2020-03-12
L’ossessione di giustificare i galeotti in fuga
A centinaia hanno menato i poliziotti, distrutto le carceri, svaligiato le infermerie a caccia di psicofarmaci. Ma per il garantista militante sono loro «le vittime». Nessuno tace la situazione drammatica delle prigioni, però basta con i piagnistei pro delinquenti.Poverini. I delinquenti, dico. Poverini. Hanno devastato una trentina di carceri, poverini, uno a tal punto da renderlo inagibile. Sono saliti sui tetti, hanno dato fuoco alle celle, hanno distrutto 600 posti letto, fatto danni per 35 milioni di euro e ferito 40 agenti, poverini. Che avete capito? Poverini i delinquenti, sempre. Mica gli agenti. Hanno preso d'assalto gli ambulatori, rubato 150.000 euro di psicofarmaci, poverini, e si sono fatti un'abbuffata tossica. Del resto, poverini, che cosa dovevano fare? Se gli sospendi i colloqui, è ovvio che la droga non entra più in carcere, poverini. E così sono costretti dalla società cattiva a spaccare tutto, rubare medicine e, poverini, trangugiarle fino all'overdose. E poi sono anche stati costretti a evadere, poverini. Magari facendosi proteggere dalla mafia, poverini. Santo cielo: che cosa dovevano fare? Affidarsi allo Stato? Quando ci sono i clan assai più efficienti? Per altro, state attenti a non mettervi di mezzo, mentre scappano, che poi se intralciate la fuga e vi devono uccidere, alla fine, noi che potremo dire? Soltanto una cosa: poverini. Loro, ovviamente. Per carità: che le carceri siano sovraffollate, è pacifico. Che le condizioni di vita in cella spesso siano indegne, è altrettanto vero. Che sia una colpa grave non aver costruito nuove prigioni, pure. Così come si può capire l'angoscia di chi vive all'interno di spazi chiusi, ai tempi del coronavirus. Però tutto ciò non basta a giustificare l'ondata di comprensione mediatica che ha salutato le rivolte. Praticamente una gara a giustificare le violenze. Tutti a lasciare intendere, come se fosse normale che se si sospendono le visite in carcere, non arriva più la droga. E se non arriva più la droga, l'economia dietro le sbarre ne soffre. E chi soffre fa bene a scatenare l'inferno, in contemporanea nazionale, con l'appoggio esterno dei parenti e delle cosche. Ovvio, no? E le evasioni? E va beh. È evaso uno che ha squartato la suocera? E va beh: bisogna capirlo, aveva paura dell'epidemia. E il ragazzo terribile della mafia barese? E va beh: bisogna capirlo pure lui. Che ci volete fare? È fatto così. Quando deve massacrare i cristiani riesce a mantenere il sangue freddo. Ma quando c'è l'allarme virus, gli prendono i cinque minuti e gli scatta la rivolta violenta. Come non dargli ragione? Nelle ultime ore il coro del pensiero unico politicamente corretto ha messo in scena un meraviglioso ribaltamento di ruoli. Se un vecchietto incensurato, per dire, preso dall'angoscia evade dalla solitudine casalinga imposta per decreto e va a giocare a carte con un amico, viene pubblicamente additato come un traditore della patria: eccolo lì, il menefreghista. L'irresponsabile. Il dissennato. Lo scriteriato. Se un giovane pure lui incensurato, tradito dell'entusiasmo dei suoi anni, evade dalla sua cameretta per andare a prendere una birra al pub, viene messo alla gogna come un untore, massacratore di nonni, un potenziale serial killer. Se invece un delinquente patentato evade dal carcere dove è legittimamente detenuto, è una vittima della società. Che va aiutata. Compresa. Verso cui bisogna sentirsi pure un po' in colpa. L'immagine che ne esce è formidabile: a sentire gli intelligenti in servizio permanente effettivo l'unica reclusione dalla quale si può legittimamente evadere senza alcuna riprovazione sociale è quella che è stata imposta dal giudice ai delinquenti. Se, invece, evadi dalla reclusione imposta dal coronavirus agli innocenti, sei un mascalzone. Ovvio: se non hai mai nemmeno squartato una suocera e non ti sei iscritto a un clan mafioso, non sei un problema sociale. Invece i criminali sono un problema sociale. C'è il sovraffollamento delle carceri. E come si risolve il problema sociale del sovraffollamento delle carceri? Provate un po' a indovinare. Bravi, avete azzeccato: l'amnistia. O indulto. O «liberazione speciale anticipata», che è un po' come quando chiamano armonizzazione fiscale la stangata delle tasse. In pratica un piano per liberarne 5.000. Che è un bel messaggio che viene dato, ancora una volta: se ti comporti male, ti premio. La prossima volta, penseranno i detenuti, anziché 40 agenti proviamo a ferirne 80, così magari la «liberazione speciale anticipata» riguarderà 10.000 delinquenti anziché 5.000. E se anziché 600 posti letto ne verranno distrutti 2000, chissà che non si aprano direttamente le carceri per tutti. E via. Così al sovraffollamento delle carceri non ci penseremo più. Al massimo saranno sovraffollati i cimiteri. Sento dire in giro: eh, ma uscirebbero solo quelli macchiati di reati minori. Dimenticando che sono proprio i reati minori quelli che spaventano di più, che fanno sentire insicuri i cittadini comuni. Per esempio il drogato che rapina il negozio sotto casa, o lo scippatore che aggredisce per strada la vecchietta. Ma, già, dimenticavo: che ci sta a fare per strada la vecchietta? Per strada ci deve stare lo scippatore. La vecchietta deve stare reclusa. In casa. È vietata l'evasione. Anche perché, diciamocelo, per evadere le basterebbe girare la maniglia della porta. E se non si aggrediscono un po' di agenti, se non si spacca la testa a nessuno, se non si brucia tutto, se non si assaltano le infermerie e non ci si droga nemmeno un po', come si può pensare di meritare la libertà?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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