2024-07-08
Caso Canfora, il coro anti Meloni si scorda del precedente Mattarella
L’intellettuale in un’intervista ha attaccato ancora il premier che l’ha querelato.Verrebbe da sussurrare al professor Luciano Canfora il ritornello «mitico» di Pino D’Angiò - scomparso due giorni fa - che ripeteva: «Che idea! Quale idea? Lo vedi che lei non ci sta!». L’esegeta barese, ottuagenario e tetragono, di Omero e di Stalin (a proposito di modelli democratici) esprime un concetto stantio al collega Concetto Vecchio di Repubblica in una paginata di accuse contro Giorgia Meloni. Ripete che lei è una neonazista e torna sulla querela che l’allora solo segretario di Fratelli d’Italia gli ha intentato nell’aprile del 2022. Pare quasi che Canfora voglia tenere il punto per rendere più aulico il suo martirologio. A domanda se è preoccupato per il giudizio per diffamazione - prima udienza fissata per il 7 ottobre - risponde: «No. Piuttosto sono stupito nello scoprire che esiste ancora il reato di opinione». La linea di difesa - peraltro supportata addirittura da una petizione internazionale partita dalla Francia dove gli intellò che stanno sulla trincea anti Marine Le Pen hanno fatto grazie a Canfora le prove per la mobilitazione generale - è sempre la stessa. «Dare della neonazista alla Meloni», sostiene Canfora, «non è una valutazione su di lei, ma un apprezzamento politico e un giudizio storico». Per spiegarsi bene aggiunge: «Il suo avvocato mi dà dello stalinista nell’animo, lo sono. I concetti peraltro evolvono». In verità la querela di Giorgia Meloni nasce da altre esternazioni del grecista. Parlando agli studenti di un liceo scientifico di Bari, Canfora l’apostrofò come «una poveretta, trattata come una mentecatta pericolosissima». Eppure c’è stato un coro per chiedere alla Meloni di non andare avanti. La figura migliore l’ha fatta Corrado Augias. Sostiene: «Un capo di governo non dovrebbe mai portare in giudizio un cittadino, in particolare quando si tratta di opinioni». In questi giorni sono continui gli appelli a Sergio Mattarella affinché fermi la deriva autoritaria di Giorgia Meloni, rea di premierato e di essersi rivolta al presidente della Repubblica per chiedere se è normale che Fanpage si sia infiltrata in Fratelli d’Italia e pubblichi i filmati dei famosi ragazzini neofascisti. E certo il presidente della Repubblica è sensibile al tema tanto che più volte ha ribadito «la stampa non può essere soggetta a censure» e da Trieste ha richiamato a evitare lo strapotere della maggioranza. C’è un però. Sergio Mattarella, supportato dai nipoti, ha querelato vincendo il giornalista Alfio Caruso reo di aver scritto nel suo libro Da cosa nasce cosa (edito nel 2000 per Longanesi) che Bernardo Mattarella, padre di Sergio e Piersanti, era in odore di mafia. Il processo è durato a lungo, Caruso dichiarò la «cronaca è stata asservita alla ragione di Stato» e ci fu una qualche polemica per la sostituzione in corsa del giudice Enrico Catanzaro con la collega Maura Cannella. Per la stessa ragione Mattarella querelò anche Rti (Mediaset) e la Taodue per la fiction Il capo dei capi. Nulla invece ebbe a pretendere da Enzo Biagi e Attilio Bolzoni (entrambi Repubblica) che riferirono le memorie del primo pentito di Cosa nostra in cui Joe Bonanno ricorda d’esser stato ricevuto al suo arrivo dagli Usa a Ciampino da Bernardo Mattarella. E nel Pd nessuno ha memoria della raffica di querele che Massimo D’Alema ha spedito quando era presidente del Consiglio, o a quelle che ha «sparato» a raffica Matteo Renzi. Siamo alle solite: l’allarme democratico dipende da chi scrive e da chi querela. Ma stavolta «con Meloni tornano gesti neonazisti» sostiene l’esegeta di Archiloco e di Stalin, dunque siamo alla resistenza! Professore, scusi, ma la canfora serve contro le tarme, non per le trame!
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)