2021-04-12
Giancarlo Pagliarini «E mia moglie è ancora senza vaccino»
Giancarlo Pagliarini (Ansa)
L’ex ministro leghista che ha denunciato le lentezze della Regione Lombardia: «Lei è malata e dimenticata. Gliene hanno combinata anche un’altra. Che cosa sta succedendo? Però il centralismo non è la soluzione»Entra tanta luce dalle finestre, in casa di Giancarlo Pagliarini, leghista della prima ora. Suonano alla porta i figli, sono venuti a trovare la mamma ammalata. «È ormai una specie di ospedale, qui, sono attrezzatissimo». Vive a letto, soffre di uno stadio avanzato di Parkinson. E, a Milano, non ha ancora ricevuto la vaccinazione. Il «vecchio Paglia» - è lui stesso a definirsi così - è appena riuscito a prenotarsi: il giorno del suo settantanovesimo compleanno, il 23 aprile, riceverà l’iniezione: «Mi farò questo regalo». Per la consorte, Sonia, invalida al 100%, ancora una data non c’è. Pagliarini ha lasciato il Carroccio nel 2007. È stato ministro del Bilancio del primo governo Berlusconi, e con Umberto Bossi primo presidente del Consiglio del governo padano. Si è sfogato nei giorni scorsi su Twitter: «Ma è possibile? In Lombardia non funziona proprio niente?». La sua Regione sulla sanità sembra aver perso qualche colpo, ultimamente.«Gliene racconto un’altra, oltre a questa assurdità del vaccino. Qualche settimana fa mia moglie è stata ricoverata per trombosi venale. Me l’hanno curata dalla malattia in un grosso ospedale milanese qui vicino, di cui per carità di patria non farò il nome. Ma me l’hanno restituita piena di ferite da decubito, impressionante».Crepuscolo di un modello?«Non so dire cosa sia successo. So però che bisogna sempre distinguere tra le strutture e le persone fisiche».Quali i distinguo sul governatore Attilio Fontana?«Sul sistema di prenotazioni dei vaccini credo lui abbia avuto come unico torto di non chiudere subito quei “bidoni” di società che si ritrovava. Le aveva ereditate dalle amministrazioni precedenti, non funzionavano ed erano in perdita. Letizia Moratti ha poi fatto bene, nel frattempo sono però stati fatti grossi danni».Come fare arrabbiare un autonomista doc: non è che la pandemia ha dimostrato che c’è qualcuno che l’autonomia differenziata non la merita?«È anzi il contrario, alla faccia di chi oggi vuole solo centralizzare. E infatti stiamo lavorando per sbloccare il referendum votato dai cittadini lombardi, veneti e dell’Emilia Romagna nel 2017. Il punto è che il sistema come è adesso è ibrido: c’è un po’ di autonomia, ma poi dipendi dallo Stato per le risorse, e non ti prendi mai le responsabilità, quelle vere. Non si capisce mai di chi è la colpa».Centralizzare non semplifica?«Perché mai lo Stato dovrebbe gestire tutto, se poi non è in grado di farlo? Le lotte tra centro e territori nella Svizzera federale non esistono proprio perché la sovranità appartiene agli enti territoriali, e lo Stato centrale è solo al servizio dei cittadini, svolge i compiti che gli vengono delegati».La Svizzera è da sempre il suo pallino.«Sì, perché funziona. E non mi si venga a dire che è piccola: è il doppio della Lombardia e ha più o meno gli stessi abitanti, quindi un confronto è possibile. In Italia ogni scusa è buona per dare la colpa allo Stato, per utilità politiche. Con l’autonomia questo inizia a cambiare. Bisogna fare una riforma federale vera, altro che».Nel frattempo però c’è l’emergenza. «Visto che non c’è nessun tipo di autonomia, a Draghi gliela darei anche la sovranità, mi sembra se la meriti. Mi è piaciuto, sui vaccini: se il problema sono i morti, date il siero a chi è anziano. Sono fatto così, non mi piacciono le cose finte, fatte a metà».Sogno federalista quindi rimandato a fine pandemia?«Per me la gestione doveva essere affidata ancor più ai territori. Occorreva responsabilizzare i sindaci, che conoscono certo meglio di Roma le proprie strade e i rischi di ciascun paese o città. È andata diversamente».Non si rischiava il pandemonio?«Modello Svezia: lo Stato, che lì non è né padre né madre dei cittadini, ha fatto delle raccomandazioni senza nessun obbligo. “Ragazzi, è una roba seria, se non fate attenzione siete morti e peggio per voi, quindi fate attenzione”. Ristoranti aperti, se uno non si fida non ci va. E la percentuale dei morti è inferiore che in Italia. Lo Stato non deve comandare, punto».Domani sono due mesi dall’insediamento del governo Draghi. «Un governo finalmente federale. Il federalismo è “diversi che lavorano insieme per realizzare un obiettivo comune”. Quella che in Svizzera chiamano la formula magica: i 4 partiti con più voti, diversissimi tra loro, sono al governo insieme e invece di litigare per il potere, come da noi, lavorano per il bene del Paese. Si discute, si decide, ma intanto si va avanti. Da noi si sta sempre fermi o si torna indietro, follia. So che è una roba banale da dire, ma io guardo a chi funziona».Un po’ stanno già litigando. Matteo Salvini dice che gli avversari sono ammalati di «salvinite».