2022-05-09
Egidio Brugola: «L’Italia pensa alle bici e non al lavoro»
L’industriale: «Sempre meno considerato chi crea occupazione, la priorità va alle ciclabili e non va bene. Saldatori e manutentori prendono 70.000 euro ma sono introvabili, certe cose un robot non le farà mai».«Sì però, Cazzaniga, non mi faccia scherzi, che della Verità mi fido ma devo stare attento a tutto ormai: c’è il pensiero unico, e io voglio star tranquillo. Se intervengo alla convention della Meloni in sette minuti d’orologio per dare tre idee per le imprese, dicono che sono di Fratelli d’Italia. Se chiacchiero con Gianluigi Paragone, allora sono di Italexit… Si fa presto a dire che ho una tessera politica, quando invece sono e voglio restare semplicemente un imprenditore». Dalla voce grave, a Jody Brugola - Egidio all’anagrafe, ché «Jody non si poteva dare come nome, ma era l’anno di Scheckter che vinceva con la Ferrari» - daresti più dei suoi 42 anni, glielo dici e lo sa: «Mi succede fin da quando ero ragazzo». A Lissone, a due passi da Monza, è la terza vulcanica generazione dell’azienda Oeb: producono viti. Il nonno, Egidio pure lui, brevettò la vite con testa a incavo esagonale che tutti oggi chiamiamo con il suo cognome. Il papà, Giannantonio, scomparso 7 anni fa, era schietto ed esuberante, e quando era piccolo la domenica mattina lo portava in azienda.Il nonno ha fatto la vostra fortuna con quel brevetto. «Era il 1945: c’è chi dice che la brugola sia nata qui, altri che fosse americana o tedesca. Lui raggiunse la produzione di massa, convinse a usarla tutti gli imprenditori del Nord perché la forma garantiva elasticità e flessibilità, riduceva gli ingombri».Brianza terra di capannoni e gran lavoratori. «Qui si pensa alla sostanza, alle cose pratiche. In Brianza è da stimare la voglia di fare impresa, di dare lavoro a tanta gente».Terza generazione, strada spianata?«Mica tanto. Quando ho preso la gestione non era un periodo semplicissimo, ma sono riuscito a fare scelte drastiche e qualche rivoluzione. Nel 2015 abbiamo aperto uno stabilimento a Detroit e altri tre in Italia. E le nostre “viti critiche” per motori sono montate non solo da Volkswagen, Ford e Renault, ma ora anche da Bmw, Mercedes, Hyundai e Kia. Abbiamo raggiunto anche altri clienti, con i nostri nuovi componenti speciali non solo per i motori». Ora le cose come vanno? «Sono ottimista. Compresi gli Usa abbiamo 500 dipendenti. Nel 2019 nel settore automotive siamo stati gli unici a crescere in tutta Europa, con il record storico di 151 milioni di euro di fatturato». Poi la pandemia. «Anni abbastanza orribili, sì, ma anche in quelli siamo decresciuti meno di altri. È la qualità il nostro segreto». La guerra vi ha fatto male?«Non siamo esposti con la Russia, ma il conflitto pesa sui conti. Ed è l’ennesimo ostacolo. Abbiamo calcolato che tra gas - a marzo era 10 volte in più dello scorso anno - e l’acciaio impazzito sui prezzi anche perché c’è stata tanta speculazione, dovremo recuperare 16 milioni di euro sui costi. Si rende conto di cosa vuol dire ripartire con un “meno” di 16 milioni? Stiamo lavorando perché ci venga riconosciuto». Mica briciole. «Scarseggiano i semiconduttori elettronici. Mancano i neon. I cablaggi si fa fatica a recuperarli perché venivano dall’Ucraina. Ma la cosa più preoccupante è che non sai quanto durerà e come finirà: l’ennesima incognita che aggiunge incertezza. Se uno si deve comprare l’auto si fa mille domande, magari si tiene i soldi perché non sa cosa succederà». Un freno alla ripartenza?«Schiacciato dalla politica economica e dalla geopolitica incerta, piena di cambiamenti. Non è tutto alla luce del sole». In che senso?«Non mi fraintenda, non è un discorso da complottisti. Ma sia nella pandemia che ora con la guerra si sono venute a creare due fazioni, l’una in contrapposizione dell’altra. Si capisce poco di cosa accada realmente. Come si esce dal disagio? Non si sa. Manca una visione d’insieme, la volontà di trovare soluzioni condivise per il benessere di tutti. A pagare sono sempre i più deboli».Come questo ha danneggiato le imprese?«Gli imprenditori ci smenano, certo. I miei genitori mi hanno insegnato che se investi in un progetto vincente è giusto credere nell’ambizione, ma oggi c’è sempre un fattore esterno che rallenta. Parlo dell’economia reale, non delle cazzate finanziarie: noi investiamo sul prodotto e sul lavoro dei nostri dipendenti. Facciamo in modo di essere competitivi puntando sulla qualità. La crescita che vorremmo, però, è impossibile, finché ci sarà la paura inculcata nella testa di molti».Colpa di chi?