La produzione tricolore nei primi tre mesi dell'anno si piazza al primo posto. La nostra manifattura da sola vale il 35% della crescita economica dell'area euro, mentre la Germania è un freno che blocca un quinto delle attività. L'Upb certifica i dati.
La produzione tricolore nei primi tre mesi dell'anno si piazza al primo posto. La nostra manifattura da sola vale il 35% della crescita economica dell'area euro, mentre la Germania è un freno che blocca un quinto delle attività. L'Upb certifica i dati.Il grafico diffuso da Bloomberg sulla produzione industriale in Italia e in Europa potrebbe cambiare i rapporti di forza politica in occasione dei prossimi scontri tra Roma e l'Ue. Da zavorra a traino. L'industria italiana ha segnato, infatti, un rimbalzo e «la performance inaspettatamente positiva di gennaio e febbraio potrebbe significare che è l'Italia a dare il maggior contributo all'aumento della produzione industriale del blocco dell'euro nel primo trimestre del 2019». Nel calcolo effettuato da Bloomberg sulla base dei dati Eurostat dei primi due mesi del 2019 spalmati sull'intero trimestre si evince che il nostro Paese concorre da solo per il 35% al segno più del Vecchio Continente. A seguire ci sono Francia, Spagna, Irlanda e Olanda con percentuali che vanno dal 30 al 15%. Valore zero da accostare a Paesi come Estonia, Lussemburgo e Lettonia. Al contrario Malta, Lituani e Portogallo sono dei freni e concorrono con percentuali negative. Il vero elemento a inchiodare l'economia dell'Europa si chiama Germania. Da sola pesa il per il 20%: nel senso che l'andamento della produzione industriale tedesca (ormai in crisi da quasi un anno) concorre a far perdere all'intera Ue un quinto delle sue potenzialità di crescita. «Il rimbalzo della produzione dell'Italia fa ben sperare per un'uscita dalla recessione», scrive Bloomberg, anche se «la terza maggiore economia dell'area dell'euro deve ancora fare molto per recuperare il terreno perso nell'ultimo decennio», viene osservato nell'analisi sottolineando che «nonostante la recente ripresa, la produzione industriale italiana rimane inferiore del 17% rispetto al picco pre-crisi del 2007, mentre la Germania è sopra del 7%». L'osservazione è più che pertinente anche se è innegabile un tema politico. Anche se la ricchezza perduta non è stata recuperata, quello che che conta adesso è aver invertito il trend. Non devono però essere dimenticati due aspetti. Il primo è che la nostra produzione industriale è connessa a doppio filo con quella tedesca. Se Berlino dovesse cadere in recessione per noi sarà molto difficile mantenere un trend di crescita come quello registrato nel primo trimestre di quest'anno. Ciò dipende dal fatto che la nostra economia si affida all'export, mentre i consumi interni sono perennemente in affanno. Un Germania kaputt, senza alternative di export e crescita interna, ci taglierebbe le gambe. Il che dovrebbe essere preso come un monito dai politici che in questo momento si lodano per gli interventi governativi sull'economia italiana. Anche se il dato positivo sulla produzione smentisce i continui allarmi dell'opposizione che descrive il nostro Paese quotidianamente sull'orlo del baratro, il dato di per sé non è correlato ai risultati della politica economica gialloblù. A meno che non diventi un dato strutturale stimolato dai consumi interni. «La ripresa del trimestre, spinta prevalentemente dalla manifattura, si registrerebbe in termini congiunturali mentre la variazione tendenziale corrispondente sarebbe invece appena negativa», spiega l'Ufficio parlamentare di bilancio che negli ultimi mesi è stato fortemente critico verso i documenti di finanza pubblica. «Lo scorso anno», ricorda l'Upb, «la crescita dell'economia italiana ha decelerato allo 0,9 per cento, dall'1,7 del 2017. Un rallentamento che, secondo il recente aggiornamento dei conti economici annuali, sarebbe stato originato dalla domanda nazionale, appena più che da quella estera netta.La crescita congiunturale si è ridotta nel corso d'anno, fino a divenire lievemente negativa nel terzo e nel quarto trimestre». Come dire, a pesare è stata la fiducia dei consumatori. Al contrario, quanto alla produzione industriale, secondo le stime Upb nel complesso del primo trimestre si registrerebbe un incremento di circa un punto percentuale rispetto alla media ottobre-dicembre. E qui si ritorna al punto di partenza. La nostra manifattura cresce, non può essere accoppata da nuove tasse e la futura manovra dovrà osare, scostarsi dal Def appena inviato a Bruxelles. Se non bastassero gli esempi degli ultimi anni, il grafico di Bloomberg dimostra che le indicazioni di Bruxelles sono velenose. Meglio stare alla larga.
