2018-12-04
Ma a scortare la manovra c’è la cavalleria Usa
Attraverso l'ambasciatore Lewis Eisenberg, Washington si schiera ancora al nostro fianco: «Il processo sul budget è molto significativo». Ed Enzo Moavero Milanesi coglie la palla al balzo: «Gli Stati Uniti sono con noi». Per la superpotenza siamo un alleato strategico contro la Germania.Lo spread non cresce ma Bruxelles incalza. Valdis Dombrovskis: «Aspettiamo correzioni sostanziali». Goldman Sachs: «Ci penseranno le Borse». Giuseppe Conte chiaro: «Non lavoro a un deficit/Pil sotto il 2%».Abbassata la quota di capitale in mano a Bankitalia. Tradotto, meno acquisti di Btp a favore dei Bund.Lo speciale contiene tre articoli.Si sente in lontananza la tromba del Settimo Cavalleggeri. Il presidente Donald Trump in un tweet: «Il premier Giuseppe Conte sta lavorando duro per l'economia italiana e avrà molto successo». L'ambasciatore in Italia Lewis Eisenberg all'Aspen Institute di Roma: «Il processo sul budget che ha intrapreso Roma è molto significativo per l'Italia, l'Unione europea e per il mondo». Le due dichiarazioni tutt'altro che di facciata dimostrano come il governo Lega-5 stelle possa contare su un alleato sempre meno occulto, sempre più interessato alle sorti del nostro Paese dopo qualche anno di pigra passività obamiana: gli Stati Uniti.Washington ha deciso di uscire allo scoperto, evidentemente convinta che in questa delicatissima fase di trattative con l'Europa a trazione tedesca (quindi ottusamente rigorista per vocazione) l'Italia abbia bisogno di un partner di sostegno capace di incutere timore e allungare l'ombra a oscurare la vallata. Così, come mamma orsa che si staglia con tutta la sua imponenza dietro il cucciolo minacciato dal coguaro, l'amministrazione Usa ha alzato il livello di approvazione dei passi economici intrapresi da Palazzo Chigi così contestati da Bruxelles da rischiare la procedura d'infrazione. Ieri mattina nel bilaterale «Us-Italy Dialogue» l'ambasciatore americano non si è fermato ai convenevoli, ma ha promosso la manovra e ha attribuito al nostro Paese una posizione strategica sullo scacchiere continentale. «Gli Stati Uniti vogliono raggiungere con l'Europa un accordo commerciale di successo come quelli con Canada e Messico. E in questo l'Italia può giocare un ruolo fondamentale, che non va sottostimato. La vostra è una delle economie più grandi al mondo. Non c'è mai stato un momento migliore per comprare Made in Usa e Made in Italy». Poi l'ambasciatore, soppesando le parole, ha fatto squillare le trombe laggiù in fondo al canyon: «Se i negoziatori europei adottano l'approccio aperto dell'Italia ai negoziati, sono sicuro che sia gli americani, sia gli italiani arriveranno a un accordo giusto». Una frase un po' criptica che sta a significare tre cose: il Dipartimento di Stato non sta perdendo una sillaba dell'aspra trattativa fra Roma e Bruxelles; ritiene che la manovra espansiva voluta dal governo Conte sia più intelligente e lungimirante del solito scafandro decimale amato dagli euroburocrati; auspica che la stessa strategia dialettica venga adottata nella trattativa commerciale con gli States.Il primo a cogliere il valore di un simile endorsement è stato il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, presente all'Aspen Institute: «Gli Stati Uniti sono a fianco dell'Italia nella sua azione a favore di una manovra economica più espansiva. Penso che quanto abbiamo sentito sia chiaro: gli Usa sono al nostro fianco perché siamo per loro un partner importante, di conseguenza quando la nostra economia va meglio questo giova all'insieme del rapporto con gli Stati Uniti, come all'insieme del rapporto con gli altri Paesi dell'Unione europea. Le notizie le dobbiamo aspettare dal ministro Giovanni Tria a Bruxelles. Per noi il negoziato è essenziale, si tratta di un negoziato fisiologico».