2022-03-21
Aleksandr Dugin: «È una guerra alle oligarchie mondiali»
Aleksandr Dugin (Facebook)
Il filosofo noto come «ideologo di Putin»: «Il presidente russo sta combattendo i promotori del Grande Reset. Questa è una lotta della tradizione contro il liberalismo. Oggi l’Occidente moderno è il mondo dell’Anticristo».«L’Occidente globale ha puntato sull’Ucraina come Anti-Russia e ha dato strumentalmente il via libera al nazismo ucraino e alla russofobia estrema a questo scopo. Ogni mezzo era buono per combattere la civiltà ortodossa e il mondo multipolare. Putin, tuttavia, non ha preso questa piega ed è entrato nella battaglia, ma non con l’Ucraina, bensì con il globalismo, con l’oligarchia mondiale, con il Great Override, con il liberalismo e la fine della storia». Il pensiero di Aleksandr Dugin, filosofo e politologo russo ormai famoso nel mondo, non potrebbe essere più chiaro. Giorno dopo giorno, Dugin continua ad analizzare gli eventi ucraini da un punto di vista che sorvola la geopolitica e si avventura in territori metafisici che ai suoi lettori non risultano sconosciuti, anzi (i suoi scritti si possono leggere, ad esempio, su Ideazione.com). Ai suoi occhi - e a quelli di molti osservatori russi, a dire il vero - la guerra che si consuma e ci consuma in queste settimane è qualcosa di molto, molto più imponente di un conflitto per l’energia o per la sicurezza nazionale. Qui si tratta, scrive Dugin, di uno scontro fra la Russia e «l’Ordine mondiale liberale». Il filosofo viene spesso definito «vicino al Cremlino» o «ispiratore di Putin», ma è sbagliato ridurlo a un consigliori qualunque. La sua traiettoria è sempre la stessa da anni, e lungo il percorso Aleksandr non ha trascurato critiche e punzecchiature a Putin. Basta leggere i suoi libri, pubblicati in Italia da Aga edizioni di Maurizio Murelli, a partire dall’ultimo uscito, I templari del proletariato, in un realtà un testo risalente a diversi anni fa ma comunque molto suggestivo, perché già emerge chiarissimo il principale interesse di Dugin: la lotta contro il liberalismo. Una lotta che va oltre gli interessi dei singoli leader politici. «L’operazione militare speciale è diretta non solo contro il nazismo (la denazificazione - assieme alla smilitarizzazione - è il suo obiettivo principale), ma ancor più contro il liberalismo e il globalismo», sostiene. «Dopo tutto, sono stati i liberali occidentali a rendere possibile il nazismo ucraino, a sostenerlo, ad armarlo e a metterlo contro la Russia - come nuovo polo di un mondo multipolare». Qualcuno, nei giorni scorsi, si è molto scandalizzato quando Dugin ha ripetuto con garbo le sue teorie nel corso di alcune trasmissioni televisive italiane. Certe anime candide, tuttavia, dovrebbero ricordare che in nome dello «scontro di civiltà» l’Occidente ha combattuto numerose guerre nel passato anche recente, e in fondo la prospettiva duginiana non è poi troppo distante da quella di Samuel Huntington (un altro che contestava l’idea di «fine della Storia»), solo un poco più avanzata. «Perché la storia finisca (la tesi globalista, l’obiettivo del “Grande Riavvio”), l’asse della Storia deve essere rotto, distrutto», spiega Dugin. «La Russia come polo, come attore sovrano, come civiltà semplicemente non deve esistere e il piano diabolico dei globalisti era quello di minare la Russia nella zona più dolorosa, di mettere gli stessi slavi orientali (cioè, di fatto, gli stessi russi) contro di essa, e persino gli ortodossi. Per fare questo, gli ucraini dovevano essere collocati all’interno della matrice globalista, per ottenere il controllo sulla coscienza della società con l’aiuto della propaganda informativa, delle reti sociali e di una gigantesca operazione di controllo della psiche e della coscienza, di cui milioni di ucraini sono stati vittime negli ultimi decenni. Gli ucraini sono stati convinti di essere parte del mondo occidentale (globale) e che i russi non sono fratelli, ma acerrimi nemici. E il nazismo ucraino in tale strategia coesisteva perfettamente con il liberalismo, che serviva strumentalmente». Ed è proprio su questo terreno - la contrarietà o la condivisione dell’ordine liberale - che anche qui da noi si formano tante posizioni differenti sul conflitto ucraino. Qui in Italia molti, anche nel campo «conservatore» (mi passi il termine) si dividono. Molti sono affascinati dalla lotta ucraina, che interpretano come una lotta patriottica. Lei che ne pensa?«Non penso assolutamente nulla. Ho altre cose a cui pensare… Credo che stia agli italiani stessi scegliere da che parte stare in questo conflitto. Schierarsi con il pagliaccio globalista Zelensky, con i suoi estremisti nazisti o schierarsi con il presidente russo che lotta per un mondo multipolare. Questo è ciò che ciascuno deve decidere per conto suo». Sembra appunto di capire che secondo lei quello attualmente in atto sia anche (o soprattutto) uno scontro di civiltà. Il liberalismo contro la tradizione.