2022-01-14
L’uomo che sussurra a Bergoglio tifa per la legge horror sul suicidio facile
Padre Antonio Spadaro (Ansa)
«La Civiltà Cattolica» di Padre Antonio Spadaro spinge per la norma che piace ai Radicali. Sostenendo, falsamente, che è meglio del referendum.Padre Antonio Spadaro, l’uomo che sussurra a Francesco, ci confonde un po’: dirige La Civiltà Cattolica o La Repubblica? Promuove il magistero della Chiesa, o quello di «papa» Eugenio Scalfari? Il suo editore è la Santa Sede o il gruppo Gedi? La Segreteria di Stato vaticana, che supervisiona il contenuto della rivista dei gesuiti e le concede l’imprimatur, ha letto bene cosa c’è scritto nell’ultimo numero? È d’accordo con la tesi del professor Carlo Casalone, bioeticista della Gregoriana, secondo il quale è «importante che si arrivi a produrre una legge» sul suicidio assistito? Sa che, ad avviso di costui, non sarebbe in contrasto «con un responsabile perseguimento del bene comune possibile» appoggiare quella su cui il Parlamento si pronuncerebbe a febbraio, calibrata sulla sentenza Cappato della Consulta? Nei sacri palazzi si sono resi conto che, adesso, i fautori della cultura della morte potranno bearsi: «Finalmente la Chiesa ci dà ragione»?Nel nuovo fascicolo, invero, le chicche sono parecchie. Tipo l’articolo di Giovanni Sale, che spiega come la paura della rivoluzione rossa in Italia, negli anni 1947-1948, fosse esagerata, coltivata «per lo più in ambienti anticomunisti» - chi l’avrebbe immaginato! - «che avevano tutto l’interesse a ingigantire - o addirittura a inventare - […] la reale consistenza e pericolosità delle formazioni paramilitari comuniste». Persino le sacrosante considerazioni di Guy Consolmagno, direttore della Specola Vaticana, contro il dogmatismo scientifico, lasciano un po’ di amaro in bocca. L’astronomo ammette che i vaccini non sono infallibili e che «Fidati della scienza» è un principio guida fallace e insidioso. Peccato che il risveglio della Chiesa, da due anni accodata alla narrazione pandemica dominante, arrivi tardi. Dopo, ad esempio, che il Vaticano ha imposto il green pass, anche se «i vaccini non sono perfetti» e anche se chi non segue «ciecamente» la scienza coglie «un elemento di verità. A volte la scienza si sbaglia di grosso». Il baratro più profondo, comunque, lo apre proprio l’intervento su eutanasia e aiuto al suicidio. La riflessione culmina con la richiesta alla classe dirigente di licenziare una norma, foss’anche quella ora in discussione. Esortazione animata da una doppia tara. In primo luogo, si ripresenta la superstizione moderna (e postmoderna), opportunamente allontanata all’epoca della Cei ruiniana, secondo cui per tutto serve una legge. Non è possibile lasciare alcuno spazio alle relazioni umane sul quale non si posino l’occhio vigile e il Verbo dello Stato. Il problema è che i supposti «vuoti» normativi sono destinati a essere riempiti dalle sentenze? Amen - è il caso di dirlo. Almeno si lotti per rallentare la venuta del male. È meglio rassegnarsi ad aprire la breccia da cui, poi, esso dilagherà? Qualcuno rilegga San Paolo, riscopra il katéchon. In secondo luogo, l’intellighenzia gesuitica sconta una disarmante ingenuità tattica. Secondo Casalone, il quale ha vergato il contributo sul quindicinale di padre Spadaro, «l’omissione di un intervento rischia fortemente di facilitare un esito più negativo», a cominciare dalla riuscita del referendum sulla parziale abrogazione del reato di omicidio del consenziente. Solo che i due progetti corrono su binari paralleli: il testo in Aula e qualsiasi altra iniziativa parlamentare non impedirebbero alla campagna dei Radicali di proseguire, se la Consulta giudicherà ammissibili i quesiti. Una strada alternativa alla regolamentazione del fine vita offrirebbe, a parere di Casalone, «un punto di appoggio politico per sostenere, quanto meno, un voto contrario». Si arringherebbero così gli italiani: bocciate linea Cappato, tanto provvederanno Camera e Senato. Auguri, se la strategia è questa: lo stesso autore sa che «possiamo attenderci un elevato numero, se non la maggioranza, di voti favorevoli, considerata la grande quantità di firma raccolte a sostegno del referendum». Con l’aggravante che, per paura di perderlo, o di chiedere di boicottarlo, come accadde nel 2005 con quello sulla fecondazione assistita, ultima storica impresa della Chiesa, i cattolici contribuirebbero ad approvare una legge sbagliata e pericolosa. È vero che il bene non è solo questione di ideale. È vero che nel nostro «contesto», come insiste Casalone, tira aria da modello svizzero e olandese. Tuttavia, non vorremo che, a furia di bagni di realismo, si finisca per affogare. È una preoccupazione che condividiamo con il Centro studi Livatino e con Alfredo Mantovano, critico con il «cristiano di mezzo», che cerca «un punto di equilibrio realistico», perdendo di vista i valori non negoziabili. In fondo - La Civiltà Cattolica lo riconosce - libertari e nichilisti non si sono certo fatti bastare i provvedimenti già approvati. A cominciare dalle Dat, che inopinatamente la rivista elogia come il «frutto di un laborioso percorso, che ha consentito di raccordare una pluralità di posizioni divergenti». Appunto: il compromesso sarà sempre al ribasso. La trappola del pendio scivoloso sarà sempre in agguato. Quando si arriva su un piano inclinato, s’inizia subito a rotolare. Salirci potrà essere inevitabile. Ma non è cattolico.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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