione: il 3,5% per la difesa classica, carrarmati, missili, arerei e forze armate, e un altro 1,5% per i comparti più moderni, dalla cyber sicurezza al contrasto alla guerra ibrida. Si tratta di percentuali altissime, ma la variabile-tempo ancora non è stata definita: un discorso è impegnarsi a centrare l’obiettivo in 5 anni, altra prospettiva in 15.