2019-07-22
Le mani dei clan africani dietro i traffici dalla Libia
Le indagini svolte in tutto il Paese dimostrano che le gang nigeriane sono sempre più pericolose: controllano smercio di droga e prostituzione sfruttando i clandestini sbarcati. Con il rischio che si infiltrino estremisti islamici.La tratta è organizzata dall'Italia con reti di complicità che arrivano nei villaggi. Le Ong nel Mediterraneo di fatto fungono da ponte. Nei centri d'accoglienza operano le cosche.Lo speciale contiene due articoliQuando scendono dal barcone o dalla nave che li ha portati in Italia sono ancora convinti che troveranno un buon lavoro per migliorare la loro condizione economica. E anche quando l'organizzazione criminale che li ha presi in carico gli organizza la fuga dal centro d'accoglienza, non hanno idea di quale sarà la loro fine. La realtà, cruda, gli verrà sbattuta in faccia poco dopo. Quando con un rito voodoo verrà tolta la libertà alle donne e con un rito tribale di affiliazione gli uomini giureranno fedeltà al gruppo mafioso di riferimento. Non lo dimostrano soltanto i recenti arresti a Parma e Torino. La mafia nigeriana è presente in tutta Italia e ha scalato le classifiche della mala fino a piazzarsi in modo stabile proprio dietro le cosche tradizionali. Gli esperti dell'antimafia ritengono che dopo Cosa nostra, dopo la 'ndrangheta, dopo la camorra e la Sacra corona unita si collochi, per pericolosità e ramificazione, la mala nigeriana.L'allarme della diaOra questo concetto è consacrato anche nell'ultima relazione della Direzione investigativa antimafia che ai mafiosi nigeriani dedica un capitolo a sé. Sottolineando che non va sottovalutata anche la contaminazione da parte di espressioni estremiste filo islamiche presenti in Nigeria dove Boko Haram continua a diffondersi. Ed è dalla Nigeria che comincia tutto. Lì recluta la mala nigeriana. Sa come far arrivare in Italia i clandestini. E poi li mette a lavorare. Le ragazze sul marciapiede, gli uomini a spacciare droga. L'allarme lo lanciò già nel 2017 un magistrato di sinistra, che ora fa il parlamentare europeo nei banchi del Partito democratico. Si chiama Franco Roberti, era il procuratore nazionale antimafia, e usò queste parole nell'ultima relazione che inviò al parlamento. «Non va sottovalutato che il costante arrivo di cittadini stranieri nel nostro Paese, sia comunitari sia extracomunitari (anche irregolari), rappresenta un ricco bacino di ingaggio da parte di organizzazioni criminali». Ma è il passaggio successivo a non lasciare dubbi su quella che già due anni fa era un'emergenza: «Tale fenomeno, aggravato spesso dall'incapacità di garantire idonee forme di integrazione sociale, contribuisce al consolidamento di strati di popolazione di immigrati residenti con reddito bassissimo, preda degli appetiti dei sodalizi criminali etnici e locali». E quindi, chi non è arrivato in Italia già affiliato, si è dato alla mala quando è rimasto a secco. Nel 2017 il dato più allarmante registrato con riferimento all'immigrazione clandestina era già rappresentato dallo sfruttamento della prostituzione. È ancora una volta Roberti a spiegare come funziona: «Le ragazze nigeriane, reclutate nella loro nazione di origine con la promessa di un posto di lavoro in Italia, sono di fatto ridotte in schiavitù, approfittando anche della situazione di vulnerabilità psicologica determinata dalla celebrazione di un rito voodoo come garanzia». Le cose, a causa anche di vecchie sottovalutazioni, sono man mano peggiorate. E l'Italia si è svegliata, come ha più volte denunciato La Verità, con i tentacoli della mala africana in tutto lo Stivale. Lo dimostrano le inchieste che colpiscono quest'ultima fase del ciclo migratorio. E allora, il 9 luglio a Parma, nel quartiere Oltretorrente, i cittadini si sono svegliati mentre era in corso l'operazione Hope and destiny. I nigeriani reclutavano dall'Italia ragazze