
La prossima settimana la Corte europea si pronuncerà sulla Superlega, i cui promotori mirano a spezzare il monopolio Uefa-Fifa. Se la sentenza aprirà alla liberalizzazione dei tornei, l’universo del pallone rischia di finire preda delle petromonarchie arabe.La data segnata in rosso nell’agenda dei big del pallone è quella del 21 dicembre. Alle 9:30 del mattino, infatti, la Corte di giustizia dell’Unione europea in Lussemburgo si esprimerà con la sentenza della disputa tra Superlega e Uefa-Fifa sul presunto abuso di posizione dominante degli ultimi due soggetti. In sostanza, la Corte dovrà decidere se accogliere o meno il parere reso pubblico dal procuratore generale, Athanasios Rantos, lo scorso 15 dicembre 2022, secondo cui Uefa e Fifa non hanno abusato della loro posizione dominante bloccando la Superlega con la minaccia di sanzioni. Nulla vieta, secondo Rantos, alla Uefa, alla Fifa e a tutte le federazioni e leghe aderenti (dunque alla Serie A nel caso Juventus) di impedire la nascita del campionato di élite ventilato prima da 12 club europei, poi rimasti solo tre. Chi vuole è libero di organizzare una competizione, sottolinea Rantos, ma al di fuori della Uefa, il cui compito, in «un’organizzazione piramidale» che va dai dilettanti ai grandi club, è quello di assicurare libero accesso al mercato a tutti. Quello espresso un anno fa dal giudice greco era solo un parere e non è vincolante, ma la prima parola della giustizia Ue sul contenzioso con la Superlega è stato un duro colpo di maglio sul futuro del torneo sognato da Juve, Barcellona e Real Madrid. Se la corte seguirà i consigli del suo avvocato non cambierà sostanzialmente nulla. Se la Uefa e la Fifa - entrambi enti di diritto privato svizzero - dovessero, invece, essere ritenute colpevoli, diventerebbe possibile la creazione di qualsiasi competizione internazionale da parte di qualsiasi soggetto. E, soprattutto per la Uefa, finirebbe il monopolio. La Super League, inoltre, sarebbe legittima e potrebbe creare una propria competizione a partire dalla stagione 2024-2025. L’eventuale progetto parallelo della A22, la società promotrice della Superlega, vedrebbe la nascita di una coppa con più divisioni, circa 60 club partecipanti e la disputa da parte di ciascuna squadra di un minimo di 14 partite a un massimo di 20. In questo caso, però, il verdetto potrebbe avere un impatto dirompente sugli equilibri del calcio. Un big bang simile a quello provocato il 15 dicembre del 1995 dall’entrata in vigore della legge Bosman che ha riscritto le regole, liberalizzando la compravendita dei giocatori a fine contratto. Quel provvedimento fu il frutto della sentenza sulla libera circolazione dei lavoratori emessa dalla Corte di giustizia Ue. Prima di allora ogni giocatore a fine contratto doveva ottenere il permesso del suo club per potersi trasferire e, per la società che vendeva, c’era un indennizzo calcolato in base allo stipendio lordo del calciatore nell’ultimo anno moltiplicato per un coefficiente che variava in base all’età del giocatore. All’epoca, il numero dei calciatori stranieri, anche comunitari, era limitato dalle norme delle varie federazioni nazionali, eccetto l’Inghilterra, che assimilava i giocatori britannici. Da quel 15 dicembre 1995 ogni giocatore a fine contratto può trasferirsi a un altro club senza indennizzo. Non solo, a sei mesi dalla scadenza del contratto, un calciatore può già firmare un preaccordo con un altro club. Il calciatore è stato insomma considerato alla stregua di un qualsiasi lavoratore e può circolare liberamente in tutta l’Europa, senza restrizioni relative alla nazionalità. Di conseguenza, anche le federazioni non possono più limitare il tetto di giocatori stranieri comunitari in campo. Il prossimo 21 dicembre gli equilibri potrebbero cambiare radicalmente anche in termini di geopolitica del pallone. Perché la sentenza dei giudici di Lussemburgo coincide con l’avanzata araba nel calcio europeo. Karim Benzema, Cristiano Ronaldo e Kalidou Koulibaly sono solo alcuni dei tanti giocatori che hanno firmato contratti da sceicchi con Pif (Public investment fund), il fondo sovrano dell’Arabia Saudita del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, fondato a Riad nel 1971. Dopo aver acquisito nell’ottobre 2021 l’80% delle azioni del Newcastle, a giugno 2023 si è accaparrato anche il 75% delle azioni di quattro squadre della Saudi Pro League. Da qui, lo shopping estivo nel mercato europeo per arricchire il proprio campionato con l’acquisto di giocatori di valore. Lo schema è simile a quello già seguito dagli Emirati arabi (col Manchester City) e dal Qatar (col Paris Saint Germain), che hanno utilizzato la piattaforma dello sport e del calcio sia per sfruttare le nuove tecnologie sia per legittimarsi a livello internazionale, lasciando sullo sfondo le ombre su diritti umani e modelli autocratici (il cosiddetto «sportwashing»). La decisione del 21 dicembre avrà dunque conseguenze sulle relazioni tra Fifa e Uefa, ma anche sulla concorrenza tra club europei e club-Stato. Come quello della ricca Arabia Saudita che potrebbe lanciare un’Opa sulle competizioni calcistiche europee o addirittura organizzare (e controllare) una Superlega globale, come è già successo nel golf.
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