2018-12-12
L’Ue senza vergogna minaccia l’infrazione
Oggi incontro decisivo tra Giuseppe Conte, Giovanni Tria e la Commissione: sul tavolo la richiesta di abbassare il deficit al 2%, altrimenti a gennaio parte la sanzione. Il premier mostra i muscoli: «Tuteleremo la stabilità sociale». Il ministro dell'Economia apre alle trattative.Di sicuro c'è solo l'incontro: oggi alle 16. Presenti Giuseppe Conte e Giovanni Tria, e, dall'altro lato del tavolo, il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, in mezzo ai due gendarmi Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis. Tutto il resto è in alto mare. La Commissione, nelle ultime 24 ore, ha fatto circolare minacciosi avvertimenti tramite i consueti canali mediatici, accreditando una richiesta all'Italia di tagliare (prima versione) 10 o addirittura (seconda versione) 12 dei 16 miliardi stanziati per quota 100 e reddito di cittadinanza. Comunque la si pensi sulle due misure, si tratta di un'autentica provocazione: chiedere a un governo legittimo di tagliare più del 60% o addirittura il 75% delle risorse per le due proposte su cui M5s e Lega hanno vinto le elezioni.E lo stalking è proseguito dettagliando il calendario dell'eventuale procedura di infrazione: già il 19 dicembre un primo documento di raccomandazioni all'Italia (una specie di camicia di forza pluriennale), che si trasformerebbe in sanzione imperativa con l'Ecofin del 22 gennaio. Ma anche a Roma gli accenti non sono stati omogenei. In Aula alla Camera, Giuseppe Conte è sembrato combattivo, attaccando un «rigorismo miope che pretende di combattere l'instabilità con misure che finiscono per favorirla», rivendicando anche la definizione di populisti («se significa superare lo iato tra élite e popolo»), e insistendo su misure espansive come unico antidoto alla rabbia («se vogliamo evitare contestazioni, dobbiamo agire per allineare gli obiettivi di stabilità finanziaria alla stabilità sociale»).Approccio non del tutto convergente con quello di Tria, che da un lato è sembrato allinearsi alle richieste di Lega e M5s («la manovra non verrà rivoluzionata, anche se per quota 100 e reddito le misure avranno bisogno di alcuni mesi per entrare in vigore») e ha fatto esplicito riferimento alle decisioni finali degli azionisti politici della maggioranza («entro la giornata si arriverà a determinare i possibili saldi e poi ci sarà la decisione politica»), ma dall'altro - ecco la contraddizione - non ha smentito le voci insistenti che lo vedrebbero pronto a cedere sul 2%, e forse perfino ad andare sotto quella soglia simbolica. Un po' come tornare al punto di partenza, al suo iniziale negoziato con Bruxelles, con l'asticella fissata all'1,9. Ma - inutile girarci intorno - il fatto nuovo che incombe sul negoziato è la Francia, con la «retromarche» di Macron e la sventagliata di misure di spesa annunciate l'altra sera dall'inquilino dell'Eliseo. Già prima, il deficit francese era al 2,8%: ora è praticamente certo che si arrivi almeno al 3,3-3,4%.La domanda è: come può l'Italia accettare un clamoroso doppio standard? Una Francia a cui si concede quella soglia, e un'Italia a cui viene negato perfino il 2,2%?A parole Luigi Di Maio tiene il punto: «Le misure annunciate da Macron», ha detto ieri, «secondo i nostri calcoli non si sposano con il rapporto deficit/Pil annunciato, e quindi si aprirà anche un caso Francia, se la regole valgono per tutti». Ed è per questo che il mandato affidato da Lega e M5s a Conte e Tria è quello di non cedere oltre quanto già concordato: un taglio di 4 miliardi (2+2) su quota 100 e reddito di cittadinanza, portando gli stanziamenti da 16 miliardi (7+9) a 12 (5+7). Piena disponibilità italiana a spostare risorse dalle spese assistenziali agli investimenti. E preannuncio di altre misure (taglio delle tariffe Inail, accelerazione dei pagamenti alle imprese da parte della Pa, ulteriore incremento della deducibilità Imu sui capannoni) per enfatizzare la parte pro-sviluppo della manovra, più un capitolo sulle dismissioni (immobiliari e non).A Bruxelles, punti sul vivo sul metro di giudizio più benevolo verso Parigi, fanno circolare prima una versione provocatoria («i conti francesi saranno esaminati in primavera», ha detto l'ineffabile portavoce della Commissione Margaritis Schinas) e poi un'altra giustificazione che non sta in piedi: «In Francia per ora abbiamo sentito soltanto un discorso, mentre in Italia abbiamo letto una bozza di bilancio».La sensazione è che siano scuse per consentire a Macron di procedere secondo la ben nota tecnica del fatto compiuto: fare più deficit oggi, e poi si vedrà. E infatti il primo ministro Edouard Philippe ha cercato di infilarsi in questo cuneo, riconoscendo che gli annunci di Macron avranno «un impatto sul deficit», ma poi aggiungendo - ipocritamente - che occorre «far sì che la spesa pubblica sia tenuta sotto controllo. Dovremo prendere delle misure che non aumenteranno la spesa». Missione chiaramente impossibile, visto il catalogo di regalie enunciato da Macron. Una ragione di più - per l'Italia - per non accettare né una differenziazione di tempi nel giudizio (perché noi dovremmo essere «esaminati» subito e la Francia tra qualche mese?) e meno che mai due differenti standard valutativi. Sarebbe clamoroso se, apertasi una contraddizione a Parigi grazie al cedimento di Macron ai gilet gialli, Roma decidesse di non approfittarne, per paura delle parole di Dombrovskis e Moscovici.
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