2019-05-18
L’Inps sbeffeggia l’eroe di Nassirya. Nessun risarcimento dopo 15 anni
Il padre del caporal maggiore Matteo Vanzan accusa: «Attendiamo ancora la liquidazione, la burocrazia ci prende in giro: li aspetto in tribunale». Nel 2004 il militare morì a 22 anni in Iraq per proteggere la base.Questa è una storia di principio. I soldi non c'entrano. Enzo Vanzan è un pensionato di Camponagara (Venezia) che nel 2004 ha perso suo figlio Matteo. L'ha perso lontano, in Iraq. A Nassirya. Il caporal maggiore Matteo Vanzan era in servizio come fuciliere presso il I reggimento lagunari «Serenissima», e alla sua seconda missione internazionale era stato comandato a protezione della base italiana Libeccio. Erano i tempi dell'operazione «Antica Babilonia». Il 17 maggio di quindici anni fa, i terroristi sciiti che facevano capo a Muqtada Al Sadr attaccarono il compound con kalashnikov e colpi di mortaio. Si scatenò l'inferno. «Gli spari piovevano da ogni lato», ricorderanno i reduci. «I colpi arrivavano da tutte le direzioni. Non erano tantissimi quelli che li sparavano, ma erano nei punti chiave, dove noi non potevamo vederli». Tra fuoco e fiamme, una scheggia di un ordigno lanciato contro la base ferì gravemente Matteo, che morì dopo poche ore di agonia. Aveva 22 anni. Oggi, il suo papà chiede giustizia. «Sono in causa con l'Inps per ottenere il trattamento di fine servizio di mio figlio, e credo che dovrò fare un'altra causa per la doppia annualità». Ossia i due anni di stipendio che, secondo la legge 206/2004, spettano ai familiari delle vittime di terrorismo. Sul Tfs già c'è stata una pronuncia favorevole della Corte dei conti del Veneto, che ha riconosciuto validi i requisiti, ma la sentenza non ha convinto l'istituto pensionistico che pure, in un primo momento, aveva assicurato la liquidazione dell'importo.il denaro non c'entra«Non è una questione di denaro, ma di rispetto delle regole», spiega alla Verità Enzo Vanzan. «Se mi spetta una cosa, e lo dice una norma della Repubblica italiana, io la pretendo». È da solo contro tutta la burocrazia nazionale, Vanzan. «Una burocrazia che fa schifo, sinceramente». Ha un altro figlio, il pensionato, e anche con lui il confronto con gli apparati statali non è stato facile. «È disabile al 100 per cento, non può muoversi né andare per uffici. Lei pensa che qualche ente ci abbia mai aiutato a sapere che cosa gli spetta e che cosa no? Non lo dicono mai, e se non lo scopriamo noi...». Anche il risarcimento per la doppia annualità, Vanzan l'ha richiesto autonomamente, studiando la legge del 2004. «Comitati, associazioni? No, nessuno ci ha aiutato. Solo una persona mi sta dando una mano, in questo momento».Il caso, sollevato dal quotidiano La Nuova di Venezia, ha già visto una prima replica da parte dell'Inps, che ha dichiarato di aver corrisposto al papà di Matteo «tutti i benefici pensionistici, previdenziali e fiscali previsti per i familiari delle vittime del terrorismo», ammettendo però che, «a seguito di un'ulteriore richiesta presentata dall'interessato nel 2016», ossia la doppia annualità, «sono in corso gli accertamenti con il ministero per la quantificazione della somma residua spettante». Vanzan è pronto ad andare fino in fondo perché ritardi si sommano ad altri ritardi, e di questo passo il riconoscimento potrebbe non arrivare mai. «Sono dei burocrati, non so neanche io come definirli. Perché un anno fa hanno detto che la mia istanza sarebbe stata presto definita, e adesso invece prendono tempo?». Il motivo di maggior rammarico dell'uomo è sempre uno. «Se non vai a scoprire tu le cose di cui hai diritto, nessuno ti dice alcunché. Anche per il Tfs, l'Inps ci ha detto adesso che non ci spetta perché Matteo non era in servizio permanente, ma in ferma volontaria, e invece la magistratura contabile ci ha dato ragione». Infatti, spiega Vanzan, «quando è morto, con il grado superiore, è passato in servizio permanente».Il 7 aprile 2006, Matteo Vanzan è stato insignito della Croce d'onore alla memoria, decretata dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e consegnata dal successore, Giorgio Napolitano, alla famiglia dello sfortunato soldato. «Io non sto combattendo questa battaglia per me, assolutamente no. Né lo sto facendo per interessi economici. Io lo sto facendo per lui, per mio figlio. Matteo è morto per la patria, questo nessuno se lo deve dimenticare. E la patria così ci tratta?».paese ingratoIn caso di accoglimento della domanda, la somma a quanto ammonterebbe? «Stiamo parlando di una cifra molto, molto esigua. Ma ripeto: l'aspetto materiale, in questa vicenda, non c'entra. C'entra invece la necessità di rivendicare un diritto. Le istituzioni stanno trattando Matteo come non dovrebbero fare. Non è giusto. E non danno certo una bella immagine dell'Italia. Che è lo stesso Paese per il quale mio figlio oggi non è più tra noi».Incrociare le spade in un'aula di tribunale non lo spaventa. «Farò un'altra causa all'Inps, non importa. Io sto trascorrendo intere giornate dietro a questo incartamento, e non mi fermo certo adesso. Perché se si deve dare quello che è giusto, quello che prevede la legge, lo dai. E stop. Basta». Per ora, a pagare è stato solo lui l'onorario all'avvocato che sta seguendo il procedimento amministrativo. «Per carità, io posso comprendere che questi burocrati abbiano i loro tempi, ma che ci voglia così tanto per fare un calcolo semplice semplice mi sembra troppo. Vuole sapere come si calcola la doppia annualità? Prendo lo stipendio, lo moltiplico per 26 mesi, tolgo quello che c'è da togliere, ed ecco il risultato». E invece, negli uffici provinciali dell'Inps di Venezia, la risposta che arriva a quest'uomo è sempre la stessa. «Siamo oberati, troppo lavoro». Non c'è tempo di prendere il fascicolo del caporal maggiore morto per servire il suo Paese.