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2023-08-25
Mancini in Arabia per 30 (milioni di) denari
Roberto Mancini (Ansa)
Quando un vaso di ceramica cade e si frantuma al suolo, diverse sono le reazioni possibili. Si può sfoderare l’arte del turpiloquio, fantasiosa e assai creativa dalle nostre parti anche grazie alle specialità linguistiche regionali. Oppure, se si ama il Giappone, si può provare col kintusgi: unire i pezzi rotti di un oggetto con l’oro, impreziosendone le cicatrici come tratto distintivo del tempo che passa e della ricchezza interiore acquisita. Vale come metafora. Pensiamo a Roberto Mancini. Il rapporto con la Figc, in queste settimane, si è interrotto per incomprensioni e scarsa duttilità dei vertici del calcio nostrano a gestire al meglio la controversia. Lui ha scelto di defilarsi, ma l’oro per abbellire le sue cicatrici esistenziali lo ha trovato eccome. Diciamola tutta. Il portafoglio di un commissario tecnico di una nazionale di calcio non è mai stato tanto pingue come oggi: l’accordo con la selezione dell’Arabia Saudita sta essere annunciato, i dettagli sarebbero stati limati. Il Mancio firmerebbe un contratto fino al 2026 da 25-30 milioni di euro netti all’anno. Uno sproposito. Le sirene arabe blandivano l’allenatore già da diversi mesi e hanno prevalso. Gabriele Gravina dovrebbe archiviare questa conclusione di telenovela fra le svariate onte per il pallone tricolore. Insomma, agli arabi si presentava un ventaglio di possibilità per sostituire Hervè Renard, ct francese capace di conquistare il cuore di Riad portando la nazionale ai scorsi Mondiali del Qatar e migliorandone le qualità fisico-tattiche con l’arguzia tecnica degli specialisti europei: c’erano molti nomi, c’era Mourinho, c’era anche Mancini. Ma alla fine hanno scelto proprio Mancini. In parole povere sono riusciti a scippare - termine grossolano, però rende l’idea - un allenatore dalla panchina della Nazionale quattro volte campione del mondo. Una figura niente affatto lusinghiera per noi. Il mister di Jesi ci ha messo del suo, si è sentito, ha detto, poco considerato, avrebbe visto i suoi più stretti collaboratori collocati altrove per far spazio a nomi a lui poco graditi. Ma, abbandonando gli azzurri con un’email da Mykonos, si è consolato alla svelta. Non sarà da solo nella nuova avventura, molti dei suoi pretoriani lo scorteranno. Si vocifera che nello staff arabo lo accompagni Lele Oriali, ex team manager dell’Italia, oltre al tattico Andrea Gagliardi e ai fedelissimi ex blucerchiati Salsano, Nuciari, Lombardo, non scordando Battara e Scanavino. Insomma, un’Arabia saudita al sapor di pasta al pomodoro, ben lieta di spendere i suoi danari ingaggiando la meglio italianità. Come Mancini risolverà la grana contrattuale con Gravina è da capire. Di certo il presidente federale italiano non ha usato parole al miele nei confronti del suo ex ct: «Avevamo un rapporto professionale e di amicizia, le sue affermazioni sono state offensive e inopportune, non me le meritavo. Quanto all’allontanamento del suo staff come motivazione del suo addio, posso dire che solo Evani era uscito. Ed era in Nazionale prima dell’arrivo di Roberto. Di recente gli avevamo rafforzato il gruppo con Barzagli e Gagliardi, nomi indicati da lui». Tra le righe, Gravina vorrebbe intendere: in verità, Mancini aveva già pianificato di andarsene. Nonostante, qualche giorno prima, il diretto interessato avesse sottolineato: «Se a Gravina fosse interessato tenermi sulla panchina degli azzurri, mi avrebbe chiamato». Resta il fatto che l’Italia fa una figura poco edificante agli occhi del mondo