L’Europa parla di indipendenza ma, per seguire la Germania, si è legata troppo alle forniture da Mosca. E ora è spalle al muro.
L’Europa parla di indipendenza ma, per seguire la Germania, si è legata troppo alle forniture da Mosca. E ora è spalle al muro.Dopo le dispute sui contratti gas del 2006-2009 e gli scontri del 2013, ancora una volta la tensione tra Ucraina e Russia porta in primo piano il tema della sicurezza energetica del nostro continente, un aspetto assai critico della costruzione europea che in questi anni non ha trovato soluzioni.L’Europa dipende dalle importazioni per gran parte dei propri fabbisogni energetici. A dispetto delle roboanti dichiarazioni di intenti che arrivano dall’Unione europea, che vorrebbe aumentare la propria indipendenza energetica, la quota di import di gas dalla Russia è cresciuta negli ultimi anni, a causa della progressiva riduzione della produzione interna europea, scesa del 60% dal 2015 ad oggi. Molto impegnata a celebrare il feticcio del mercato, la Commissione in questi anni si è curata poco di proteggere i cittadini e di provvedere alla sicurezza degli approvvigionamenti. L’energia è un bene strategico e la sua gestione è questione di sicurezza nazionale, ma l’Unione europea non è una nazione.Leggiamo cosa diceva la stessa Commissione nella sua relazione sui prezzi dell’energia in Europa del 14 ottobre 2020: «La crescente liquidità degli hub del gas europei è stata incoraggiata dalle politiche Ue di liberalizzazione del mercato. L’hub olandese del gas, il Ttf, la cui liquidità è cresciuta rapidamente negli ultimi anni, anche grazie alle importazioni di Gnl, è diventato il principale riferimento per i prezzi in Europa e sta acquisendo sempre maggiore importanza a livello globale. In Europa, la quota di contratti a prezzi “hub” sul consumo totale di gas è salita dal 15 % nel 2005 al 78 % nel 2019. […] La maggiore sovranità europea sulla formazione dei prezzi del gas rafforza il ruolo dell’euro nel commercio di energia nell’Ue, in quanto riduce l’influenza dei prezzi importati denominati in dollari Usa e l’esposizione alla volatilità dei mercati internazionali dei prodotti energetici».Affermazioni decisamente sorprendenti, considerato che la volatilità dei prezzi dell’energia non è causata tanto dal cambio, quanto dai fondamentali di domanda e offerta. Il preteso scudo valutario offerto dalla moneta unica serve a ben poco di fronte al potere di mercato dei fornitori. Inoltre, lo spostamento del prezzo dall’indicizzazione al petrolio verso il prezzo «hub» a più breve termine, qui celebrato come un successo, si è rivelato controproducente non appena nel gioco domanda-offerta si è inserita la Cina. La scorsa primavera, con la forte ripresa della domanda, infatti, il mercato Gnl si è orientato decisamente verso l’Asia, disposta a pagare prezzi alti. Da lì si è originata la salita dei prezzi. Quanto alla dichiarata diversificazione delle fonti, in realtà il 40% del gas consumato in Europa viene ancora da un unico fornitore, la Russia. L’altro grande fornitore europeo è la Norvegia, da cui importiamo circa il 22% del fabbisogno, mentre il mercato mondiale Gnl copre il 18% della domanda europea. Con un’offerta così concentrata (anche il mercato Gnl è piuttosto ristretto) le spavalde dichiarazioni di Bruxelles suonano piuttosto puerili. Con la relazione dell’ottobre 2020 la Commissione di fatto ammette di essere la causa del suo stesso malessere. I governi nazionali non hanno certo cooperato nel creare le migliori condizioni. Ad esempio, il gasdotto Nord Stream 2 disintermedia l’Ucraina, ponendola in una situazione di debolezza: se il gas che passa dal suo territorio non è più essenziale per l’equilibrio energetico dell’Europa, si riduce la sua rilevanza strategica. Il Ns2 è diventato un fattore di instabilità nel quadro di una situazione internazionale già tesa. Artefice di questo disastro diplomatico è la Germania, che prima si è accordata con la Russia per il raddoppio del gasdotto che passa sotto il mar Baltico e poi ha dovuto fronteggiare il dissenso degli Usa sull’iniziativa. Avendo già avviato la chiusura dei propri impianti a carbone e nucleari, disporre immediatamente di gas è vitale per la Germania, onde garantire il passaggio verso le fonti rinnovabili, ancora indietro nello sviluppo.Appare incredibile, poi, che più della Commissione europea sia stata l’amministrazione americana a preoccuparsi di cercare alternative all’approvvigionamento energetico russo. Sono stati i funzionari inviati da Joe Biden a prendere per mano Ursula von der Leyen e a condurre gli europei a un dialogo con i grandi produttori mondiali e con l’emiro del Qatar per chiedere più navi metaniere. Peraltro, il Gnl non è comunque una soluzione, poiché in Europa non c’è sufficiente capacità di rigassificazione per sostituire integralmente le forniture dalla Russia.Sinora l’inverno in Germania è stato mite, con la temperatura del mese di gennaio superiore di due gradi rispetto alla media. Una fortuna per gli esausti stoccaggi del Nord Europa, ancora pieni per circa un terzo soltanto. È vero che Gazprom sta rispettando i contratti a lungo termine esistenti; tuttavia, l’operatore russo non ha riempito adeguatamente gli stoccaggi europei nella sua disponibilità durante la scorsa primavera. All’inizio della attuale stagione di erogazione (ottobre 2021), gli stoccaggi di Gazprom mostravano infatti un vuoto di oltre 6,5 miliardi di metri cubi rispetto alle annate precedenti. Inoltre, Gazprom ha ridotto del 60-70% le proprie vendite fisiche a termine sulle piattaforme europee, cosa che ha sottratto ulteriori volumi e diminuito la liquidità. Un meccanismo di stoccaggio strategico obbligatorio, come quello italiano, aiuterebbe almeno ad evitare il peggio, ma è difficile che l’Unione arrivi ad imporlo agli stati membri.Lunedì scorso l’Aie ha pubblicato il proprio outlook sul gas, nel quale rileva un drammatico calo degli investimenti in produzione di gas nel 2021. «L’attuale situazione del mercato», scrive l’Aie, «è un duro promemoria per i Paesi consumatori di gas sull’importanza di attuare e aggiornare gli strumenti per la sicurezza degli approvvigionamenti e le politiche di protezione dei consumatori, e di ottimizzare l’uso delle infrastrutture gas, in particolare gli stoccaggi». Al di là del momento contingente, dunque, la situazione degli approvvigionamenti è critica anche sul lungo termine. In assenza di una ripresa degli investimenti, nessun sole di York potrà volgere in estate radiosa l’inverno del nostro scontento.
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