È l'ultima follia di Emmanuel Macron. Forte della schiacciante maggioranza di deputati che En marche ha all'Assemblée nationale (351 eletti su 577), il presidente francese punta a fare approvare una legge sulle fake news, ovverosia le notizie false che dall'altra parte delle Alpi si ostinano a chiamare fausses nouvelles. Da due mesi le opposizioni di destra e di sinistra criticano la nuova norma, che ieri è approdata al dibattito in aula: i moderati la definiscono «assurda», i più aggressivi «liberticida». Il suo vero difetto, in realtà, è quello di essere un mix di superficialità e ingenuità, a limite dell'infantilismo.
Proposta lo scorso 21 marzo da Richard Ferrand, segretario di En marche, e sottoscritta da oltre cento deputati del movimento fondato da Macron, la legge prevede che, nei tre mesi precedenti a ogni tipo di elezione, il candidato o il partito che si ritenga colpito da una falsa notizia online potrà chiedere l'intervento di un giudice: questi avrà 48 ore di tempo per decidere e, nel caso riscontri l'infondatezza della notizia, potrà cancellarla da Internet.
È evidente che la proposta è a dir poco velleitaria: anche se il giudice coinvolto dalla proposta è quello che i francesi chiamano juge des référés, cioè il presidente di ogni tribunale distrettuale cui il codice attribuisce la soluzione dei casi più urgenti, difficilmente dalla Bretagna alla Provenza si troverà un solo magistrato in grado di dirimere in appena due giorni il complesso problema di una presunta falsa notizia.
Ma ci sono altri dubbi: per esempio, perché limitarsi ai tre mesi prima delle elezioni? E che cosa deve intendersi per notizia falsa? La legge ne dà una definizione vaga: «Qualsiasi contestazione o imputazione di un fatto, privo di elementi verificabili tali da renderlo plausibile». Il progetto di Ferrand, inoltre, non specifica quali siano i poteri del giudice: potrà ordinare all'autore della notizia di rendere pubbliche le sue fonti? Visto poi che la norma prevede fino a un anno di carcere per chi diffonde notizie false (e in Francia è la prima volta da oltre un secolo), con quali mezzi coercitivi potrà agire il magistrato? Potrà forse ordinare l'arresto del giornalista reticente?
Non sono questioni di poco conto. E difatti il governo ha incassato mille critiche, dall'estrema sinistra fino alla destra oltranzista: Jean-Luc Mélenchon, leader di La France insoumise, contesta «lo sporco tentativo di controllare l'informazione»; Christian Jacob, segretario dei repubblicani, teme la formazione di una «polizia del pensiero»; e Marine Le Pen di Rassemblement national parla di «un testo liberticida». Anche i giornalisti, è ovvio, sono preoccupati. Dominique Pradalié, segretario del loro sindacato, stronca la legge perché, ha dichiarato, «pone un problema reale, ma dà una risposta del tutto sbagliata». E Christophe Deloire, il capo dell'organizzazione per la difesa della libertà di stampa Reporters sans frontières, si dice «molto perplesso da un progetto più che inquietante».
Insensibile alle critiche, così come alle richieste di modifica e agli emendamenti avanzati in commissione e perfino dal Consiglio di Stato, ieri il governo di Édouard Philippe, che alla legge ha imposto un'accelerazione inusuale, ha diramato una nota per confermare la sua decisione di proseguire con l'esame parlamentare e (se possibile) di chiuderlo entro oggi: «La nostra sfida», ha annunciato l'inquilino di Hôtel Matignon, «consiste nell'adattare gli strumenti giuridici contro le false notizie ai nuovi strumenti e alle nuove modalità di diffusione».
Ma perché Macron si è così intestardito sulle fake news, tanto da ingaggiare un braccio di ferro con le opposizioni e con i giornalisti proprio mentre la sua popolarità è in netto calo? All'origine, come spesso capita in queste faccende, c'è un fatto personale. Tutto nasce lo scorso dicembre, nel pieno dell'ultima campagna per le presidenziali, quando su un sito francese esce la notizia di un ricco conto corrente che il candidato di En marche nasconderebbe alle Bahamas. La balla gira e monta come panna, fino a quando in un confronto televisivo Macron se la sente rinfacciare da Marine Le Pen, la sua diretta concorrente per l'Eliseo, poi sconfitta nel secondo turno del maggio 2017.
Questo non toglie che la legge proposta da En marche sia il malconcepito, inutile doppione di almeno due norme già in vigore. La legge francese sulla libertà di stampa del 1881, riformata nel 2002, punisce non solo la diffamazione, ma anche e proprio le fausses nouvelles, e all'articolo 27 stabilisce: «La pubblicazione, diffusione o riproduzione con qualsiasi mezzo di notizie false, contraffatte, alterate o attribuite a terzi, qualora siano avvenute in mala fede e abbiano turbato o possano turbare la quiete pubblica, è punita con la multa di 45.000 euro». Mentre l'articolo 97 del codice elettorale prevede possa essere multato fino a 15.000 euro «chi, usando false notizie, voci diffamatorie o manovre fraudolente, abbia dirottato i voti».
Insomma, oggi Macron avrà forse la sua nuova legge, ma non andrà lontano. Da questo punto di vista, una volta tanto, è stato più concreto perfino Matteo Renzi: nel dicembre 2017, quando ancora era segretario del Pd, il Rottamatore aveva dichiarato la sua guerra alle fake news: «Non sto pensando a una legge», aveva detto. «Nella prossima legislatura voglio continuare la battaglia contro le operazioni di disinformazione che io, il mio partito e l'Italia abbiamo subìto in questi anni. Chiederò una commissione d'inchiesta parlamentare, con i poteri della magistratura, sulle operazioni di disinformazione». Ovviamente oggi se n'è bell'e dimenticato. Infatti non ne parla più e sta per mettersi in viaggio: farà tre mesi di conferenze all'estero. A meno che anche questa non sia una fausse nouvelle. O, come dicono dalle sue parti, una bischerata.