È bene precisare che gli Stati Uniti non si sono messi al fianco dell'Italia per puro spirito di fratellanza o solo per una consonanza politica sui grandi temi della lotta alla recessione e all'immigrazione clandestina, ma perché vedono nel governo Lega-5 stelle l'alleato ideale per arginare le pretese neocoloniali francesi in Libia e scardinare lo strapotere tedesco dentro la Ue. L'amministrazione Trump non ha mai fatto mistero di voler depotenziare la Germania. Lo ha fatto accendendo la miccia dello scandalo Volskswagen sulle emissioni, lo ha fatto scoperchiando la botola dei titoli tossici della Deutsche Bank, lo ha fatto mettendo a disposizione del mondo le fotografie delle turbine tedesche Siemens in arrivo al porto di Sebastopoli alla faccia dell'embargo alla Russia. È chiaro che un'Italia capofila del malumore anti tedesco alla Casa Bianca fa molto comodo.La corte dell'amico americano non è per niente nuova. Fin dalla settimana nera della formazione del governo - 29 maggio, quando Sergio Mattarella si incartò sul nome di Paolo Savona, ingaggiando per 12 ore Carlo Cottarelli e facendo salire lo spread a 303 punti - i primi a indignarsi per il tradimento del mandato popolare e a comprare titoli di Stato per far rientrare la crisi istituzionale furono i banchieri filo governativi di Wall Street. Il 30 luglio, durante l'incontro fra Conte e Trump (e al di là delle folcloristiche pacche sulle spalle), il governo italiano fu incoraggiato a mantenere la linea dura sull'immigrazione illegale. E al premier furono date garanzie di supporto politico all'Onu. Anche il dossier libico va nella direzione della partnership Usa-Italia: il piano di Emmanuel Macron è stato polverizzato alle Nazioni Unite e oggi (grazie a una positiva triangolazione con l'inglese Bp contro la francese Total) l'Eni sta rafforzando il suo peso nell'area. A conferma del vento che spira da Washington, Nick Gartside, manager di vertice di Jp Morgan, poche settimane fa mandò in depressione gli economisti progressisti con una sola frase: «Alcuni dei nostri fondi stanno aumentando l'esposizione in Btp. Il vostro deficit non preoccupa, anche il governo americano sta facendo deficit spending. Non vedo nulla di strano». E il Segretario al Tesoro, Steve Mnuchin aggiunse: «L'Italia non rappresenta un fattore di rischio, la sostenibilità del debito è fuori discussione». Il clima è lievemente diverso dai temporali procedurali e mediatici provenienti da Bruxelles. Dovendo aprire l'ombrello, sapere che è quello di John Wayne offre qualche garanzia in più. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ma-a-scortare-la-manovra-ce-la-cavalleria-usa-2622293523.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="finanza-e-ue-usano-il-manganello-i-mercati-vi-faranno-ragionare" data-post-id="2622293523" data-published-at="1757951627" data-use-pagination="False"> Finanza e Ue usano il manganello: «I mercati vi faranno ragionare» Lo spread scende, la Borsa vola, eppure l'Unione europea (spalleggiata dalle banche d'affari) continua a tenere sotto scacco l'Italia, anche se la linea dura sulla manovra in realtà inizia a mostrare alcune crepe. Ieri a Bruxelles il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, poco prima della riunione dell'Eurogruppo, ha incontrato il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, per discutere della manovra italiana. Come è andata? A leggere le dichiarazioni di Dombrovskis, male; se invece consultiamo i numeri, quei numeri tanto cari ai burosauri di Bruxelles, i mercati hanno dimostrato di avere grande fiducia nella strategia economica del governo italiano. Ieri, in particolare, lo spread tra Btp e Bund ha chiuso in netto calo, a 283 punti base; il rendimento del titolo italiano a 10 anni è sceso al 3,14%, il più basso da due mesi. Ottima anche la sessione di Piazza Affari: il Ftse Mib ha chiuso con un rialzo del 2,26% a 19.622 punti, la miglior performance delle borse europee, con i titoli bancari sugli scudi: Intesa + 3,15%, Unicredit +3,02%, Ubi +2,43%, Banco Bpm +6,29%, Bper +4,61%. Gli analisti hanno attribuito, almeno in parte, l'eccellente seduta della Borsa e il calo dello spread al clima positivo che si è stabilito tra Italia e Unione europea, oltre che alla distensione tra Usa e Cina sul fronte della guerra commerciale a suon di dazi sulle merci. Al termine del colloquio tra Tria e Dombrovskis, il ministero dell'Economia ha diffuso una nota nella quale, rispetto «ai negoziati in corso sulla legge di bilancio per il 2019», i due