2023-06-02
Lo stop dell’Europa a Orbán è una pistola puntata su tutti i governi di destra
Passa (pure grazie al Ppe) la mozione che solleva dubbi sul semestre di presidenza ungherese: un precedente pericoloso che limiterà la sovranità dei Paesi «sgraditi».Siamo alle solite. La questione – teoricamente alta e nobile – dello «stato di diritto» viene ancora una volta maneggiata, in sede europea, come arma politica ultradiscrezionale e come strumento per attaccare i governi sgraditi. Per anni – prima della guerra in Ucraina – lo si è fatto contro la Polonia, che ora è stata però resa inattaccabile dal suo posizionamento atlantista; adesso lo si fa verso l’Ungheria. Il cui governo – va detto – non fa molto per rassicurare, e anzi tende spesso a muoversi come cavallo di Troia cinese (non solo russo) nel cuore dell’Occidente.Ma ciò non rende meno pericoloso e meno illiberale il tentativo dell’Ue di aggredire un governo legittimo. Per paradosso, avrebbe più senso mettere in discussione la membership di un Paese all’interno dell’Ue: il che richiederebbe tuttavia che gli altri 26 membri avessero il coraggio di prendere una posizione esplicita, assumendosene le relative responsabilità. Ma se invece uno Stato è legittimamente parte dell’Unione, è veramente indifendibile il tentativo di Bruxelles di minacciarlo, o di mettere in discussione la possibilità di quel Paese di esercitare i diritti connessi con la partecipazione al condominio Ue. Il punto – diciamolo chiaramente – non è tanto chi sia Viktor Orbán, figura per molti versi controversa e su non pochi piani politicamente criticabile. Il punto è cosa sia l’Unione: e se sia rassicurante il tentativo ricorrente di mettere all’indice i governi di volta in volta meno graditi.Che è successo stavolta? Più o meno ogni quindici anni, ognuno dei membri dell’Ue assume – a rotazione e per sei mesi – la presidenza del Consiglio dell’Ue. E nell’estate del 2024 toccherebbe all’Ungheria. E allora, con largo anticipo, c’è chi ha iniziato a sparare contro. E così, l’altro ieri è stata discussa, e ieri è stata votata (442 sì, 144 no, 33 astensioni) una risoluzione al Parlamento europeo che «si interroga su come l’Ungheria sia in grado di svolgere questo compito in modo credibile in considerazione del mancato rispetto del diritto dell’Ue». Nel testo si legge tra l’altro che l’Ungheria potrebbe non «adempiere in modo credibile» per gli «sforzi deliberati e sistematici» del governo Orbán per minare i valori fondamentali dell’Unione. Dopo di che, il documento si produce in un confuso minestrone di argomenti (temi politici più che di principio, e quindi fatalmente arbitrari, discrezionali). Si citano, in ordine sparso: «l’approvazione di norme senza un sufficiente controllo parlamentare e consultazione pubblica», il ricorso allo «stato di pericolo», questioni legate ai diritti Lgbtiq+, non meglio precisate «violazione dei diritti sociali». Non manca un passaggio – ancora più ambiguo – sulla condanna delle «campagne anti-Ue del governo ungherese», che punterebbero a occultare la mancanza di rispetto dei cosiddetti «valori europei».Ora, si può anche essere molto critici nei confronti di Orbán: ma non si può non vedere il carattere scivoloso di un documento di questo tipo, molti passaggi del quale potrebbero essere usati anche contro un governo di destra – in un altro Paese – magari assai diverso da quello che oggi è in carica a Budapest. Dunque, si tratta di un precedente pericoloso. Ora, la risoluzione non è giuridicamente vincolante. Tra l’altro il Parlamento non può privare un Paese membro della possibilità di guida a rotazione dell’Unione. Teoricamente, dovrebbe essere il Consiglio (quindi i capi di Stato e di governo), peraltro all’unanimità, a prendere una decisione del genere, il che è francamente impensabile. È evidente infatti che, per quanti dissensi Orbán possa aver seminato, anche altri capi di governo comprenderebbero di poter essere loro i prossimi bersagli. In ogni caso, a votarla sono stati i Socialisti, i macronisti di Renew Europe, i gruppi dei Verdi e della Sinistra, più il Ppe. Contro, i conservatori di Ecr (dove ci sono gli eurodeputati Fdi), e il gruppo di cui fa parte la Lega (Identità e democrazia). Anche rispetto al Ppe, l’analisi del voto è da svolgere su più piani: c’è una scelta pericolosa sul piano di principio, c’è l’ancoraggio (che su questo tema non è stato messo in discussione) alla maggioranza ibrida con Socialisti e macronisti, ma pesa pure la vecchia disputa interna allo stesso Ppe con il partito di Orbán fino al lacerante esito del 2021. Tuttavia – inutile nasconderlo – questa scelta segna, nella circostanza, una divaricazione del Ppe dall’Ecr rispetto alla tessitura di un’alleanza di centrodestra che, alle elezioni del giugno 2024, cerchi di mandare all’opposizione almeno uno degli altri due gruppi oggi egemoni (Socialisti e macronisti).Prevedibile l’esultanza del Pd. Ecco Elisabetta Gualmini: «All’Europarlamento abbiamo votato una risoluzione che esprime contrarietà alla presidenza di turno da parte di Orbán, per le numerose violazioni dei diritti da parte dell’Ungheria. Sapete chi ha votato a favore di Orbán? Fdi e Lega. L’ennesimo schiaffo alla civiltà europea». Un grande classico: chi non vota secondo i desideri del Pd è addirittura contro la civiltà europea.
La Uss Gravely (DDG-107), una nave da guerra lanciamissili della Marina degli Stati Uniti, arrivata al porto di Port of Spain in Trinidad e Tobago (Getty Images)
Beppe Grillo. Nel riquadro, Lorenzo Borré (Ansa-Imagoeconomica)
(Guardia di Finanza)
Nei giorni scorsi, militari del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Napoli, nell’ambito delle attività di controllo economico del territorio e di contrasto ai traffici illeciti, hanno sequestrato, a Lettere, 142 kg. di infiorescenze di cannabis già pronte per il confezionamento e la vendita, oltre a 5.750 piante in essicazione e 390 piante in avanzato stato di vegetazione e maturazione, per un peso complessivo di oltre 1.000 kg., nonché denunciato un soggetto incensurato per produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti.
In particolare, i finanzieri della Compagnia Castellammare di Stabia hanno individuato, sui Monti Lattari, un capannone strutturato su due livelli, convertito in laboratorio per la lavorazione di cannabis. Il manufatto era dotato di una rete di fili di ferro al soffitto, essiccatoi e macchinari di separazione. All’interno della serra sono state rinvenute le piante in vegetazione, incastonate tra fili di nylon per sostenerne la crescita e alimentate con un percorso di irrigazione rudimentale.
Dai riscontri delle Fiamme Gialle è emerso che la produzione era destinata al consumo di droghe per uso personale dato che, nel prodotto finito, risultavano già separate le infiorescenze dalla parte legnosa, pronte per il confezionamento in dosi.
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Donald Trump e il premier cambogiano Hun Manet al vertice di Kuala Lumpur (Getty Images)