in Nigeria con la promessa di un lavoro stabile, organizzavano il loro viaggio verso l'Europa anche tramite centri di smistamento in Libia e poi, una volta in Emilia, riuscivano a ridurle in schiavitù avviandole alla prostituzione.Indagini fotocopiaLe inchieste giudiziarie sono l'una la fotocopia dell'altra. A dimostrazione che la mafia africana è presente in tutta la penisola. Basta andare a ritroso di qualche mese per accorgersene. Il 13 giugno è Palermo a svegliarsi tra le sirene della guardia di finanza. Gli investigatori ricostruiscono che le giovani nigeriane, fatte salire sui barconi dopo macabri riti voodoo, promettevano di restituire i 30.000 euro anticipati dalla gang per il viaggio della speranza. Contavano di farlo con il loro nuovo lavoro. E tra le lacrime, alla fine, sono state costrette a prostituirsi sui marciapiedi del Foro Italico, alla Favorita, in corso Tukory. I carabinieri del nucleo investigativo, coordinati dalla procura di Torino, hanno sgominato un'organizzazione criminale internazionale tutta al femminile specializzata nella tratta di giovani nigeriane destinate alla prostituzione. Qualche volta, addirittura, come ha scoperto la Procura di Torino lo scorso aprile, l'organizzazione criminale era tutta al femminile. Le maman le intercettavano una volta arrivate nei centri di accoglienza. Spiega il procuratore aggiunto Paolo Borgna: «Intorno ai centri di accoglienza vi è un brulicare di attività criminali. Una volta arrivate sul territorio nazionale, le donne erano accolte nei centri del Piemonte e lì venivano recuperate da ragazzi che si presentavano come cugini o fidanzati». A marzo, invece, a Caserta gli investigatori hanno scoperto che gli arrestati avevano agito «con altri soggetti allo stato non identificati in Nigeria e in Libia». La Procura spiega bene che le nigeriane non scappavano dalla guerra, ma che la realtà era ben altra: erano finite nel traffico di esseri umani. E, infatti, ecco l'accusa: «Tratta di persone, reato pluriaggravato dalla transnazionalità e dall'aver agito in danno di minori, esponendo le persone offese a un grave pericolo per la vita e l'integrità fisica». Stesso copione a Messina. Gli arresti risalgono al 25 gennaio. Tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione. Il procuratore aggiunto Giovanna Scaminiaci spiega: «Le indagini sono partite dalla segnalazione di un'operatrice di un centro di accoglienza e hanno portato alla scoperta di un vero e proprio triangolo: Nigeria, Libia, Italia». Le vittime erano ragazzine di 14 anni che, una volta in Italia, venivano accolte da una madame. E anche in questo caso gli ingredienti sono sempre gli stessi: il reclutamento in Nigeria, il passaggio in Libia, l'arrivo in Italia in un centro di accoglienza e poi i marciapiedi.Anche gli uomini finiscono per strada, ma a spacciare droga. Sono ancora una volta le inchieste giudiziarie a raccontarcelo. E anche in questo caso ci sono i centri d'accoglienza di mezzo. Il Cara di Mineo, per esempio, prima che Matteo Salvini lo facesse smantellare, si scoprì che era un covo di pusher nigeriani che agivano indisturbati nell'attesa del loro permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Tutti arrivati con i barconi. Come a Firenze: i pusher della banda che aveva in mano i giardini della Fortezza da Basso vivevano tutti nei Cas, i centri di accoglienza straordinaria, dove nei loro alloggi è saltata fuori la droga durante le perquisizioni.Mantenuti dallo statoA Potenza c'era chi spacciava davanti alle scuole e chi aveva scelto il centro storico per le sue attività delinquenziali. Dopo il blitz si è scoperto che i nigeriani erano tutti residenti negli Sprar della città, mantenuti dallo Stato. E anche a Roma uno Sprar sulla Prenestina era diventato l'interporto della droga. Nel marzo scorso un albanese è stato beccato mentre faceva entrare nel centro quattro chili di marijuana. I