
Il giorno dopo le apocalittiche frasi del segretario sull’«era dell’ebollizione globale», la Fao, branca della stessa organizzazione, dice: «L’agricoltura sostenibile dell’Ue mette in crisi il Sud del mondo». Ideologia contro realtà. Negli stessi giorni in cui l’Onu sembra diventata Noè, che solo con l’Arca della transizione ecologica può salvare il mondo, e lancia tremebonde e funeste previsioni sul «pianeta in ebollizione», la Fao, cioè la sua agenzia che si occupa della fame nel mondo, avverte: la Ue non può sacrificare la produzione - soprattutto agricola - in nome della sostenibilità, perché questo andrebbe a detrimento dei Paesi in via di sviluppo, e in particolare dei Paesi più poveri, cioè il Sud del mondo. Voci contraddittorie: da una parte i burocrati di New York dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, dall’altra l’agenzia Fao (che è l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) diretta dal politico cinese Qu Dongyu. Cioè, da una parte coloro che fanno piani strategici spesso astratti, e dall’altra l’agenzia che - pur essendo diventata un mastodontico apparato burocratico - ha comunque contezza di ciò che succede in termini di alimentazione e agricoltura nel Sud del mondo.In altre parole, a pochi giorni di distanza dalle spaventevoli e apocalittiche affermazioni dell’Onu, c’è chi nella stessa Onu richiama a un realismo obbligatorio, non opinabile, scarsamente discutibile e dice: attenzione, va bene parlare degli effetti del cambiamento climatico anche in termini molto negativi, ma per combattere il cambiamento climatico considerate anche altri aspetti legati alla fame nel mondo e all’agricoltura dei Paesi meno sviluppati. In altri termini ancora: se a causa delle regole della Ue l’agricoltura europea perde sia in termini di produzione che di produttività agricola si genera un grosso problema per i popoli affamati che, in termini di paralleli, stanno molti paralleli sotto di noi. La Commissione europea, nel suo green deal, spinge a raggiungere entro il 2030 uno standard globale di sostenibilità che ha al suo interno alcune regole, contenute nella strategia Farm to Fork, la declinazione agroalimentare del programma verde: dimezzare l’uso dei pesticidi, tagliare l’utilizzo di fertilizzanti per una quota del 20%, dedicare un quarto delle terre agricole all’agricoltura organica. David Laborde, direttore del dipartimento agri-food della Fao, ha dichiarato le seguenti cose: «Penso che gli obiettivi green dell’agricoltura europea siano molto importanti. È qualcosa che concerne la sostenibilità e noi non la possiamo sacrificare. Ma non significa che l’Europa possa sacrificare anche la produttività, perché si può coniugare il raggiungimento della sostenibilità incrementando, nello stesso tempo, i guadagni e la produttività del settore agricolo». Evidentemente il signor Laborde non ha certamente parlato a nome suo, ma a nome dell’organizzazione presso la quale lavora. Egli è preoccupato, perché il mondo non potrebbe farlo senza l’Europa se l’Europa stessa dismettesse il suo ruolo nella domanda e nell’offerta globale di prodotti o materie prime, in questo caso di derrate alimentari. Laborde ha inoltre affermato: «Meno l’Europa produce, meno essa esporta, e domanda di più sul mercato globale. Questo può provocare delle tensioni internazionali».Il richiamo di Laborde, quindi della Fao, è a trovare un mix fra politiche globali come quelle dell’Onu, e politiche nazionali o locali nel mantenere la leadership della stessa Europa in questo settore. In un certo senso, ci troviamo nella situazione di sempre, che non riguarda l’Onu in esclusiva, ma che riguarda moltissimi dei provvedimenti europei. Ci si pongono degli obiettivi ritenuti desiderabili - spesso altamente ideologizzati come nel caso del green deal - e poi si inizia a perseguirli imponendo regole, norme, normative e direttive, senza preoccuparsi dei loro effetti collaterali negativi. Va bene la sostenibilità ma, come ci ricorda Laborde, bisogna tenere in conto gli effetti immediati che essi causano.Tra di essi il direttore dell’Agrifood Economics Division della Fao ci ricorda che: «Negli ultimi tre anni, abbiamo potuto rilevare una crescita dell’insicurezza alimentare all’interno delle nazioni europee». Perché, se certamente il mercato non ha come obiettivo principale la cura dei poveri, ma va per la sua strada, anch’esso mantiene un ruolo fondamentale nello strappare i poveri dalla loro condizione e portarli a una condizione di dignità e di vivibilità. Certamente la funzione di donatrice, di donor dell’Europa, rimane fondamentale per questi Paesi, ma l’accesso ai mercati, che può portare con sé l’economia stessa di questi Paesi, rimane l’obiettivo fondamentale: in termini di politiche internazionali e di diritti internazionali si chiama autodeterminazione economica dei popoli». Gli obiettivi della sostenibilità devono essere più graduali, debbono considerare gli effetti immediati da un punto di vista economico, devono inoltre correggere le modalità di applicazione perché esse non determinino un arretramento economico-agricolo dell’Europa in primis e dei paesi più poveri, ancora in primis.Ideologia e realtà di solito non vanno d’accordo. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi rifletta su queste dichiarazioni contraddittorie tra l’Onu e la Fao e se ne convincerà.
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