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2020-06-19
A rischio l'azienda tricolore di droni militari
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Ansa
A breve sapremo chi, tra italiani, asiatici e americani potrebbe aggiudicarsi Piaggio Aerospace. Ci sono diversi motivi che porterebbero a dire "fate presto", almeno per quello che l'azienda ligure ha ancora di interessante da offrire e che il tempo sta però consumando. Purtroppo la vendita si farà non tanto su basi industriali, quelle, per intenderci, che portano ad avere un prodotto vendibile e di conseguenza che generano occupazione, bensì su valutazioni che oscillano tra il sindacale, con una buona dose di utopia, e valutazioni da parte di chi è oggi concorrente di Piaggio per annettersi i contratti esistenti – interessanti - e fare piazza pulita dell'avversario. Inutile dire che il pericolo sia quello dello spezzatino senza futuro e della perdita delle competenze più tecniche. Prima della pandemia aziende asiatiche tailandesi, veri giganti delle lavorazioni metalliche aeronautiche, stavano letteralmente facendo la spesa sul mercato internazionale per eliminare potenziali concorrenti annettendo al tempo stesso competenze e aprendo così avamposti utili per la penetrazione di nuovi mercati. Del resto, ormai l'idea delle produzioni asiatiche a basso costo e qualità è qualcosa che appartiene al passato, specialmente nel settore dell'aviazione. E parlando di droni, basta vedere il numero di esemplari venduti dalla Cina in Africa e quelli che volano in Libia provenienti da Russia e Turchia.
In Italia da più parti si invoca il contratto da 160 milioni (con i servizi annessi quasi 200) per i droni P1HH da dare all'Aeronautica Militare, sebbene il punto di vista dei nostri militari al riguardo fu espresso già due anni fa dal generale Alberto Rosso, il quale ribadì che occorresse trovare un programma che garantisse ritorni operativi ed occupazionali, e che così come era il P1HH non incontrava le aspettative della Difesa. Del resto gli otto velivoli (poi sei, quindi due, ora vedremo), che sarebbero stati acquisiti con il nuovo finanziamento sono quelli a suo tempo ordinati dagli Emirati Arabi e quindi avrebbero capacità limitate. Inoltre sarebbero quasi costruiti per intero, almeno per la parte strutturale, per cui il finanziamento non avvantaggerebbe le maestranze né l'ingegneria, ma servirebbe ancora una volta per tenere alto un valore e per sedare i sindacati, perché riguardo al drone di Piaggio la verità è che bisogna fare presto ad utilizzarlo per ciò che può fare al meglio, che non è la guerra.
Le vere qualità dello HammerHead infatti sono essenzialmente tre: essere molto veloce, essere sofisticato quindi aver comportato la maturazione di competenze, e soprattutto essere l'unico ad avere 500 chilogrammi di carico utile. Un Paese sano nella politica e nell'industria ne finanzierebbe un uso civile per il trasporto automatizzato di beni urgenti su e giù per la penisola se non per l'Europa, e non cercherebbe di rifilarlo a tutti i costi a chi ha già detto che non saprebbe che cosa farne. Ma il P1HH sta anche invecchiando, e da quando poteva essere al pieno della sua competitività internazionale sono passati quasi sei anni, ovvero il mondo oggi è un posto completamente diverso da quello per il quale il drone era stato pensato e le necessità in fatto di pattugliamento e attacco stanno rapidamente cambiando.
Piaggio inoltre non è soltanto il drone. Oggi la base di Genova, in affitto presso spazi dell'aeroporto Cristoforo Colombo, è assolutamente antieconomica e viene tenuta aperta per ragioni riconducibili a quelle sindacali. Il "Service" e il "Delivery Center" sono infatti unità che potrebbero essere trasferite a Villanova d'Albenga, mentre invece l'attività di sviluppo dei P1HH e di altri nuovi progetti a villanova non può essere effettuata perché la pista dell'aeroporto Panero è troppo corta e la città troppo vicina. Ma gli ultimi governi hanno dichiarato più volte di voler sviluppare certi progetti legati ai droni presso l'aeroporto di Grottaglie, dunque in breve tempo, da sei mesi a un anno, Piaggio potrebbe rischierarsi senza problemi in una sede idonea risparmiando non poco denaro e mettendo ordine e coerenza nelle sue scelte.
Sul piano commerciale un acquisto della società da parte di realtà Usa oggi stupirebbe, gli americani hanno fatto saltare persino l'accordo tra Boeing e la brasiliana Embraer per proteggere i loro posti di lavoro e il know-how, mentre Leonardo ha già ribadito di essere interessata alla sola divisione della manutenzione motori, anche perché di droni a catalogo ne ha più d'uno, compreso il Falco Explorer dato per certificato a tempo di record quando il programma P1HH era stato rallentato. L'ex Finmeccanica non è poi interessata al progetto Piaggio per il pattugliatore Mpa (nei computer di Albenga) perché esso farebbe concorrenza agli Atr già in servizio con la Guardia di Finanza dei quali leonardo è partner.
Dunque la gestione commissariale di Vincenzo Nicastro, basata essenzialmente sull'amministrazione come da mandato, durante la pandemia ha visto l'applicazione del metodo "rimesta e difendi il tesoretto degli ordini confermati", quelli per i retrofit e le sostituzioni dei P180 Avanti dei nostri militari, un modo per tenere viva l'attenzione e il dialogo con i sindacati. Ma al tempo stesso ha visto accelerare l'invecchiamento di ciò che di buono e concreto l'azienda contiene ancora destinando una sua grossa fettaa lavorare per lo Stato anche in futuro sostenuta da soldi dei contribuenti, e di farlo anche sotto una nuova proprietà che dovesse affacciarsi. E questo agli occhi di un acquirente straniero è visto come un freno se non come un debito.
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A breve sapremo chi, tra italiani, asiatici e americani potrebbe aggiudicarsi Piaggio Aerospace. In molti temono che la vendita si farà non tanto su basi industriali, ma su valutazioni sindacali, con una buona dose di utopia, e valutazioni da parte di chi è oggi concorrente di Piaggio per annettersi i contratti esistenti.A breve sapremo chi, tra italiani, asiatici e americani potrebbe aggiudicarsi Piaggio Aerospace. Ci sono diversi motivi che porterebbero a dire "fate presto", almeno per quello che l'azienda ligure ha ancora di interessante da offrire e che il tempo sta però consumando. Purtroppo la vendita si farà non tanto su basi industriali, quelle, per intenderci, che portano ad avere un prodotto vendibile e di conseguenza che generano occupazione, bensì su valutazioni che oscillano tra il sindacale, con una buona dose di utopia, e valutazioni da parte di chi è oggi concorrente di Piaggio per annettersi i contratti esistenti – interessanti - e fare piazza pulita dell'avversario. Inutile dire che il pericolo sia quello dello spezzatino senza futuro e della perdita delle competenze più tecniche. Prima della pandemia aziende asiatiche tailandesi, veri giganti delle lavorazioni metalliche aeronautiche, stavano letteralmente facendo la spesa sul mercato internazionale per eliminare potenziali concorrenti annettendo al tempo stesso competenze e aprendo così avamposti utili per la penetrazione di nuovi mercati. Del resto, ormai l'idea delle produzioni asiatiche a basso costo e qualità è qualcosa che appartiene al passato, specialmente nel settore dell'aviazione. E parlando di droni, basta vedere il numero di esemplari venduti dalla Cina in Africa e quelli che volano in Libia provenienti da Russia e Turchia.In Italia da più parti si invoca il contratto da 160 milioni (con i servizi annessi quasi 200) per i droni P1HH da dare all'Aeronautica Militare, sebbene il punto di vista dei nostri militari al riguardo fu espresso già due anni fa dal generale Alberto Rosso, il quale ribadì che occorresse trovare un programma che garantisse ritorni operativi ed occupazionali, e che così come era il P1HH non incontrava le aspettative della Difesa. Del resto gli otto velivoli (poi sei, quindi due, ora vedremo), che