Diego Moretti (Ansa)
I dem che hanno sempre criticato l’ex sindaco Anna Maria Cisint firmano una mozione sul lavoro nei cantieri navali. Ora vogliono superare il modello di immigrazione a basso costo.
«Nella sua campagna permanente contro gli stranieri che a Monfalcone regolarmente lavorano, la Cisint aggiunge un nuovo tema: ora mette in discussione anche le rimesse economiche, annunciando misure per vietarle o limitarle. Una delle tante dichiarazioni che si aggiungono a quelle del passato, sicuramente buone per costruire narrazioni false e per alimentare odio nei confronti dello straniero».
Elly Schlein (Ansa)
La leader Pd dice che la manovra «favorisce solo i ricchi», come se avere un reddito da 50.000 euro lordi l’anno fosse da nababbi. In realtà sono fra i pochi che pagano tasse dato che un contribuente su due versa zero Irpef. Maurizio Landini & C. insistono con la patrimoniale. Giorgia Meloni: «Con me mai». Pure Giuseppe Conte non ci sta.
Di 50.000 euro lordi l’anno quanti ne finiscono in tasca a un italiano al netto di tasse e contributi? Per rispondere è necessario sapere se il contribuente ha moglie e figli a carico, in quale regione viva (per calcolare l’addizionale Irpef), se sia un dipendente o un lavoratore autonomo. Insomma, ci sono molte variabili da tener presente. Ma per fare un calcolo indicativo, computando i contributi Inps al 9,9 per cento, l’imposta sui redditi delle persone fisiche secondo i vari scaglioni di reddito (al 23 per cento fino a 28.000 euro, al 35 per la restante parte di retribuzione), possiamo stimare un netto di circa 35.000 euro, che spalmato su tre dici mensilità dà un risultato di circa 2.600 euro e forse anche meno. Rice vendo un assegno appena superiore ai 2.500 euro al mese si può essere iscritti d’ufficio alla categoria dei ricchi? Secondo Elly Schlein e compagni sì.
Elly Schlein e Vincenzo De Luca (Ansa)
Dopo aver sfidato lo «sceriffo di Salerno» il segretario dem si rimangia tutto. E per Roberto Fico conta sui voti portati dal governatore, che impone ricompense per il figlio. Sulla partita veneta, Ignazio La Russa apre a Luca Zaia nel governo.
«Vinciamo»: il coordinatore regionale di Forza Italia in Campania, Fulvio Martusciello, capodelegazione azzurro al Parlamento europeo, lo dice alla Verità e sembra convinto. L’ennesima manifestazione elettorale di Fi al centro di Napoli è un successo clamoroso: centinaia di persone, il ritratto di Silvio Berlusconi troneggia nella sala. Allora crede ai sondaggi più ottimisti? «No», aggiunge Martusciello, «credo a quello che vedo. Siamo riusciti a entrare in tutte le case, abbiamo inventato il coordinatore di citofono, che si occupa di curare non più di due condomini. Parcellizzando la campagna, riusciremo a mandare a casa una sinistra mai così disastrata». Alla remuntada in Campania credono tutti: da Giorgia Meloni in giù. Il candidato presidente del centrodestra, Edmondo Cirielli, sente aria di sorpasso e spinge sull’acceleratore.
Matteo Zuppi (Ansa)
Il cardinale Matteo Zuppi, in tv, svela la fonte d’ispirazione della sua dottrina sociale sui migranti: gli «industriali dell’Emilia-Romagna». Ai quali fa comodo la manodopera a buon mercato, che riduce le paghe medie. Così poi la sinistra può invocare il salario minimo...
Parafrasando Indro Montanelli, viene da pensare che la Chiesa ami talmente i poveri da volerne di più. Il Papa ha appena dedicato loro un’esortazione apostolica, ma le indicazioni di politica economica ai cattolici non arrivano da Leone XIV, bensì dai capitalisti. E vengono prontamente recepite dai vescovi. Bastava ascoltare, venerdì sera, il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, intervistato a Propaganda live: l’immigrazione, ha insistito il cardinale su La 7, «è necessaria. Se si parla con qualsiasi industriale in Emilia-Romagna dice che non c’è futuro senza».