e pure la questione dell’ingaggio di Luciano Spalletti, nuovo ct, presenta criticità. La clausola rescissoria imposta da Aurelio De Laurentiis per lasciar libero l’ex allenatore del Napoli - circa 3 milioni di euro - è ancora motivo di contenzioso tra avvocati, la piazza partenopea pare parteggiare per il patron, considerando i termini dell’addio di Spalletti, tutt’ora alle prese con la controversia giuridica, poco chiari e poco onorevoli per la città campana, e a inizio settembre ci aspettano al varco le partite contro la Macedonia del Nord e l’Ucraina in vista della qualificazione a Euro 2024. Compagini non irresistibili, ma se si perde son dolori. Nel frattempo, Mancini dovrà mettere a punto il suo progetto mediorientale. Il campionato saudita sta accrescendo il potenziale a vista d’occhio, complice l’innesto progressivo dei più fecondi pedatori del mondo. L’obiettivo della monarchia araba è qualificarsi ai prossimi Mondiali, ma anche vincere la Coppa d’Asia in programma dal prossimo gennaio. Non accade dal 1996. Il primo impegno dei sauditi sarebbe pianificato l’8 settembre contro il Costa Rica, mentre quattro giorni dopo li attenderebbe un’altra amichevole con la Corea del Sud. A novembre toccherebbe alle qualificazioni ai Mondiali: gli arabi sarebbero nello stesso gruppo di Giordania, Tagikistan e una tra Cambogia e Pakistan. Nota di colore, la Cambogia è stata allenata dall’ex fantasista milanista e nipponico Keisuke Honda. Gli impegni agonistici però non attenueranno gli strascichi polemici destinati a condire il pallone nostrano ancora per un bel po’. E se, con tutti gli scongiuri del caso, l’esordio di Spalletti non risultasse così convincente come da auspici, ecco che Lawrence d’Arabia, pardòn, Mancio d’Arabia, dagli impianti iper tecnologici del deserto, accarezzerebbe il suo portafoglio avvertendo un brivido di adrenalina.
Il giovane Veiga sceglie il deserto e innesca le critiche fra calciatori
Gabri Veiga, spagnolo, classe 2002, sta per diventare un nuovo giocatore dell’Al-Ahli. Non è una notizia di poco conto: il gioiellino del Celta Vigo è considerato tra i centrocampisti più promettenti della sua generazione, molte società gli avevano messo gli occhi addosso. Ma il baby fenomeno ha scelto l’offerta più remunerativa: contratto fino al 2027, 12,5 milioni di euro a stagione. Nelle casse del Celta verranno versati 40 milioni. L’atleta troverà, tra i nuovi compagni di squadra, Frack Kessiè, Firmino, il turco Demiral, ex Atalanta e Juventus. Il Napoli resta beffato: l’affare stava per andare in porto per i partenopei che avevano offerto 36 milioni al club spagnolo e 2,2 milioni netti a stagione al calciatore. Non è bastato. «In verità, De Laurentiis e i suoi dirigenti non hanno voluto pagare la clausola rescissoria», spiega Pini Zahavi, agente di Gabri Veiga, interpellato nel programma radiofonico iberico El Partidazo de Cope. Questa sarebbe una delle ragioni per cui l’accordo con i napoletani sarebbe saltato. Ma la causa vera sarebbe ben più succosa: il giocatore avrebbe optato per lo stipendio più cospicuo. Questo la dice lunga sulla gittata progettuale dell’ormai ricchissima lega saudita. Oltre ai totem CR7 e Neymar, fenomeni che fanno colore, elargiscono prestigio e somigliano ai funamboli in un circo, insomma, sono gli elementi indispensabili per valorizzare lo spettacolo di un campionato, ingaggiare un giovincello di belle speranze e tanto talento come Gabri Veiga significa dar sostanza a un orizzonte lungo. Stessa cosa si può dire per l’ingaggio di Milinkovic Savic, 28 anni, o per Ruben Neves, 26, entrambi accasati a Riad. Il campionato