nigeriani, poi, avrebbero dovuto smerciarla al dettaglio in città: anche in questo caso da migrante richiedente asilo a pusher il passo è stato breve. Ma basta digitare su Google le parole droga e Sprar per capire che il fenomeno è endemico e che l'Italia è infetta. I finti profughi sono sempre più creativi. A Pesaro, ad esempio, un finto profugo del Gambia aveva nascosto la droga su un albero, sperando che i cani non la fiutassero. Ma gli è andata male. A Ragusa, un nigeriano richiedente asilo si era trasformato in un corriere della droga e aveva nascosto mezzo chilo di stupefacenti tra le spigole che doveva consegnare. A Caltanissetta, nell'alloggio di una nigeriana la guardia di finanza ha trovato due chili di hashish nel cestello della lavatrice. Ad Amantea, in Calabria, è ancora una volta un richiedente asilo nigeriano il protagonista della cronaca locale. Trasportava marijuana in grossi sacchi di farina. A Castel Volturno, città in mano alla mafia africana, tre nigeriani clandestini avevano nascosto eroina, cocaina e sostanza per tagliarla nella gabbia in cui facevano vivere dei conigli. A Rieti, invece, il solito nigeriano, questa volta con tanto di permesso di soggiorno nel portafogli, nascondeva la droga nella spazzatura di casa sua. E anche di casi come questo la cronaca è zeppa.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mafia-nera-le-mani-dei-clan-africani-dietro-i-traffici-dalla-libia-2639294327.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="patto-tra-schiavisti-e-scafisti-per-importare-criminalita" data-post-id="2639294327" data-published-at="1757959077" data-use-pagination="False"> Patto tra schiavisti e scafisti per importare criminalità Nigeriana, 17 anni, picchiata, violentata e sbattuta sulla strada. Arrivata a Parma è riuscita a fuggire dai suoi aguzzini, ha fermato per strada una pattuglia della municipale e ha raccontato tutto. Di come era stata avvicinata nel suo villaggio da una donna che le prometteva un lavoro in Europa, del suo viaggio in mano ai trafficanti tra Niger e Libia, dell'inferno nella connection house prima di essere imbarcata. E poi del barcone stracarico che faceva acqua, dell'allarme, dei soccorsi della Ong, dello sbarco in Italia. E, infine, del centro di accoglienza da cui è stata prelevata a pochi giorni dal suo arrivo dai referenti locali della banda criminale che l'aveva convinta a partire, che le hanno ritirato i documenti e minacciando di uccidere la sua famiglia l'hanno costretta a prostituirsi. Questa ragazza che ha trovato il coraggio di chiedere aiuto ha portato a sgominare una banda di nigeriani che agiva in Emilia Romagna facendo arrestare, all'inizio del mese, 9 persone tra Parma e Bologna. La sua storia dimostra due cose. La prima è che le vittime, volendo, possono uscire anche dal più terribile dei gironi infernali. La seconda è che la guerra, con gli sbarchi dei clandestini, nella maggior parte dei casi non ha nulla a che fare. Anzi, il circuito dei profughi viene usato dai trafficanti di uomini per fare i propri comodi con la merce umana. Le Ong fanno da taxi e i centri di accoglienza vengono usati come hotel. Lo dimostra anche la vicenda di Messina. Cinque nigeriani sono finiti in carcere per aver fatto entrare in Italia giovanissimi connazionali, maschi e femmine, da avviare alla criminalità. Li obbligavano a lavorare per loro con botte, minacce e riti di magia nera, lasciandoli comodamente alloggiati in un centro di accoglienza. L'inchiesta era partita dopo la segnalazione di una operatrice che si era accorta di un gruppo di giovanissime ospiti vestite in maniera vistosa, con abiti griffati, scarpe alla moda e gioielli. Venivano regolarmente prelevate dal centro e accompagnate a prostituirsi per poi essere riportate dentro dalla rete di criminale che ne gestiva l'attività. Come funziona Il reclutamento dei potenziali clandestini da parte delle organizzazioni