
Luigi F. Bona, direttore del museo del fumetto di Milano, attacca Giuseppe Rava: «Illustrazioni orribili». Ma nel 2012 lo premiò e celebrò con una mostra.Stroncare Adam è diventato, prima ancora che il fumetto sia sugli scaffali delle librerie (ma lo trovate in prevendita sul sito della Verità), un esercizio di furore ideologico. E tale è il pregiudizio nei confronti di un'opera che è stata giudicata razzista, nazista, incline alla propaganda salviniana, tale è l'astio preconcetto dei sinistri, che qualche critico zelante ha preso una cantonata. È il caso di Luigi F. Bona, presidente della fondazione Franco Fossati e direttore di Wow spazio fumetto, il museo milanese dedicato ai comics e situato in uno stabilimento dimesso della Motta. Da qualche giorno, Bona ha preso di mira sia il profilo Facebook del nostro giornale, in cui campeggia l'annuncio del lancio di Adam, sia la fan page del fumetto con testi di Francesco Borgonovo e disegni di Giuseppe Rava.«Luigi F. Bona non consiglia Adam. Una storia di immigrazione», si legge nella sezione della pagina dedicata alle recensioni. Il giudizio tranchant? «Già la copertina si presenta come una brutta copia di Adam, fumetto già creato e ben diverso nello spirito e nei contenuti! A mio parere gli autori originari potrebbero denunciare per plagio». Riaffiora, dunque, l'accusa che era stata già mossa dal fumettista Luca Boschi su un blog del Sole 24 Ore: quella alla base di Adam è un'idea rubata a un'omonima striscia di fine anni Settanta (stesso titolo, stesso personaggio raffigurato con un coletallaccio sul frontespizio). Un'opera pubblicata prima che l'autore del fumetto della Verità nascesse e che, comunque, non ha niente a che fare con quest'ultima graphic novel. E qui veniamo al punto dolente: chi demolisce Adam non l'ha letto. Se l'avesse fatto, avrebbe scoperto che il nome del protagonista è ispirato alla figura di Adam Kabobo, il ghanese che l'11 maggio 2013 a Milano uccise a picconate tre passanti. Senza motivo. Già, l'immigrazione è anche questo: è anche i Kabobo, è anche i ragazzini di 23 anni che accoltellano i militari sperando di finire nel paradiso di Allah.Ma la polemica di Bona non si ferma lì. Il direttore di Wow, su Facebook, parla di un fumetto «disegnato e scritto talmente male, che non può dirsi copiato da niente» (ah, ecco). E sulla pagina social di Adam rincara la dose: «Il prodotto è talmente brutto e mal disegnato, che averlo stampato è già un autogol. Questa roba non è fumetto. Che i razzisti non sappiano produrre di meglio è una consolazione». Ed è qui che viene il bello. Perché i disegni orrendi che Bona disprezza sono stati realizzati dallo stesso Giuseppe Rava che, nell'aprile del 2012, fu premiato proprio da Wow spazio fumetto per le illustrazioni di guerra «realizzate per riviste di storia italiane, francesi e inglesi». Allora, nel comunicato stampa preparato per il premio Jacono, Rava veniva definito «maestro nell'arte di raccontare gli scenari bellici di ogni epoca». E l'ente diretto da Bona ospitò, in quella circostanza, un'esposizione delle sue opere. Quando, su Facebook, gliel'abbiamo fatto notare, lo stroncatore di Adam, che con ogni probabilità non si ricordava dell'episodio, ha provato a buttare la palla in calcio d'angolo: «Se è davvero lo stesso Giuseppe Rava che ha vinto il premio Jacono con i suoi dipinti, deve essergli accaduto qualcosa di terribile, poveretto. I disegni del vostro fumetto sono impresentabili». Che stranezza. Quando realizzava illustrazioni belliche Rava era un «maestro», ora che si dedica al fumetto che osa rifiutare il luogo comune dell'immigrazione come trionfo di umanità e benevolenza, ha improvvisamente perso per strada la sua arte. Forse è vittima di un incidente? Noi Rava l'abbiamo contattato e lui ha voluto rassicurare sia noi sia Bona: «Non mi è successo niente di terribile. Sto piuttosto bene». Più probabilmente, il disegnatore è reo di essersi sottratto ai diktat culturali della sinistra. Addirittura, stando a Bona, essendo Rava un «illustratore», La Verità ha fatto male a lasciar fare un fumetto a lui «che non ne ha mai fatti, senza verificare se fosse capace». E pensare che quelle illustrazioni belliche di Rava, grazie al risalto che era stato dato al premio Jacono, erano finite persino su Repubblica (mica su qualche gazzettino di estrema destra).Per carità, ognuno è libero di non gradire la qualità del prodotto, di contestare la sceneggiatura, di demolire lo stile del disegnatore. Noi, però, siamo liberi di sospettare che certi giudizi siano dettati, appunto, dal pregiudizio ideologico di una sinistra che ora si vede sfidata proprio sul terreno dell'arte e della cultura, cui evidentemente credeva di avere accesso esclusivo. Un po' la stessa reazione piccata che hanno avuto gli organizzatori di un festival all'Aquila, dove erano stati invitati Roberto Saviano e, per restare in tema, il fumettista Zerocalcare. Il sindaco di Fratelli d'Italia, Pierluigi Biondi, si era permesso di far notare che non era il caso di destinare 700.000 euro di fondi pubblici a un evento che rassomigliava a una riunione di partito, anziché alla commemorazione del decennale del terremoto del 2009. Non aveva posto veti sui due ospiti, aveva solo chiesto che fossero invitate anche pesone che la pensano diversamente. Niente. Strali contro la censura fascista.È chiaro: dalle parti dei Roberto Recchioni, dei Gipi e dei Luigi F. Bona c'è un nervo scoperto. Quando qualcuno fa ingresso nel loro recinto, avventurandosi sul terreno di temi caldi come il lato oscuro dell'immigrazione, questi signori non riescono più a ragionare lucidamente. Agiscono per partito preso. Non hanno sfogliato una pagina di Adam, non si sono presi nemmeno la briga di verificare chi fosse il disegnatore. Hanno solo sparato a zero. Ma come? Non bisognava difendere la cultura? Possibile che la cultura la sappiano produrre solo loro?
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