«Sì, proprio così. Liberalismo contro tradizione. E non si può, del resto, sostenere che la Russia moderna di Putin sia il rappresentante di una tradizione. No, ahimè, non lo è. Ma il rifiuto delle pressioni dell’Occidente liberale globalista potrebbe creare i presupposti per la restaurazione della tradizione. La vittoria dell’Occidente liberale globalista ci priverebbe anche di questa possibilità».È molto interessante la sua analisi, pubblicata di recente, sulle corporation della Silicon Valley. Si sono schierate tutte contro la Russia, «in difesa della libertà e della democrazia»...«Sì. La Silicon Valley è il simbolo del dominio della tecnologia di cui parlavano Spengler e Heidegger. I tecnocrati sono contro la Russia perché la Russia incarna la cultura - o almeno i resti della cultura - e l’Occidente globalista incarna la civilizzazione».In realtà tutta l’industria mediatico-culturale occidentale si è schierata contro la Russia, da Hollywood agli intellettuali impegnati come Bernard-Henri Levy. Non pensa che questo sia dannoso per la Russia?«No. Anzi, questa è una cosa che trovo salvifica. I media occidentali, Hollywood e Bernard-Henri Levy sono l’epitome del male puro e assoluto, della menzogna e della perversione. Se tutto il male del mondo è contro la Russia, allora la Russia è dalla parte di Dio e della verità. E più decisamente rompiamo con l’Occidente, meglio è. L’Occidente moderno è semplicemente il mondo dell’Anticristo». Secondo lei non c’è il rischio che questo conflitto causi una ferita insanabile, una divisione definitiva tra la Russia e le altre nazioni europee?«No, non credo. Siamo entrati in un’era di catastrofe globale. Gli eventi si svolgeranno così rapidamente e le cose cambieranno così rapidamente che l’attuale operazione speciale militare in Ucraina sarà rapidamente dimenticata. Nel frattempo, la Russia porrà le basi per diventare un polo pieno e sovrano di un mondo multipolare. Noi ci troveremo presto in un mondo nuovo, in cui Europa e Russia saranno poste in una situazione radicalmente diversa».Come immagina il futuro dei rapporti tra Russia e Cina? Che cosa auspica a questo riguardo?«Questa è la cosa più importante in questa situazione, a breve termine almeno. È la Cina che è oggi il principale partner della Russia in un mondo multipolare. Così come la Russia è il principale partner della Cina. Se preserviamo e rafforziamo questa alleanza, sarà una vittoria. La Cina è una cultura tradizionale sotto le spoglie di una civilizzazione tecnica».Il 25 marzo il Papa consacrerà Russia e Ucraina al cuore immacolato di Maria. C’è chi pensa che sia un gesto legato alla profezia di Fatima, addirittura un tentativo di evitare la fine del mondo. Lei come la vede?«Non posso giudicare tali trame legate al misticismo cattolico. La Russia è l’eredità della Beata Vergine Maria, era e sarà. Perché venga consacrata ulteriormente da un Papa che appartiene a un altro ramo del cristianesimo non lo comprendo…».Lei ha scritto di recente di un «Grande Risveglio» in opposizione al «Grande Reset». Di che si tratta?«Ho scritto un intero libro su questo. Il Grande Reset è un piano dei globalisti per riconquistare il terreno perso negli ultimi decenni. Vogliono affrontare il populismo, la crescente sovranità di Russia e Cina, e ottenere il completo controllo dell’ideologia liberale sull’umanità. Il Grande Risveglio è qualcosa di esattamente opposto. È la realizzazione dell’umanità. Le élite globali di Biden, Klaus Schwab, Bill Gates, Bernard-Henri Levy oggi rappresentano una setta totalitaria, un regime dittatoriale che cerca di stabilire un controllo totale non solo sui corpi delle persone, ma sulle loro menti, le loro immaginazioni, i loro sogni. Ci sono solo due partiti nel mondo oggi: il Partito del Grande Reset e il Partito del Grande Risveglio». In Italia è da poco uscito I templari del proletariato. Per quanto lei stesso sembri considerare superate alcune posizioni, rimane forte il tema centrale dell’opposizione frontale al liberalismo. Lei ha appena parlato dell’esistenza di due soli schieramenti. Ma come dovrebbe comportarsi, vivendo in una democrazia liberale, chi non concorda con le idee del «Grande Reset»?«Chiunque può dire sì o no a qualsiasi ideologia - inclusa la più totalitaria e brutale. Dite no al liberalismo e vedete se potete andare avanti con la vostra vita. Se potete, allora schieratevi con il Grande Risveglio - che siate di destra o di sinistra, cioè che siate a favore del proletariato o a favore dei Templari (sostenitori del sacro Medioevo) - e portate avanti la vostra lotta».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
Continua a leggereRiduci