2020-04-08
Lo sport giallorosso: attaccare la Lombardia
È stata la regione più colpita. È vero che qualcosa non ha funzionato, ma ha fatto da cavia per tutta Europa. Eppure è diventata bersaglio di un'offensiva politica di violenza crescente. Sull'insipienza e sull'incapacità mostrata dal governo invece è il silenzio.Gli americani, in altre circostanze, lo chiamerebbero «victim blaming», cioè colpevolizzazione della vittima. Perché non ci sono dubbi sul fatto che, in questa epidemia feroce, la Lombardia sia una vittima: è stata la regione più colpita, ha dovuto contare i morti a mucchi, si è trovata in balia di un nemico mostruoso e cattivo, diverso e per certi versi peggiore di tutti quelli affrontati nel passato. Eppure, da giorni, questa terra già tanto provata è divenuta un bersaglio. Gli attacchi a mezzo stampa all'amministrazione guidata da Attilio Fontana sono quotidiani, e di violenza crescente. Giusto ieri un minaccioso Michele Serra scriveva su La Repubblica: «Si è cercato (non tutti) di soprassedere alla polemica politica, in questi lunghi giorni di lutto e di ripensamento. Ma l'impressione che la sanità lombarda, per esempio, abbia qualcosa da rimproverarsi, e molte cose da rivedere, è molto forte. E visto che sono proprio i governatori leghisti a pretendere la scena, bisognerà evitare che l'abbandonino quando verrà il tempo dei bilanci». Come a dire: presto faremo i conti. Toni simili aveva l'articolo di Gad Lerner sul caso del Pio Albergo Trivulzio, che alcuni media hanno voluto descrivere - nelle ultime 72 ore - come il principale scandalo italiano, l'apoteosi del Male nel pieno dell'Apocalisse.Intendiamoci: la stampa ha tutto il diritto (anzi, il dovere) di fare le pulci ai politici, di attaccarli e staffilarli anche nei momenti più difficili. Tuttavia c'è qualcosa di stonato, in questi assalti alle spalle. È senz'altro vero, come nota Serra, che il governatore lombardo Fontana (leggermente meno il veneto Luca Zaia) abbiano goduto di notevole esposizione mediatica in questi mesi. Ma c'è un motivo: sono stati i primi a dover fronteggiare la rabbia del Covid-19. Hanno fatto da avanguardia, e da cavia, per il resto del Paese, dell'Europa e dell'Occidente. Tutti gli occhi erano puntati sugli amministratori lombardi. Occhi non sempre amici, pronti a giudicare, a sferzare, a cercare la pagliuzza. Certo, Fontana (e anche Zaia) hanno fatto errori, hanno avuto cadute di stile. Ma hanno retto un colpo che avrebbe steso chiunque. Dice Serra: «Se la discrezione fosse una virtù, e se mantenere un basso profilo comunicativo fosse una prova di serietà, la sinistra batterebbe la Lega due a zero». L'editorialista cita come esempio il governatore emiliano Stefano Bonaccini, il quale senza dubbio si è fatto vedere meno in tv. Piccolo particolare: questa sottoesposizione gli ha consentito di non essere giudicato, gli ha permesso di sbagliare lontano dai riflettori. È stata una scelta politica furba, furbissima. Gli amministratori lombardi, invece, sembra che stiano pagando per interposta persona. Sono diventati «i nemici» in sostituzione del centrodestra di livello nazionale. Non potendo ringhiare direttamente a Matteo Salvini o a Giorgia Meloni (oggettivamente più laterali che prima), i colleghi progressisti si avventano su Fontana e Gallera. Ed è un fatto piuttosto curioso, se ci pensate. Dall'inizio dell'emergenza ci viene detto che non bisogna fare polemica, che non è il momento degli scontri politici, che prendersela con Giuseppe Conte è da disfattisti. Eppure, guarda un po', la Lombardia la si può fare a fette a piacimento. Abbiamo un governo che non è stato in grado di fornirci le mascherine, che ha prodotto decreti uno più confuso e pasticciato dell'altro. Però, su tutto questo, è obbligatorio il silenzio. Fontana (e in parte anche Zaia), invece, bisogna trascinarli in catene sulla pubblica piazza. Il primo a farlo, tra l'altro, è proprio Conte, che ancora lunedì insisteva: «Se la Lombardia avesse voluto, avrebbe potuto fare di Alzano e Nembro zona rossa». Proprio lui parla, quello del «siamo primi in Europa», quello delle zone rosse poi arancioni poi di nuovo rosse, delle fughe di notizie e delle conferenze stampa notturne su Facebook. Non perde occasione, il premier, di scaricare fango sulla Lombardia, e i giornali e le tv gli reggono il gioco. Sarà pur vero che i governatori di centrodestra hanno commesso errori, ci mancherebbe. Ma sul serio vogliamo paragonarli all'insipienza di Palazzo Chigi e dintorni? Per altro, anche sul piano regionale si fanno degli stravaganti distinguo. Su Fontana e Gallera si può picchiare come fabbri, inchiodandoli alla croce della zona rossa non fatta nella Bergamasca (ed è lo stesso Gallera a spiegare: «Se il governo ci avesse detto subito che non la voleva fare, ci saremmo mossi diversamente, invece siamo rimasti col cerino in mano»). Sugli amministratori locali del Pd, invece, silenzio. La Regione ha tardato con il blocco? Beh, signori, pochi giorni prima il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, incitava i suoi concittadini a riempire bar e piazze. Lo stesso faceva il sindaco di Milano Beppe Sala. Errori comprensibili pure questi? Può darsi, anzi di sicuro. Però qualcosa non torna: in base a quale criterio si viene mandati al rogo? Noi un sospetto ce l'abbiamo: che i processi siano politici. Il problema, qui, non riguarda la gestione lombarda della crisi, che è stata coraggiosa e spesso al limite del miracoloso (vedi i nuovi ospedali materializzati quasi dal nulla). No, il punto è il colore degli amministratori. Per carità, ci siamo abituati. Ma chi oggi è così solerte nel contare i peli nel naso delle vittime, dovrebbe esserlo altrettanto nel denunciare gli svarioni governativi. Non è questione di «polemica politica», bensì di dignità.
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