arabo sta diventando un’attrazione mondiale in grado di far sbocciare piante feconde nei prossimi anni, garantendo - e ciò è una delle finalità principali della monarchia - sviluppo ai giocatori di casa. Carlo Ancelotti ha commentato: «Il dato di fatto è che l’Arabia Saudita offre più soldi del calcio europeo. È chiaro che magari si dovranno assumere decisioni consone a bilanciare il mercato». Ma intanto le cose stanno così. Con buona pace di Toni Kroos. Il campione trentatreenne ha scritto sui social: «Scelta imbarazzante», riferendosi alla decisione di Gabri Veiga. Dimenticando però che il calcio di oggi non è più quello dei suoi tempi, quando i blasoni europei, dal Milan al Bayern Monaco, dal Real Madrid al Barcellona, spadroneggiavano finanziariamente e sul piano agonistico. Oggi, con atteggiamenti un po’ medieval-feudali e introducendo stravolgimenti mai visti prima, le offerte migliori arrivano dal medioriente. Prima con l’acquisto di società come il Psg, il Manchester City e lo United da parte dei qatarini. Dopo con lo sviluppo del torneo saudita. Gabri Veiga, giovanissimo, ha fatto ciò che farebbe qualsiasi lavoratore in qualsiasi ambito. Ha selezionato la prospettiva più edificante per sé e per la sua famiglia. Magari pianificando di restare in Arabia per qualche anno, sistemare le generazioni a venire che porteranno il suo nome e, perché no, tornare nella vecchia Europa. forse al Real Madrid, se il suo talento fosse confermato.
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L’ex tecnico azzurro pronto ad allenare la nazionale saudita in cambio di un triennale da capogiro. Dovrebbe aver con sé gran parte dei membri dello staff costati la rottura con Gabriele Gravina. Figuraccia per la Figc: ci siamo fatti scippare il selezionatore. Niente Napoli per l’iberico di 21 anni, Gabri Veiga: all’Al-Ahli prenderà il quintuplo. Toni Kroos lo irride.Lo speciale contiene due articoli. Quando un vaso di ceramica cade e si frantuma al suolo, diverse sono le reazioni possibili. Si può sfoderare l’arte del turpiloquio, fantasiosa e assai creativa dalle nostre parti anche grazie alle specialità linguistiche regionali. Oppure, se si ama il Giappone, si può provare col kintusgi: unire i pezzi rotti di un oggetto con l’oro, impreziosendone le cicatrici come tratto distintivo del tempo che passa e della ricchezza interiore acquisita. Vale come metafora. Pensiamo a Roberto Mancini. Il rapporto con la Figc, in queste settimane, si è interrotto per incomprensioni e scarsa duttilità dei vertici del calcio nostrano a gestire al meglio la controversia. Lui ha scelto di defilarsi, ma l’oro per abbellire le sue cicatrici esistenziali lo ha trovato eccome. Diciamola tutta. Il portafoglio di un commissario tecnico di una nazionale di calcio non è mai stato tanto pingue come oggi: l’accordo con la selezione dell’Arabia Saudita sta essere annunciato, i dettagli sarebbero stati limati. Il Mancio firmerebbe un contratto fino al 2026 da 25-30 milioni di euro netti all’anno. Uno sproposito. Le sirene arabe blandivano l’allenatore già da diversi mesi e hanno prevalso. Gabriele Gravina dovrebbe archiviare questa conclusione di telenovela fra le svariate onte per il pallone tricolore. Insomma, agli arabi si presentava un ventaglio di possibilità per sostituire Hervè Renard, ct francese capace di conquistare il cuore di Riad portando la nazionale ai scorsi Mondiali del Qatar e migliorandone le qualità fisico-tattiche con l’arguzia tecnica degli specialisti europei: c’erano molti nomi, c’era Mourinho, c’era anche Mancini. Ma alla fine hanno scelto proprio Mancini. In parole