«È peggio di così: la verità è che la politica italiana è ammalata di politica. La sinistra per anni ha parlato male di Berlusconi, ora parla male di lui». Riconosce ancora il suo ex partito, o è completamente cambiato?«Io sono uscito dalla Lega perché non si parlava più di federalismo, così ho spiegato a Bossi. Spesso e volentieri ho poi continuato a votare Lega. Posso dire però che i nazionalismi io li eliminerei del tutto, perché sono sciocchezze pazzesche e hanno prodotto pure le guerre mondiali. Se si ammala un amico in Baviera e uno a Firenze, sono forse triste in modo diverso?».Il vecchio Carroccio era europeista?«Fosse per me abolirei anche la parola “estero” all’interno dell’Unione Europea. Non sa quanto mi è dispiaciuta la Brexit. Nel mondo comandano quelli forti, la Cina e gli Usa, e l’Europa non conta niente, anche perché non parla mai con la stessa voce. Dovrebbe essere unita e forte, eliminando i vecchi Stati-nazione. Scrissi sulla Padania, ai tempi: “Bruxelles ci rompe forse le scatole, ma Roma è mille volte peggio, perché ci toglie il sangue e la libertà”. Lo scriverei anche oggi. Io non sono mica cambiato, e così tanti della base leghista. Anche se la Lega è diventata un partito come gli altri, sono tucc istess (tutti uguali, ndr)».Tutti tutti?«L’obiettivo è accaparrarsi voti per essere rieletti. A Berna i parlamentari continuano a fare anche il loro lavoro, così conoscono i problemi della società. A Roma il politico è un mestiere, e quindi si cerca di non perdere il posto. Una disfunzione pazzesca».Andrà a finir male?«Ma no, io resto ottimista. Ora c’è almeno un obiettivo comune. Anche se c’è chi come il nuovo capo del Pd, Enrico Letta, che pure ha una bella testa, si mette a parlare di ius soli. Mia moglie è di origine armena, è diventata italiana a 18 anni, io sarei pure a favore di questi dibattiti, ma ti pare che proprio di questo devi parlare in un momento del genere?».Un modo forse per fare concorrenza agli altri sul terreno degli ideali?«Magari ne avessimo, di vera concorrenza. È proprio quel che ci manca, in tutti gli ambiti. Genera efficienza. Non mi stanco, le cito ancora la Svizzera: i cantoni si fanno la concorrenza anche fiscale. C’è chi abbassa le tasse, altri le tengono alte ma in cambio di più servizi. Si fanno i referendum, i cittadini votano: è permesso mettere al voto i propri sogni, ed è bellissimo».Potere al popolo. «Sì, ma hanno bocciato la proposta di eleggere direttamente i membri del governo, perché si fidano dei parlamentari che hanno votato. Gliene dico un’altra?».L’ultima, ma solo perché poi ci manca lo spazio.«Poi faremo un’altra intervista allora. Ecco qui: l’equivalente svizzero del nostro Sergio Mattarella è uno dei 7 membri del governo, e dura solo un anno. Il suo voto in qualche caso vale di più, ma è un esempio per far capire che con questi principi il sistema stesso evita si creino centri di potere».Lei da sempre è fiero di essere un «ragiunatt», un ragioniere. Fronte economia che aria tira?«Per risponderle le mostro tre titoli di giornale dell’aprile 1980 sul bilancio Montedison (va a cercarli, torna presto, ndr). Guardi: il Giornale scriveva che c’era stato un pareggio, la Stampa una perdita seppure dimezzata, la Repubblica titolava su numeri in attivo. Ecco, è solo un esempio ma vale ancora oggi: ci sono aziende forti che per fortuna resistono, stringono i denti, ma gli italiani in generale non sono abituati alla logica dei numeri, non c’è la cultura. Benedetto il cielo, stiamo facendo un debito incredibile».Arriveranno i soldi dall’Europa e…«Non arriva un tubo di niente: ci danno il permesso di fare ancora più debito e di trasferirlo sulle generazioni future. Stiamo ancora pagando quelli della Dc e Salvini dice di fare un nuovo scostamento di bilancio? Lo pagherà suo nipote, lo sa, porca miseria?».E allora che si fa?«È un casino, un gran casino. Se dobbiamo spendere facciamolo per i giovani di domani, e i ristori ai ristoranti diamoglieli con i soldi delle nostre tasse, non attingendo dalle tasche di chi è ancora non è nato».
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)