2019-11-04
Giovanni Toti: «La manovra è uno show: Tax factor»
Il governatore ligure: «Litigare su quale imposta mettere è perverso. In Forza Italia sono schizofrenici, prima Salvini era un usurpatore e adesso un re assoluto. Così continuano a perdere voti come in Umbria».«Ci sono tanti argomenti su cui potevano litigare i partiti di governo. Ma litigare su quale tassa mettere mi sembra particolarmente perverso, persino per un governo di centrosinistra». Presidente Giovanni Toti, governatore della Regione Liguria e leader di Cambiamo!, dunque la manovra economica del governo Conte bis è fallimentare? «È una gara a chi si inventa la tassa più fantasiosa. Una specie di talent show: potremmo chiamarlo “tax-factor"».Stupito?«Stupito dalla fantasia, sicuramente. Per il resto, governi che non hanno un briciolo di coerenza interna difficilmente possono offrire al Paese una manovra economica con una prospettiva». Insomma, queste nuove trovate fiscali non sembrano avere ragionevolezza?«Ben venga lo sviluppo sostenibile e la difesa del pianeta. Ma farlo attraverso una tassa che si scarica sui consumatori è assurdo. Aiutare le imprese e la classe media tassando le auto aziendali? È una follia. Intanto su cantieri e grandi opere siamo ancora ai proclami». In teoria dietro alle nuove tasse ci sarebbero valori nobili, come la difesa dell'ambiente e della salute?«Siamo alla tassa etica? Se mangi la merendina ti tasso. Se prendi una macchina troppo grossa ti tasso. Se bevi dalla bottiglietta di plastica ti tasso. Sarebbe più onesto dire: abbiamo bisogno di soldi, tirate fuori il portafogli».Forza Italia si astiene sull'istituzione della commissione Segre sul controllo del razzismo e dell'odio sociale. L'ala moderata del partito si ribella. Lei come avrebbe votato?«Purtroppo le mozioni di questo genere - su valori sacrosanti - spesso vengono presentate più per dividere che per unire. Ma detto questo io avrei votato a favore, se non altro per risparmiare al Paese l'immagine di un Parlamento spaccato su valori fondamentali». Non intravede il rischio di strumentalizzazione politica?«Sicuramente anche i proponenti hanno perso un'occasione: quella di inserire nella loro battaglia tutte le forme di violenza. I fischi alla brigata ebraica o le bandiere di Israele bruciate nei centri sociali, le pongo sullo stesso piano degli insulti antisemiti sui social. Ma è importante sottolineare anche le implicazioni politiche di questo voto».Cioè?«Diversi parlamentari di Forza Italia si sono sentiti a disagio su questa astensione, e pensano di avviare percorsi autonomi. Però dichiarano di volerlo fare restando nello steccato del centrodestra. Sarà un grande banco di prova: può la coalizione assimilare anche idee di dissenso? Mi auguro di sì, è il centrodestra che sogno». La lettera di Mara Carfagna al suo partito lascia intendere che il divorzio con Forza Italia è dietro l'angolo. Sia lei sia Matteo Renzi vorreste arruolarla. «Io e Renzi siamo le terre di frontiera dei due schieramenti... Come gli Stati hanno regioni più interne e regioni di confine, noi siamo sul confine del centrodestra, e Renzi su quello del centrosinistra».E chi troviamo nella «no fly zone»?«Lì c'è tanta gente, tra cui anche Mara Carfagna, la quale ha sempre avuto idee politiche liberal-conservatrici. E non capisco come potrebbe mai accompagnarsi all'ex segretario del più grande partito socialdemocratico italiano». Qualche giorno fa ha parlato con la vicepresidente della Camera: è ancora titubante su un eventuale strappo con la casa forzista?«Con lei abbiamo parlato di politica più alta. Al di là di che cosa deciderà, la domanda da farsi è un'altra: marcare la differenza tra moderati e sovranisti a che cosa conduce? Se il punto d'arrivo è la costruzione di tanti “centrini", popolati dai vari Renzi, Calenda, Carfagna e i fuoriusciti da Forza Italia, allora non ci sto: più che un progetto politico, sembra una poesia di Gozzano». Qual è l'alternativa?«L'alternativa è creare un'area popolare e liberale all'interno di un centrodestra più coinvolgente. È la strada che ho imboccato anch'io, con l'esperienza di governo in Liguria. Io la mia scelta l'ho fatta. Adesso tocca agli altri decidere da che parte stare. Tutti quelli che vogliono riequilibrare il centrodestra verso i moderati, in una sana competizione tra alleati, hanno un'occasione da cogliere». Già con la nascita di nuovi gruppi parlamentari? «Penso al disegno politico; le manovre parlamentari mi appassionano poco. Anche perché le operazioni di palazzo stanno già mettendo a dura prova l'opinione pubblica italiana. Certamente ho diversi amici sia alla Camera sia al Senato: se altri si aggiungessero, sarebbero benvenuti. E in futuro potremo formare anche un gruppo autonomo. Ma non ne faccio una malattia, non siamo al mercato delle vacche». All'interno del centrodestra, è più facile trattare con Matteo Salvini, pur riconoscendone la leadership?«Certamente. Salvini è al 37%, incoronato dagli elettori leader della coalizione. Questo non vuol dire che non si possa discutere con la Lega mantenendo la propria identità, i propri valori, e per quanto mi riguarda anche l'abbigliamento: certo non abbandono la cravatta per mettermi la felpa. Se avessi voluto diventare leghista, avrei semplicemente chiesto la tessera».Come legge i risultati delle elezioni in Umbria? «Ci concentriamo molto sul risiko parlamentare. Ma la verità che arriva dall'Umbria è chiarissima. Lega e Fratelli d'Italia sono in ottima salute, mentre Forza Italia continua a perdere consensi». Addirittura, si vocifera che Berlusconi non voglia presentare il simbolo alle prossime elezioni. Le risulta? «Conoscendo Berlusconi tenderei ad escluderlo. Faccio presente però che Toti è sempre rimasto coerente con le sue posizioni, mentre Forza Italia saltella un po' qui e un po' là. Mi accusavano di essere la quinta colonna salviniana, solo perché ho detto che con Salvini bisognava dialogare. Oggi Forza Italia considera Salvini non più un usurpatore, ma l'imperatore assoluto, tanto da volergli consegnare tutto il partito. Siamo alla schizofrenia». Il riavvicinamento di Forza Italia alla Lega deriva dalla paura della dirigenza di non essere rieletta? «L'obiettivo è salvare i fedelissimi? Legittimo. Ma se si tiene aperto un ristorante solo per sfamare le solite 40 persone…».Poi il ristorante chiude?«O si inverte la tendenza, oppure la domanda da farsi non è “se", ma “quando"». Perché si è ricandidato alla guida della Regione Liguria?«Intanto fare il governatore è una bellissima esperienza. I cittadini hanno votato la mia squadra in massa e non posso certo tradirli. E poi la Liguria non è solo un esempio di buon governo, ma anche un laboratorio politico. L'83% dei cittadini liguri ha dato fiducia a questo modello di centrodestra: a Genova, Savona, La Spezia, Imperia. Abbiamo aperto un dialogo proficuo con le categorie professionali dei portuali, del turismo, dell'impresa». Un modello esportabile a livello nazionale?«Non sempre ho avuto idee identiche a quelle della Lega, ma governare la Regione insieme è stato naturale. Sui temi dell'impresa, della semplificazione, della sanità, anche sulla scelta delle candidature, non c'è mai stata una discussione animata con gli alleati. Insomma, si può fare. E non è neanche così complicato». Ma la Lega oggi potrebbe benissimo bastare a sé stessa. «Sì, ma non basta vincere le elezioni, bisogna anche “convincere". Convincere il Paese che si è in grado di governare. E quando dico Paese, non intendo solo gli elettori, ma anche i mercati internazionali, l'Europa, la stampa, la burocrazia, insomma le élite. Il consenso bisogna saperlo gestire coltivando cultura di governo, e costruendo una classe dirigente capace». L'Emilia Romagna sarà la madre di tutte le battaglie? «Non credo. Certo, sarà una sfida durissima. Ma questo governo più prende batoste, più resta in piedi. È l'istinto di autoconservazione. Magari cambieranno qualche ministro, forse anche il premier, ma la legislatura andrà avanti».Resta ancora convinto che Berlusconi possa essere un ottimo presidente della Repubblica? «A destra l'unico che ha le carte in regola è Silvio Berlusconi, e lo dico non avendo taciuto i suoi difetti. Fuori dai partiti, l'alternativa è Mario Draghi, che sarebbe un ottimo presidente». Un nuovo metodo Ciampi? «Ci sono in effetti profonde analogie. L'Italia sta vivendo una crisi di sistema, come ai tempi del crollo della Prima repubblica: all'epoca ci salvò Carlo Azeglio Ciampi, oggi potrebbe salvarci Draghi. Un altro banchiere centrale. È la storia che si ripete».