povere sono riusciti a scippare - termine grossolano, però rende l’idea - un allenatore dalla panchina della Nazionale quattro volte campione del mondo. Una figura niente affatto lusinghiera per noi. Il mister di Jesi ci ha messo del suo, si è sentito, ha detto, poco considerato, avrebbe visto i suoi più stretti collaboratori collocati altrove per far spazio a nomi a lui poco graditi. Ma, abbandonando gli azzurri con un’email da Mykonos, si è consolato alla svelta. Non sarà da solo nella nuova avventura, molti dei suoi pretoriani lo scorteranno. Si vocifera che nello staff arabo lo accompagni Lele Oriali, ex team manager dell’Italia, oltre al tattico Andrea Gagliardi e ai fedelissimi ex blucerchiati Salsano, Nuciari, Lombardo, non scordando Battara e Scanavino. Insomma, un’Arabia saudita al sapor di pasta al pomodoro, ben lieta di spendere i suoi danari ingaggiando la meglio italianità. Come Mancini risolverà la grana contrattuale con Gravina è da capire. Di certo il presidente federale italiano non ha usato parole al miele nei confronti del suo ex ct: «Avevamo un rapporto professionale e di amicizia, le sue affermazioni sono state offensive e inopportune, non me le meritavo. Quanto all’allontanamento del suo staff come motivazione del suo addio, posso dire che solo Evani era uscito. Ed era in Nazionale prima dell’arrivo di Roberto. Di recente gli avevamo rafforzato il gruppo con Barzagli e Gagliardi, nomi indicati da lui». Tra le righe, Gravina vorrebbe intendere: in verità, Mancini aveva già pianificato di andarsene. Nonostante, qualche giorno prima, il diretto interessato avesse sottolineato: «Se a Gravina fosse interessato tenermi sulla panchina degli azzurri, mi avrebbe chiamato». Resta il fatto che l’Italia fa una figura poco edificante agli occhi del mondo e pure la questione dell’ingaggio di Luciano Spalletti, nuovo ct, presenta criticità. La clausola rescissoria imposta da Aurelio De Laurentiis per lasciar libero l’ex allenatore del Napoli - circa 3 milioni di euro - è ancora motivo di contenzioso tra avvocati, la piazza partenopea pare parteggiare per il patron, considerando i termini dell’addio di Spalletti, tutt’ora alle prese con la controversia giuridica, poco chiari e poco onorevoli per la città campana, e a inizio settembre ci aspettano al varco le partite contro la Macedonia del Nord e l’Ucraina in vista della qualificazione a Euro 2024. Compagini non irresistibili, ma se si perde son dolori. Nel frattempo, Mancini dovrà mettere a punto il suo progetto mediorientale. Il campionato saudita sta accrescendo il potenziale a vista d’occhio, complice l’innesto progressivo dei più fecondi pedatori del mondo. L’obiettivo della monarchia araba è qualificarsi ai prossimi Mondiali, ma anche vincere la Coppa d’Asia in programma dal prossimo gennaio. Non accade dal 1996. Il primo impegno dei sauditi sarebbe pianificato l’8 settembre contro il Costa Rica, mentre quattro giorni dopo li attenderebbe un’altra amichevole con la Corea del Sud. A novembre toccherebbe alle qualificazioni ai Mondiali: gli arabi sarebbero nello stesso gruppo di Giordania, Tagikistan e una tra Cambogia e Pakistan. Nota di colore, la Cambogia è stata allenata dall’ex fantasista milanista e nipponico Keisuke Honda. Gli impegni agonistici però non attenueranno gli strascichi polemici destinati a condire il pallone nostrano ancora per un bel po’. E se, con tutti gli scongiuri del caso, l’esordio di Spalletti non risultasse così convincente come da auspici, ecco che Lawrence d’Arabia, pardòn, Mancio d’Arabia, dagli impianti iper tecnologici del deserto, accarezzerebbe il suo portafoglio avvertendo un brivido di adrenalina. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mancini-in-arabia-30-milioni-2664400114.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-giovane-veiga-sceglie-il-deserto-e-innesca-le-critiche-fra-calciatori" data-post-id="2664400114" data-published-at="1692967282" data-use-pagination="False"> Il giovane Veiga sceglie il deserto e innesca le critiche fra calciatori Gabri Veiga, spagnolo, classe 2002, sta per diventare un nuovo giocatore dell’Al-Ahli. Non è una notizia di poco conto: il gioiellino del Celta Vigo è considerato tra i centrocampisti più promettenti della sua generazione, molte società gli avevano messo gli occhi addosso. Ma il baby fenomeno ha scelto l’offerta più remunerativa: contratto fino al 2027, 12,5 milioni di euro a stagione. Nelle casse del Celta verranno versati 40 milioni. L’atleta troverà, tra i nuovi compagni di squadra, Frack Kessiè, Firmino, il turco Demiral, ex Atalanta e Juventus. Il Napoli resta beffato: l’affare stava per andare in porto per i partenopei che avevano offerto 36 milioni al club spagnolo e 2,2 milioni netti a stagione al calciatore. Non è bastato. «In verità, De Laurentiis e i suoi dirigenti non hanno voluto pagare la clausola rescissoria», spiega Pini Zahavi, agente di Gabri Veiga, interpellato nel programma radiofonico iberico El Partidazo de Cope. Questa sarebbe una delle ragioni per cui l’accordo con i napoletani sarebbe saltato. Ma la causa vera sarebbe ben più succosa: il giocatore avrebbe optato per lo stipendio più cospicuo. Questo la dice lunga sulla gittata progettuale dell’ormai ricchissima lega saudita. Oltre ai totem CR7 e Neymar, fenomeni che fanno colore, elargiscono prestigio e somigliano ai funamboli in un circo, insomma, sono gli elementi indispensabili per valorizzare lo spettacolo di un campionato, ingaggiare un giovincello di belle speranze e tanto talento come Gabri Veiga significa dar sostanza a un orizzonte lungo. Stessa cosa si può dire per l’ingaggio di Milinkovic Savic, 28 anni, o per Ruben Neves, 26, entrambi accasati a Riad. Il campionato arabo sta diventando un’attrazione mondiale in grado di far sbocciare piante feconde nei prossimi anni, garantendo - e ciò è una delle finalità principali della monarchia - sviluppo ai giocatori di casa. Carlo Ancelotti ha commentato: «Il dato di fatto è che l’Arabia Saudita offre più soldi del calcio europeo. È chiaro che magari si dovranno assumere decisioni consone a bilanciare il mercato». Ma intanto le cose stanno così. Con buona pace di Toni Kroos. Il campione trentatreenne ha scritto sui social: «Scelta imbarazzante», riferendosi alla decisione di Gabri Veiga. Dimenticando però che il calcio di oggi non è più quello dei suoi tempi, quando i blasoni europei, dal Milan al Bayern Monaco, dal Real Madrid al Barcellona, spadroneggiavano finanziariamente e sul piano agonistico. Oggi, con atteggiamenti un po’ medieval-feudali e introducendo stravolgimenti mai visti prima, le offerte migliori arrivano dal medioriente. Prima con l’acquisto di società come il Psg, il Manchester City e lo United da parte dei qatarini. Dopo con lo sviluppo del torneo saudita. Gabri Veiga, giovanissimo, ha fatto ciò che farebbe qualsiasi lavoratore in qualsiasi ambito. Ha selezionato la prospettiva più edificante per sé e per la sua famiglia. Magari pianificando di restare in Arabia per qualche anno, sistemare le generazioni a venire che porteranno il suo nome e, perché no, tornare nella vecchia Europa. forse al Real Madrid, se il suo talento fosse confermato.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità