2022-01-08
L’inferno burocratico di regole e divieti disorienta i cittadini e non frena il virus
(Riccardo Fabi/NurPhoto via Getty Images)
Le norme su pass e limitazioni sono inefficaci e complicano la vita delle persone. Ormai frustrate e rassegnate al caos.Da mesi i santoni del virus si fanno beffe di quanti tentano di arginare la malattia con integratori o altri rimedi naturali. Il governo, tuttavia, sembra aver scelto una strada ancor più irrazionale: è convinto che il Covid si curi con la burocrazia. Le misure adottate negli ultimi mesi non hanno altra possibile spiegazione: a quanto pare le nostre istituzioni ritengono che si riuscirà a far scomparire il morbo sfinendolo a colpi di regole assurde, contraddittorie e caotiche. Purtroppo, l’unico effetto reale di tale strategia è l’annichilimento della popolazione, a cui consegue il drammatico peggioramento del clima generale. Ieri, sulla Stampa, lo storico Giovanni De Luna deprecava quello che a suo dire sarebbe l’atteggiamento prevalente in molti no vax, ovvero l’«individualismo aggressivo». Ovviamente si tratta dell’ennesima e scontata variazione sul tema oggi dominante, cioè l’astio verso il non vaccinato. Al netto della banalità e del carico di pregiudizi, tuttavia, nell’affermazione dello studioso c’è un fondino di verità. Il fatto è che questo «individualismo aggressivo» sta diventando un tratto caratteristico non tanto dei no vax veri o presunti, bensì dell’intera società, e per ragioni piuttosto precise. La prima preoccupazione del comune cittadino, oggi, è la sopravvivenza, e non potrebbe essere altrimenti. Egli ogni giorno è costretto a difendersi non tanto, o comunque non solo, dall’infezione, ma soprattutto dal brulicante proliferare di regole cavillose, di decreti oscuri o evanescenti o addirittura favolosi (nel senso che se ne straparla, ma il testo non c’è). Ciascuno di noi deve farsi largo a mani nude in una foresta di liane: interpretazioni di norme fornite da improbabili siti governativi, comunicazioni confuse dei telegiornali, castronerie dei politici, esternazioni sorprendenti dei rappresentanti del Cts o di altri misteriosi centri di potere. Siamo sottoposti al regime degli azzeccagarbugli che non ne azzeccano una e ingarbugliano tutto. Prendete, ad esempio, il green pass. Prima durava un anno, ora sei mesi, però è noto ai più che l’efficacia del vaccino cessi intorno ai quattro mesi, dunque a un certo punto il doppiamente inoculato si trova sullo stesso piano dell’odiato no vax. Già questo basterebbe a spedire in manicomio persino i più resistenti. Se non fosse che per accedere al manicomio è richiesto il booster o comunque un tampone negativo. Ed è solo un assaggino, perché attendiamo con ansia l’atterraggio delle nuove restrizioni, le quali per ora sono state soltanto annunciate, poi corrette e riannunciate di nuovo, il tutto in assenza di un documento scritto. Il quale documento dovrebbe appunto consentire l’entrata in vigore di regole che superano e smentiscono quelle contenute nei decreti sfornati il 14, 24 e 29 dicembre, già piuttosto complesse per i fatti loro. Alla pubblicazione del nuovo provvedimento in Gazzetta ufficiale, par di capire, diventerà effettivo l’obbligo di vaccino a partire dai 50 anni. Sembra facile, no? Un corno, perché ai cinquantenni sarà richiesto pure il green pass rafforzato per andare al lavoro, ma solo dal 15 febbraio. Invece i più giovani dovranno limitarsi a esibire il «super green pass» per una miriade di attività tra cui prendere i mezzi pubblici, mentre il pass di antico conio resterà valido per servizi fondamentali tipo entrare alle poste. Tutto questo casino nella consapevolezza che il virus, iniezione o no, si può prenderlo lo stesso (e che le chiusure non sono comunque scongiurate). Da qui le file per i tamponi in farmacia, che però intasano il sistema e complicano ulteriormente la vita a chi aspetta un test negativo per tornare in libertà dopo la quarantena. La quarantena, a sua volta, è stata ingarbugliata più e più volte, col risultato che oggi la mossa più semplice per districarsi dal groviglio sanitario è gettare il congiunto positivo dal balcone e far finta che non sia mai esistito. Per non parlare poi delle scuole: lì le regole variano non solo a seconda di età, numero di positivi in classe e status vaccinale. E, come se non bastasse, si sovrappongono alle altre norme più generali relative ai nuclei famigliari. Avanti di questo passo e toccherà chiamare l’avvocato per capire se si può uscire di casa o dare la mano al nonno. Al lato evidentemente grottesco della faccenda s’accompagna l’aspetto più subdolo della questione. Nell’inferno burocratico, non si può fare altro che tentare di cavarsela singolarmente, provando a scansare i trabocchetti e a evitare la reclusione. Come scrisse con preveggenza Christopher Lasch, «in un’epoca di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza». Il fatto è che le regole, specie le più ferree (tipo l’obbligo), dovrebbero servire a semplificare l’esistenza alla popolazione: poche norme durissime, ma che almeno siano chiare. Invece qui alla crisi sanitaria permanente si aggiunge la crisi normativa. Dunque si vive come sotto assedio, sempre allarmati e confusi. La conseguenza è, appunto, «l’individualismo aggressivo» di cui sopra: ciascuno deve pensare a corazzarsi, e ad affrontare le avversità in una Gehenna in cui gli altri non sono che un ostacolo. Negli ultimi anni si è tanto cianciato di «resilienza», che sarebbe la capacità di assorbire gli urti. Ebbene, il punto è che quando le botte arrivano da ogni parte, c’è poco da assorbire: non resta che piegarsi su sé stessi e incassare, o direttamente crollare al suolo. Nel furore delle bastonate, ci si abbraccia la testa con le mani e si attende che passi l’onda; ci si paralizza e ci si concentra sull’istante, tutto il resto passa in secondo piano. Ecco dunque le due reazioni diverse e complementari alla crisi eterna: aggressività e impotenza. Il singolo fa muro attorno a sé, pronto a schiacciare l’altro pur di restare in piedi. Quando però, a forza di colpi, rimanere ritti non è più possibile, ci si accascia e si cerca di attutire al massimo l’impatto del manganello. Dopo un po’ non si reagisce più: si attende che finisca l’assalto. «Quando le crisi s’assommano l’una all’altra e non vengono risolte», scriveva ancora Lasch, «perdiamo ogni interesse ad agire per cambiare le cose». Infatti i più si sono ridotti a subire l’emergenza permanente, si sottopongono alla pioggia di norme senz’altra reazione che l’accettazione. Avvertono che troppe cose non tornano, magari provano frustrazione, ma non sanno bene come sfogarla. Così attendono, col rischio d’implodere sempre dietro l’angolo. Il saggio orientale inviterebbe a «cavalcare la tigre», cioè a «non farsi annientare da ciò che non si può controllare direttamente». Le bestie, però, sono più d’una, e la tigre più pericolosa è quella di carta (bollata). Dunque cavalcare non è mai stato così faticoso, e poi per praticare sport ci vuole il super green pass. A meno che non abbiate più di cinquant’anni, perché in quel caso…