«Le faccio un esempio che riguarda il mio settore. Troppe persone parlano di auto elettriche senza conoscenze specifiche: c’è chi dice che dal 2030 non ce ne saranno più a combustione interna. Le incertezze, però, sono davvero tante. E occorrerebbe stare attenti a sbilanciarsi, perché il percorso per la transizione è lungo, e nell’immediato così si danneggia chi lavora nella filiera dell’automotive. Gli annunci semplicistici stanno castrando e mettendo a rischio i dipendenti e le aziende che andrebbero invece sostenuti».C’è la volontà di inquinare meno, in questo caso. «La sostenibilità e il rispetto dell’ambiente sono fondamentali, per me. Dopodiché, il mondo dei sogni è bello e pulito, ma se guardi alla realtà un terzo del parco macchine italiane è a Euro 0 e in ogni caso le auto inquinano solo per il 9%. Ci sono altre produzioni che inquinano molto di più. Ma non a tutti fa comodo che venga detto, è evidente».Come mai è andato a parlare alla kermesse di Giorgia Meloni a Milano?«Mi hanno invitato per parlare d’impresa. Non sono un militante, e se mi chiedono di esprimere il mio parere accetto indipendentemente dal colore politico». Impressioni dal vivo?«La Meloni ci mette la passione e mi sembra una donna coraggiosa, in un Paese dove poche donne hanno una così grande potenzialità di potere come potrebbe averla lei secondo i sondaggi. Ho visto grande entusiasmo per la prospettiva di essere il primo partito». Ci dice per cosa ha votato di recente?«Alle ultime elezioni ho votato “10 volte meglio”, un partito di imprenditori che avrà preso lo 0,6%. Perché io voto le idee, capisce? Ancora c’è la convinzione che ci siano destra e sinistra, ma sono tutte cose superate, frutto di logiche del Novecento e di una società in cui onestamente non credo più». Cosa resta vero per lei invece?«Sono un liberale, ma un liberale vero». Cioè?«Il vero liberale vuole il massimo della libertà per la persona affinché si esprima e lavori in uno stato che garantisce il rispetto delle regole, all’interno delle quali ci si deve poter muovere liberamente. In cambio mi aspetto sicurezza, sanità e pubblica amministrazione efficienti». Lo sono?«Per niente. Troppa burocrazia. Se in Italia devi aprire un’impresa paghi il doppio rispetto ad altri Paesi, e ti tocca stare ad aspettare che la pubblica amministrazione ti dia riscontro. Delle imprese medie e piccole ormai gliene frega a pochi. Nei Comuni si pensa alle piste ciclabili: che, per l’amor di Dio, sono pure importanti. Forse però chi crea lavoro meriterebbe più attenzione».Troppe tasse?«Se le cose funzionano a me va bene pagare anche il 45% di tasse. Ma il punto è un altro. Oggi con la globalizzazione che torna indietro c’è l’opportunità di cambiare, di far tornare qui le produzioni». Necessità nell’immediato?«Toccherà presto rivoluzionare anche le scuole, capire che il mondo è cambiato. Se non parli inglese, sei fregato. Soprattutto, gli istituti tecnici vanno riprogettati. La meccanica è cambiata, e anche in molti settori noi imprenditori cerchiamo manodopera specializzata senza trovarla».Non si va verso l’automazione?«Anzi: ci sono cose che un robot mai saprà fare. Oggi un saldatore con il patentino guadagna 70.000 euro all’anno, lo sa? E pure un manutentore meccanico. Sono introvabili. Altro che giurisprudenza e scienze politiche: a Milano abbiamo più avvocati che in tutta la Francia».Mario Draghi sarà capace di cogliere questa opportunità?«È ormai quasi alla fine della sua esperienza politica, l’anno prossimo si andrà al voto. Su di lui c’era grande attesa, ma la politica è fatta di logiche incancrenite da 40 anni. Le riforme che attendiamo non sono mai state fatte. Ora vedremo come verranno spesi i soldi del Pnrr, ma spero soprattutto che chi verrà dopo Draghi capisca che occorre un respiro lungo. Anzi, sa cosa occorrerebbe fare?».Cosa?«Si dovrebbero mettere tutti a un tavolo e riscrivere le regole, fare le cose urgenti. E solo poi andiamo a elezioni. Quando sei disperato le cose le fai, dopo tendi a rimandare. Se vincesse il centrodestra di un soffio, con il proporzionale che faranno? Un’altra maggioranza ampia? Occorre tenere conto sempre che con lo spread siamo sotto il controllo dei mercati finanziari: c’è comunque poco margine di manovra».Riforme per…?«Non abbiamo materie prime, né petrolio o nuove tecnologie: le piccole e medie imprese sono una delle carte più importanti che possiamo giocarci. Con il turismo, ovviamente. Possiamo tornare a essere competitivi».Chi voterebbe nel prossimo futuro? «Cercherò di capire se qualcuno ha a cuore le problematiche di questo Paese. Bisogna dare fiducia a chi l’ha persa dopo questi due anni così pesanti. A chi è rimasto indietro. Ci sono lobby e cancrene, certo, ma un po’ di buona volontà è possibile. Mio padre fin dagli anni Sessanta ha sempre esposto il tricolore fuori dai nostri stabilimenti: ci sentiamo italiani, vogliamo investire qui nonostante tutto».
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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