2023-06-29
L’approccio della Meloni alla Cina: da Via della seta a Via dei mercanti
Obiettivo: mantenere solido il legame con gli Usa e tutelare i nostri interessi nazionali, a partire dai porti «Si può avere un ottimo rapporto con Pechino senza partnership strategica». Ma l’equazione è difficile.Un nemico accolto benissimo. Nella visita di tre giorni a Milano e Roma, Liu Jianchao, capo del dipartimento per le relazioni internazionali della Repubblica cinese, è stato accolto dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, dal vicepremier Antonio Tajani. Il primo in rappresentanza del Parlamento e il secondo del governo. Convegno a porte aperte assieme all’ambasciatore cinese in Italia e il fior fiore della Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Titolo del convegno: «La Cina dello scenario internazionale e la relazione Cina-Ue». Propedeutico al successivo incontro con il neo segretario del Pd, Elly Schlein, che - per il criterio è bene incontrare tutti - ha dedicato più di mezz’ora di tempo a Liu trattenendo però un solo concetto che è quello più distante dall’attuale linea del Paese e da quella del suo predecessore. In pratica, forse su suggerimento di D’Alema, ha riconosciuto a Pechino il ruolo di mediatore sulla guerra in Ucraina. «Al centro del confronto le sfide del multilateralismo e della transizione ecologica», si legge nella nota, Schlein ha auspicato «un ruolo della Cina nei confronti della Russia per porre fine all’invasione». Il grave è che al suo fianco c’era Peppe Provenzano, amante del modello Lula, e Enzo Amendola, un tempo colonna portante atlantista del Pd. Il tour di Liu è proseguito con Mario Boselli, presidente dell’Italy China council foundation, e con i deputati «Amici della Cina». Un po’ di ex comunisti e di grillini. In nessuno degli incontri è mai stato nominato il termine via della Seta, tanto meno l’accordo firmato da Giuseppe Conte e Sergio Mattarella nel marzo 2019 che impegna l’Italia a partecipare alla Belt and road initiave, il progetto infrastrutturale di ferrovie e porti che ripercorre il cammino di Marco Polo. Proprio l’aver evitato di citare il tema bollente significa che Liu ha voluto mandare un messaggio chiaro. L’Italia è sotto la lente d’ingrandimento di Pechino, che ha compreso il cambio di governo ma non sembra altrettanto disposta a perdere il vantaggio geopolitico che il governo Conte le ha concesso. Da notare che a partire dal governo Draghi il softpower cinese si è inabissato. Meno dichiarazioni e meno eventi, ma più sostegno diretto a iniziative finanziarie nei gangli del Paese. Ad esempio la Puglia dove, come Pechino sa bene, vige una politica estera diversa da quella di Roma. E quindi non è un caso se ieri, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in Aula per riferire sui temi caldi in vista del prossimo Consiglio Ue, ha tenuto a fare una ampia precisazione sul rapporto che ci lega alla Cina. Un messaggio certo destinato al Parlamento che sarà chiamato a dire di nuovo la sua sulla via della Seta, ma anche un messaggio agli Stati Uniti che attendono segnali concreti. «Sull’adesione dell’Italia alla nuova via della Seta, la discussione è in corso, c’è ancora tempo. È una questione da maneggiare con delicatezza e coinvolgendo il Parlamento», ha spiegato la Meloni. «Su questioni del genere non premerei per accelerare ma per trovare soluzioni le più valide possibili a difesa dell’interesse nazionale», ha aggiunto concludendo: «Credo che si possano avere ottime relazioni con la Cina senza per questo partecipare a un progetto e fare parte di un piano strategico. Peraltro noi siamo l’unica nazione europea all’interno della via della Seta ma non siamo quella che ha il maggiore ritorno nei rapporti con la Cina». Il riferimento è ai dati dell’import e dell’export e degli investimenti diretti. Nel corso degli ultimi 20 anni, il nostro Paese ha beneficiato di iniezioni di liquidità cinese per un valore vicino ai 16 miliardi di euro. Tanto quanto è toccato alla Francia, la metà della Germania e molto meno della Gran Bretagna che ha sfiorato gli 80 miliardi di investimenti. I picchi degli investimenti si sono segnati nel 2014, 2015 e 2016, quando da noi Franco Bassanini, allora in Cdp, e Matteo Renzi vendettero un terzo di Cdp Reti a China State Grid per l’importo di 2 miliardi. Una follia che ha già regalato ai cinesi 2,3 miliardi di dividendi. L’Italia, pur dentro la Belt and road initiave, non ha avuto alcun beneficio. Sul fronte export c’è stata una impennata rispetto al periodo pre Covid. Si è passati da circa 12 a oltre 16 miliardi. Mentre l’import di prodotti cinesi è passato dai 32 miliardi del 2020 ai 57 dello scorso anno. Insomma, di chi è maggior beneficio? Certamente, come ha spiegato ieri la Meloni, sarebbe un errore rompere i rapporti, ma non serve un memorandum per fare business. Per questo basta il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Pechino vuole che l’Italia resti nella via della Seta. Dopo la tecnologia cercherà il controllo delle infrastrutture. E quello dell’export era una sorta di contentino. Adesso la situazione cambia ma non sarà semplice da gestire. Il governo vuole sostituire la via della Seta con la via dei Mercanti. Probabilmente l’obiettivo è rinegoziare l’accordo prima di prendere decisioni strategiche. I porti sono lo snodo principale e sempre più elemento di sicurezza nazionale. Rispetto a qualche tempo fa le antenne sono tutte alzate ed è un buon segno. I partner di lunga durata devono essere dell’Alleanza atlantica è, a quanto ci risulta, l’input politico. E quindi revisione di tutte le partrneship con cinesi nei settori della mobilità, delle telecomunicazioni e delle reti in generale. Certo, resterà lo shipping, ma su banchine gestite da altri. Vedremo come accoglieranno le mosse.
Il vicepresidente americano J.D. Vance durante la visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme (Getty Images)
Roberto Cingolani, ad di Leonardo (Getty Images)
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)