criminali comincia nei villaggi, spesso a opera di donne che conquistano la fiducia delle famiglie e promettono ai giovani un futuro migliore. Nel 2017 la Quilliam Foundation di Londra ha svelato che in molti casi a reclutare i profughi che finiscono poi in Italia è lo Stato islamico, pronto a pagare «ai migranti minorenni il costo del viaggio» se questi promettono «di aderire al jihad». Ma anche senza scomodare il Califfato, è pronta a organizzare i viaggi la mafia nigeriana, già padrona di importanti fette di mercato sul fronte droga e prostituzione e in stretto contatto con le organizzazioni malavitose di casa nostra per importare manovalanza criminale. «La mafia nigeriana ha preso piede nel Sud dell'Italia a fianco della mafia siciliana, con la quale ha collaborato in posizione di subordinazione»: dal mercato della prostituzione «si sono spostati a quello della droga e del traffico di esseri umani, sotto il controllo di Cosa Nostra e della Camorra». Così scriveva lo scorso gennaio Vincenzo Musacchio, presidente dell'Osservatorio antimafia del Molise alla luce dei risultati di una indagine che aveva provato l'esistenza di un fiorente mercato di «ragazze acquistate da famiglie povere», trasportate come clandestine in Italia e poi costrette a prostituirsi «ricorrendo anche a riti tribali tra cui il cannibalismo». La traversata «I migranti morti nel Sahara sono probabilmente il doppio del totale delle vittime del Mediterraneo», spiegano i giornalisti Tom Miles e Stephanie Nebehay, dell'agenzia Reuters, in un articolo che illustra il viaggio attraverso l'Africa dei futuri clandestini. Le rotte le decidono i trafficanti di uomini che prelevano e poi scortano la merce attraverso rotte prestabilite e controllate. Per esempio, «dal Niger partono due rotte per la Libia: una più vicina al Ciad, abitualmente usata dai trafficanti di esseri umani; l'altra, nelle immediate vicinanze del confine algerino, molto più pericolosa poiché battuta da gruppi estremisti e utilizzata per il traffico di droga e armi», scrivono i due esperti. «Ad Agadez ci attendevano i trafficanti», aveva raccontato in una intervista a Repubblica un clandestino partito dal Mali. «Si sono fatti pagare e ci hanno assicurato il passaggio in Libia». Una volta arrivati, «in un mercato degli schiavi siamo stati venduti ad arabi da libici che lavorano con la manovalanza di caporali nigeriani e ghanesi». Da lì «ci hanno portati in una grande casa privata e lì è iniziato il terrore. Lo scopo era che tutti dovevamo essere terrorizzati per telefonare a casa e chiedere soldi» e per essere pronti a finire nel circuito criminale in Europa. Il ruolo delle Ong In questo vergognoso smercio di persone, fondamentale è il ruolo delle Ong. Che di fatto fanno da ponte. I trafficanti abbandonano il loro carico in mezzo al mare, certi che qualcuno lo recupererà e lo farà approdare. I contatti tra volontari e scafisti, a quanto risulta, avvengono via radio, con frequenze corte e poco rintracciabili. «Siamo in possesso di alcune di queste registrazioni, anche se purtroppo non possiamo utilizzarle in un'aula di tribunale perché non sono state registrate dalla polizia giudiziaria», ha ammesso il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. E anche per chi non avesse contatti diretti, esiste comunque un'altra possibilità: si chiama Alarm Phone, Watch The Med, una sorta di centralino «istituito nel 2014 da reti di attivisti della società civile in Europa e Nord Africa», si legge nel sito di presentazione. «Si tratta di una linea telefonica diretta», che diffonde l'Sos dei profughi lasciati dai trafficanti in balia delle onde, prima alla guardia costiera e poi, in caso di mancata risposta «alle navi cargo che si trovano in prossimità delle imbarcazioni in difficoltà». Alessia Pedrielli
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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