2020-04-25
Macché Anpi, serve una resistenza contro il totalitarismo del Covid-19
Con il 25 aprile tornano i rituali stanchi dell'antifascismo ideologico. Oggi però a minacciare la libertà sono i controlli digitali, le messe bloccate e i tentativi (riusciti) di mettere a tacere chi critica il governo.«Partigiani si nasce, e non si smette di esserlo», ha scritto Carlo Verdelli nell'editoriale di addio a Repubblica. In realtà, partigiani si diventa qualora se ne avverta il bisogno. Il partigiano, scriveva Ernst Jünger, è colui che «prende partito» un combattente irregolare che agisce da una posizione «fondamentalmente difensiva», cioè lotta per proteggere la propria terra, o almeno dovrebbe farlo. L'idea che si possa «nascere partigiani» proviene dalla mistificazione che alcune associazioni di ex combattenti hanno agito a spese di un termine nobile. Sigle come l'Anpi hanno ideologizzato il concetto di partigiano trasformando la lotta resistenziale in una battaglia permanente condotta non contro veri o presunti «invasori», ma contro un nemico politico che sempre cambia volto. La «resistenza italiana» è dunque divenuta perenne, ma anche aleatoria: briga per dividere il Paese in buoni e cattivi, non per unirlo sotto una comune bandiera. Questo problema diviene tanto più evidente in un momento estremo come quello che stiamo vivendo. Presi come sono dalla denuncia del risorgente fascismo, dall'astio contro il sovranismo e dalla paranoia antirazzista, gli odierni cantori della resistenza si concentrano sul loro nemico politico e perdono di vista il nemico comune, rendendone difficile l'individuazione anche al resto degli italiani. Byung-Chul Han, filosofo di origini asiatiche e forse per questo più sensibile al tema del controllo sociale, ha notato che «la strenua lotta per la sopravvivenza subisce ora un inasprimento virale. Ci pieghiamo allo stato di eccezione senza opporre resistenza. La limitazione dei diritti fondamentali viene accettata senza colpo ferire. L'intera società si trasforma in una quarantena». Seppur in forme e modi diversi rispetto ad altre nazioni, anche qui lo stato d'eccezione fa pesare il suo tallone. E la gran parte degli italiani si sottomette volentieri, convinta di agire per il bene della nazione. Oltre al controllo poliziesco, fin troppo evidente soprattutto nei giorni pasquali, c'è il controllo che ciascuno esercita su sé stesso nel timore di passare per sabotatore. Rispettare il distanziamento sociale, lavarsi le mani e indossare la mascherina sono precauzioni utili che senz'altro vanno messe in atto. Ma quando alla popolazione si nega persino la possibilità di uscire per una camminata lunga o una corsetta che non sia intorno al cortile, allora qualcosa non va. E tacere non si può, non si deve, anche se si viene accusati di tradimento e sabotaggio. Resistere, oggi, significa opporsi alle misure di reclusione eccessive, soprattutto considerando l'ipotesi concreta che la gran parte dei contagi avvengano dentro le case e in famiglia. Resistere significa contestare l'utilizzo di dispositivi di tracciamento la cui efficacia è tutta da dimostrare (anzi, ormai ne è chiara l'inutilità) e la cui sicurezza riguardo al trattamento dei dati è assolutamente discutibile, ma su cui il governo tira dritto tappandosi occhi e orecchie. Fare resistenza, in questo periodo di pandemia, è anche protestare per l'assurda serrata dei luoghi di culto. Vengono proibite le messe, che potrebbero svolgersi in maniera sicura con un minimo di controllo da parte dei parroci, ma si fa un'eccezione all'eccezione proprio per le cerimonie commemorative della resistenza. Tutto questo avviene nel generale silenzio delle istituzioni, un silenzio che la stessa Chiesa ha rotto solo di recente. Eppure, giusto ieri, Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha espresso grande preoccupazione per lo svolgimento del Ramadan: «Quest'anno, entriamo nel sacro mese di Ramadan in un momento storico segnato da profonda sofferenza a livello mondiale», ha detto. «Ma è nell'essenza del Ramadan stesso che molti potranno trovare conforto e speranza». Strano che nessuno abbia speso parole analoghe per le messe di Pasqua. Anzi, dalle nostre parti la maggioranza degli editorialisti e dei commentatori tifava (e tifa) per la chiusura delle chiese. Chi ne ha chiesto la riapertura è stato addirittura accusato di fascismo. Purtroppo, così funziona l'ideologia resistenziale: il fascismo è sempre in agguato, e contro il fascismo bisogna battersi in ogni occasione, perché il nemico è sempre lo stesso, nel 1945 come adesso. Però, guarda un po', oggi il «fascista» è chi osa contestare certe surreali restrizioni. I giornali hanno dedicato fior di articolesse ai terribili fasci che intendevano marciare su Roma violando ogni divieto, ma non scrivono mezza riga indignata sull'insopportabile sudditanza di cui offre prova la televisione italiana. Salvo rarissime (e contestatissime) eccezioni, sulle reti più seguite trovano spazio soltanto i corifei del governo, e a tutti sembra stare bene così, anche se la libertà di informazione subisce un colpo devastante. Con la scusa dello «stato d'eccezione» ci sorbiamo qualunque cosa: dalla inutile e dannosa sanatoria degli immigrati clandestini all'incredibile piano di segregazione degli anziani e dei bambini più piccoli nei prossimi mesi. Dal Mes che ci viene venduto quasi come fosse un favore da parte dell'Europa, alle limitazioni per l'uso dei mezzi pubblici che metteranno in seria difficoltà le fasce più deboli della popolazione. Ora, dite, dove sono i partigiani di fronte a tutto questo? Dove sono i cantori della resistenza quando si tratta di fare muro contro misure liberticide di uno Stato- mamma che vuol trattarci come bambini capricciosi? Dove sono i combattenti per la libertà quando la libertà viene davvero messa in pericolo? Sono ancora là, nel 1945, a sparare a salve fuori dal tempo e dalla Storia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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