sarebbero stati acquisiti con il nuovo finanziamento sono quelli a suo tempo ordinati dagli Emirati Arabi e quindi avrebbero capacità limitate. Inoltre sarebbero quasi costruiti per intero, almeno per la parte strutturale, per cui il finanziamento non avvantaggerebbe le maestranze né l'ingegneria, ma servirebbe ancora una volta per tenere alto un valore e per sedare i sindacati, perché riguardo al drone di Piaggio la verità è che bisogna fare presto ad utilizzarlo per ciò che può fare al meglio, che non è la guerra. Le vere qualità dello HammerHead infatti sono essenzialmente tre: essere molto veloce, essere sofisticato quindi aver comportato la maturazione di competenze, e soprattutto essere l'unico ad avere 500 chilogrammi di carico utile. Un Paese sano nella politica e nell'industria ne finanzierebbe un uso civile per il trasporto automatizzato di beni urgenti su e giù per la penisola se non per l'Europa, e non cercherebbe di rifilarlo a tutti i costi a chi ha già detto che non saprebbe che cosa farne. Ma il P1HH sta anche invecchiando, e da quando poteva essere al pieno della sua competitività internazionale sono passati quasi sei anni, ovvero il mondo oggi è un posto completamente diverso da quello per il quale il drone era stato pensato e le necessità in fatto di pattugliamento e attacco stanno rapidamente cambiando.Piaggio inoltre non è soltanto il drone. Oggi la base di Genova, in affitto presso spazi dell'aeroporto Cristoforo Colombo, è assolutamente antieconomica e viene tenuta aperta per ragioni riconducibili a quelle sindacali. Il "Service" e il "Delivery Center" sono infatti unità che potrebbero essere trasferite a Villanova d'Albenga, mentre invece l'attività di sviluppo dei P1HH e di altri nuovi progetti a villanova non può essere effettuata perché la pista dell'aeroporto Panero è troppo corta e la città troppo vicina. Ma gli ultimi governi hanno dichiarato più volte di voler sviluppare certi progetti legati ai droni presso l'aeroporto di Grottaglie, dunque in breve tempo, da sei mesi a un anno, Piaggio potrebbe rischierarsi senza problemi in una sede idonea risparmiando non poco denaro e mettendo ordine e coerenza nelle sue scelte.Sul piano commerciale un acquisto della società da parte di realtà Usa oggi stupirebbe, gli americani hanno fatto saltare persino l'accordo tra Boeing e la brasiliana Embraer per proteggere i loro posti di lavoro e il know-how, mentre Leonardo ha già ribadito di essere interessata alla sola divisione della manutenzione motori, anche perché di droni a catalogo ne ha più d'uno, compreso il Falco Explorer dato per certificato a tempo di record quando il programma P1HH era stato rallentato. L'ex Finmeccanica non è poi interessata al progetto Piaggio per il pattugliatore Mpa (nei computer di Albenga) perché esso farebbe concorrenza agli Atr già in servizio con la Guardia di Finanza dei quali leonardo è partner.Dunque la gestione commissariale di Vincenzo Nicastro, basata essenzialmente sull'amministrazione come da mandato, durante la pandemia ha visto l'applicazione del metodo "rimesta e difendi il tesoretto degli ordini confermati", quelli per i retrofit e le sostituzioni dei P180 Avanti dei nostri militari, un modo per tenere viva l'attenzione e il dialogo con i sindacati. Ma al tempo stesso ha visto accelerare l'invecchiamento di ciò che di buono e concreto l'azienda contiene ancora destinando una sua grossa fettaa lavorare per lo Stato anche in futuro sostenuta da soldi dei contribuenti, e di farlo anche sotto una nuova proprietà che dovesse affacciarsi. E questo agli occhi di un acquirente straniero è visto come un freno se non come un debito.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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