protagonisti dell'incontro «hanno espresso la comune volontà di trovare al più presto una soluzione al contenzioso sulla manovra tra Roma e Bruxelles». Eppure, le dichiarazioni di Dombrovskis sono state, come di consueto, pessimistiche: «Siamo», ha detto il vicepresidente della Commissione, «in una fase di discussione intensa con le autorità italiane. Come sapete abbiamo concluso che aprire una procedura per deficit eccessivo è giustificato, e gli Stati membri hanno confermato questa conclusione. Quindi», ha aggiunto Dombrovskis, «adesso sta all'Italia venire con delle correzioni sostanziali per il loro piano di budget 2019. Ho appena avuto un incontro col ministro Tria in cui abbiamo discusso proprio di questo ma adesso aspettiamo passi concreti da parte dell'Italia». L'ineffabile vice di Jean Claude Juncker evidentemente ha il compito di recitare la parte del «poliziotto cattivo: «La strategia del governo italiano», ha aggiunto Dombrovskis, «non sembra funzionare ed è importante che la cambi. È stata pensata per essere uno stimolo e facilitare la crescita, invece questa crescita non si sta materializzando, mentre c'è un aumento considerevole dei rendimenti che comincia a pesare sull'economia reale». Considerazioni che fanno a pugni con il calo del rendimento del titolo a 10 anni, ma tant'è. I panni del «poliziotto buono», ieri, li ha indossati il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici: «Continuiamo il dialogo con l'Italia», ha detto Moscovici, «per trovare una soluzione e continuiamo intanto a preparare la nostra decisione, perché l'iter della procedura di infrazione è stato avviato e gli Stati l'hanno appoggiato. Ci sono nuove proposte e idee sul tavolo che vanno nella giusta direzione», ha aggiunto Moscovici, «ma il gap con le regole del patto di stabilità è ancora ampio e quindi ancora non ci siamo». E i tempi della procedura? «La Commissione europea», ha sottolineato Moscovici, «ha il pieno controllo della tempistica nell'eventuale procedura per deficit eccessivo, relativa al debito, contro l'Italia. Permetterete alla Commissione di definirsi come signora del tempo». Lo stesso Moscovici così accomodante con il nostro Paese non era stato, però, alla vigilia del G20, quando, intervistato, si è dimenticato (?) di inserire l'Italia nel suo personale elenco delle democrazie liberali: Canada, Australia, Germania, Inghilterra, Unione europea (che ora è una nazione) e il Giappone. Gli Usa, per Moscovici, vanno a braccetto di Russia, Cina e altri nel novero degli «illiberali». L'Italia, come detto, resta nel limbo. Ma tant'è. La giornata di ieri, quella che ha fatto registrare questi eccellenti risultati in borsa e sullo spread, è stata la stessa giornata nella quale Goldman Sachs, una delle più grandi banche d'affari del mondo, ha pubblicato il suo European Outlook, rapporto secondo il quale «l'Italia è fra i rischi che potrebbero complicare più del previsto lo scenario di mercato europeo nel 2019, la crisi di bilancio rimane irrisolta e l'economia italiana flirterà con la recessione all'inizio del prossimo anno». Goldman Sachs conferma la stima di una crescita italiana ferma allo 0,4% nel 2019». Non solo: l'agenzia di rating Fitch ha parlato di «rischi significativi» per l'Italia in termini di raggiungimento degli obiettivi fiscali, soprattutto dopo il 2019, e ha detto di «dubitare che la minaccia di una procedura Ue per deficit eccessivo possa spingere Roma a cambiare il suo piano sul bilancio pubblico». In serata, il premier Giuseppe Conte, rispondendo a una domanda sulla possibilità di far scendere il rapporto deficit/pil stimato in manovra per il 2019 sotto il 2%, ha risposto così: «Non sto lavorando a questo obiettivo. Siamo in pieno periodo di approvazione del disegno di legge di bilancio, stiamo valutando tutti gli emendamenti e sto lavorando a tempo pieno nell'interlocuzione con le istituzioni Ue. Nel volgere di qualche giorno avremo un ulteriore passaggio con le istituzioni Ue», ha aggiunto Conte, «e confido di poter pervenire a quello che e il mio grande obiettivo, e cioè una soluzione condivisa che ci possa evitare l'infrazione». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ma-a-scortare-la-manovra-ce-la-cavalleria-usa-2622293523.