2025-01-30
Così è nata la trappola contro la Meloni
Giorgia Meloni (Getty Images)
Altro che giustizia lenta: il legale che ha presentato la denuncia dice di averla inviata via mail venerdì e lunedì il fascicolo era già aperto. Il 18 gennaio la Corte dell’Aja predispone il mandato di arresto per il libico, ma il testo viene modificato dopo il suo rilascio.Più si approfondisce la vicenda del carceriere libico che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di mezzo governo e più si ha la sensazione di essere in presenza non soltanto di un intrigo internazionale, ma anche di una vera e propria trappola costruita per mettere in difficoltà l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.Cominciamo dalla fine e cioè da chi ha denunciato il presidente del Consiglio e i ministri. L’avvocato Luigi Li Gotti, già difensore di mafiosi e sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi. Lasciamo perdere i suoi orientamenti politici, che nell’arco di una vita passano dal Movimento sociale al Pd e concentriamoci su quanto ha detto per giustificare la sua iniziativa. In tv l’avvocato ha spiegato di aver presentato un esposto nominativo contro premier e ministri per una questione di dignità. Lui non sopporta che un boia sia stato restituito alla Libia dal governo italiano. «Vivo in un Paese civile e non accetto che possa convivere con la barbarie». Una lezione morale che si può anche condividere, ma che pronunciata da un legale che ha difeso assassini e criminali stupisce alquanto. La domanda viene spontanea: la coscienza che suscita riprovazione contro la scarcerazione di Almasri scatta solo quando non scatta la parcella? La difesa deve essere garantita a tutti? Ovvio, ma anche a un carceriere libico (e poi spiegheremo perché), non soltanto a chi ha sciolto un bambino nell’acido. Ma è l’indignazione che funziona a giorni alterni a stupire. Se si libera un presunto terrorista in cambio di Cecilia Sala non c’è problema, se si manda libero un presunto seviziatore di immigrati invece c’è eccome. Accordarsi per uno sconto di pena a un mafioso che ha sciolto nell’acido un bimbo si può fare, se invece si viene a patti con un carceriere e seviziatore libico no.Ma a parte queste semplici riflessioni, c’è un altro aspetto che merita attenzione ed è la tempistica della denuncia. Almasri viene liberato il 21 gennaio e Li Gotti sostiene in tv di aver inviato la denuncia via mail il 23, ossia giovedì scorso. Di solito sabato e domenica anche la magistratura riposa, ma già lunedì 27, come da notifica agli indagati, la Procura di Roma comunica l’iscrizione di Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano nel registro delle notizie di reato, per l’accusa di favoreggiamento e peculato. Altro che lentezza della giustizia, i pm della Capitale quando c’è di mezzo il governo sono veri e propri Speedy Gonzales. E alla velocità bisogna aggiungere anche la considerazione con cui è stata tenuta la denuncia dell’avvocato Li Gotti. In altri tempi, ad esempio quelli del Covid in cui i presidenti del Consiglio disponevano provvedimenti semi notturni che comportavano la privazione delle libertà costituzionali dei cittadini, gli esposti, invece di essere valutati con la regola dell’obbligatorietà dell’azione penale, finivano direttamente nel cestino. La favola bella dell’atto obbligato, che viene raccontata da Li Gotti ma anche da gran parte della stampa, è una bubbola per allocchi, perché tutti sappiamo che ci sono indagini che possono procedere a passo di lumaca e altre che hanno la priority, come quando ci si imbarca in aeroporto.E ora andiamo anche all’inizio della storia, ovvero al mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale. La Procura dell’Aja chiede l’arresto il 2 ottobre dello scorso anno, ma i giudici prima di prendere in esame la questione la lasciano decantare per parecchie settimane. Quando si decidono a esaminare la richiesta, Almasri è in Europa e circola liberamente nei Paesi che riconoscono la giurisdizione della Corte, ma in quei giorni i giudici non autorizzano l’arresto del carceriere libico. Poi però, quello che Li Gotti chiama boia (e che forse lo sarà, ma al momento nessuna sentenza definitiva lo definisce tale) arriva in Italia e dei tre giudici che compongono il collegio due si convincono che vada sbattuto in cella, mentre un terzo dissente e poi diremo il perché. Sta di fatto che viene notificato il mandato di cattura e il 19 Almasri viene arrestato a Torino. Perché Socorro Flores Liera vota contro l’arresto, che alla fine viene disposto a maggioranza dalla Corte? Come è scritto nelle pagine finali dell’ordinanza, il giudice dissenziente ritiene che la Corte non abbia titolo per intervenire in questa vicenda, ma poi anche i colleghi che hanno votato a favore dell’arresto sembrano dubitare di alcune accuse contro Almasri, perché poco o nulla dimostrate. Non voglio affatto sostenere che il carceriere libico sia uno stinco di santo o che sia ingiustamente accusato: probabilmente molti dei reati che gli vengono addebitati sono stati commessi. Tuttavia, i dubbi sulla possibilità di provare ciò di cui è accusato Almasri probabilmente spiegano l’esitazione della Corte, che ha impiegato mesi prima di decidere. Però non ci fanno capire perché all’improvviso il 18 gennaio i giudici decidono a maggioranza, ignorando i buchi dell’inchiesta della Procura dell’Aja e le perplessità del terzo magistrato che componeva il collegio. Soprattutto non ci spiegano perché, dopo aver disposto il 18 gennaio un mandato d’arresto, la Corte senta il bisogno di modificarlo il 24, correggendolo «per errori tipografici e materiali», per poi pubblicarlo solo il 25 gennaio, quando il «boia» è da giorni in Libia. Perché ci furono esitazioni a ordinare l’arresto quando Almasri circolava liberamente in Germania e poi tanta fretta quando arrivò in Italia, al punto da scrivere un’ordinanza che richiese una correzione? Perché, insomma, c’era un super ricercato che nessuno cercava, se non quando ha deciso di venire in Italia per godersi una partita della Juventus?
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)