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-bce-dal-2019-sosterra-piu-berlino-che-noi" data-post-id="2622293523" data-published-at="1757951627" data-use-pagination="False"> La Bce dal 2019 sosterrà più Berlino che noi Ai più, il «capital key» della Banca centrale europea potrà sembrare un tecnicismo da economisti esperti. In effetti, lo è. Il problema è che ha un grande impatto sull'economia italiana. Ieri, infatti, l'organismo ha reso noto il nuovo schema di sottoscrizione del capitale dell'istituto centrale basato a Francoforte che entrerà in vigore dal primo gennaio 2019, in sostanza la «fetta» di capitale detenuta dalle banche centrali dei singoli Stati membri. Il cosiddetto «capital key» viene ricalcolato ogni cinque anni ed è fondato sulla dimensione delle economie di ogni Paese e della popolazione. Considerato inizialmente come un fatto tecnico, oggi questo numero sta assumendo un significato più importante perché è utilizzato per scegliere la porzione di acquisto dei bond governativi, come previsto dal programma di stimolo della Bce denominato Quantitative easing. Secondo le nuove tabelle, l'incidenza della Banca di Italia scenderà a partire da gennaio all'11,8023% dal 12,3108% degli ultimi cinque anni. In parole povere, in totale 16 banche centrali nazionali avranno una maggiore «capital key» (vedranno aumentare la propria quota Belgio, Germania, Estonia, Irlanda, Francia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Austria e Finlandia) mentre 12, fra cui l'Italia, subiranno una riduzione. Oltre all'Italia, inoltre, anche la un altro Paese inguaiato come la Grecia subirà un calo (a 2,4839% dal 2,8884%). Lo stesso vale per la Spagna che scende dal'8,84% all'8,33%. Il problema di questa decisione è che il ricalcolo molto probabilmente avrà ricadute sui reinvestimenti dei capitali giunti a maturazione nell'ambito del Quantitative easing, il programma di riacquisto titoli voluto da Mario Draghi e che ha sostenuto a lungo il mercato obbligazionario. Il consiglio direttivo della Bce intende infatti proseguire con i reinvestimenti a lungo dopo la fine degli acquisti netti. Il punto è che questi reinvestimenti avvengono in base alle capital keys. La prossima riunione del consiglio della Bce, fissata per il 13 dicembre, sarà l'occasione giusta per scoprire se i reinvestimenti verranno subito rimodulati a partire dal 1 gennaio 2019 sulla base delle nuove capital keys oppure no. Quello che è chiaro è che dal ricalcolo esce vincitrice la Bundesbank, la banca centrale tedesca, che vede la propria percentuale salire dal 17,9973% al 18,3670% e in misura minore la banca centrale francese la cui percentuale passa dall'attuale 14,1792% al 14,2061%. Il punto è proprio questo. Nelle condizioni in cui si trova l'economia italiana - che nel terzo trimestre ha visto arrivare il Pil a quota -0,1% rispetto ai tre mesi precedenti (dunque in recessione) - l'istituto centrale che più dovrebbe (almeno in teoria) proteggere le economie più deboli mette a punto uno strategia - ineccepibile se si guarda alla fredda regola che la sottiene, ovvero il riferimento al Pil dei Paesi - che favorisce la Germania e penalizza, di riflesso, del nostro Paese e di Stati ancora più in difficoltà come la Grecia. Come se non bastasse, questa scelta contribuirà con ogni probabilità a far crescere lo spread tra Btp e bund e anche questa non è esattamente da considerarsi una notizia positiva. In realtà molti analisti ritengono che la decisione di modificare i livelli di capital key per l'Italia non creerà scossoni troppo grandi. Lo spread dovrebbe salire di poco con questa decisione e lo stesso si può dire per la porzione di acquisto dei bond governativi da parte della Bce. Come detto, il meccanismo risponde ad automatismi tecnici che hanno, come conseguenza, effetti depressivi proprio per quelle economie che invece avrebbero bisogno di una boccata di ossigeno.
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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Scioperi a oltranza e lotta politica: dopo aver tubato con Conte e Draghi, il segretario della Cgil è più scatenato che mai.