2022-09-18
Le pressioni per un ministro del Mef che non scontenti gli amici americani
Agli States l’unica cosa che sta a cuore è che l’Europa compatta mantenga le sanzioni contro Mosca. Washington insiste per avere un ministero dell’Economia che garantisca continuità su questo tema.C’è una Georgia sulle rive del Mar Nero, ex Urss, nota per aver dato i natali a Iosif Stalin nonché all’astro nascente del calcio europeo, Khvicha Kvaratskhelia, attaccante del Napoli. Poi c’è una Georgia governata da Washington, con capitale Atlanta. E infine c’è una Giorgia, assai pressata, anzi incalzata proprio da Washington, che di cognome fa Meloni. Le parole pronunciate l’altro ieri in conferenza stampa da un enigmatico ma neanche tanto Mario Draghi sono un segnale ben preciso: «C’è quello che ama i russi alla follia», ha detto Draghi, «e vuol togliere le sanzioni e parla tutti i giorni di nascosto con i russi, c’è, c’è pure lui». Parole che vanno messe in collegamento con il famigerato report del Dipartimento di Stato Usa sui 300 milioni di euro con i quali Mosca avrebbe finanziato partiti politici esteri, anche europei. Vero è che prima Franco Gabrielli, sottosegretario a Palazzo Chigi con delega alla sicurezza della Repubblica, e poi lo stesso Draghi, hanno dichiarato che «per l’intelligence Usa non ci sono stati finanziamenti russi a partiti o candidati in Italia»; ma vero è pure che la Cia non è esattamente una casa di vetro, e quindi da un momento all’altro può spuntar fuori un altro documento, una fotocopia, una cartellina impolverata in grado di mandare per aria il futuro governo-Meloni.Agli States, al di là di tutta la polemica sulle armi all’Ucraina, l’unica cosa che sta a cuore davvero è che l’Europa compatta mantenga in piedi le sanzioni contro Mosca, perché sono il vero strumento per debilitare la Russia. Per essere sicuri che tutto continui a funzionare bene (per Washington) c’è bisogno che il prossimo ministro dell’Economia sia pienamente affidabile, gradito a Joe Biden, Mario Draghi e naturalmente, come prevede la Costituzione, a Sergio Mattarella. È proprio al ministero dell’Economia, infatti, che vengono messi a punto i decreti attuativi delle sanzioni commerciali, finanziarie e così via contro la Russia. È quella, a quanto risulta alla Verità, la casella che Giorgia dovrà riempire tenendo presente la necessità di non scontentare gli «amici» americani. Mattarella, vigile ma defilato, sta preparandosi a conferire l’incarico all’unica leader che non lo ha rivotato, ma pure a intervenire nel caso Giorgia avesse in mente di ripetere il caso-Savona. Ricorderete tutti quando Giuseppe Conte, premier da Lega e M5s, si presentò al Quirinale con il nome di Paolo Savona per il ministero dell’Economia: Mattarella, preoccupato per le reazioni internazionali, bocciò senza appello la proposta. Era il 27 maggio 2018, il «no» di Mattarella a Savona scatenò l’ira di Luigi Di Maio, all’epoca ancora politicamente scapigliato, che arrivò a proporre l’impeachment del capo dello Stato. Mattarella pronunciò un discorso rimasto scolpito nella pietra: «Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia. La designazione del ministro dell’Economia», scandì un determinato Mattarella, «costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari». Indovinate chi fu l’unica leader italiana a invocare, insieme al M5s, l’impeachment per Mattarella? Indovinato: Giorgia Meloni, che lo stesso giorno, a proposito del no a Savona, scandì: «Se questa notizia fosse confermata sarebbe drammaticamente evidente che il presidente Mattarella è troppo influenzato dagli interessi delle nazioni straniere, dunque Fratelli d’Italia, nel caso in cui questo veto impedisse la formazione del nuovo governo», aggiunse la Meloni, «chiederà al parlamento italiano la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica per alto tradimento». Alla fine al Mef andò Giovanni Tria, e il governo gialloverde salpò.Sono passati quasi cinque anni, ma sembrano cinque secoli: ora che (salvo clamorosi imprevisti) sta per toccare a lei, Giorgia Meloni l’influenza delle potenze straniere è costretta a subirla sorridendo, e dovrà concordare con gli States il prossimo titolare del Mef. Il nome? Chi lo sa: quello che si sa è che, per fare un esempio, è difficile che Giulio Tremonti possa spuntarla, visto che Mario Draghi, politicamente parlando, lo detesta. E Draghi (che domani sarà a New York, per l’assemblea generale dell’Onu), insieme a Mattarella, dovrà garantire sulla affidabilità della Meloni presso la Casa Bianca, che non dimentica le trumpate di Giorgia. Lei, da parte sua, continua a lanciare segnali di atlantismo appassionato: «Non sono d’accordo», ha detto ieri la Meloni, proprio a proposito delle sanzioni alla Russia, «con chi dice che non stanno funzionando. Le sanzioni sono lo strumento più efficace che abbiamo nell’attuale contesto, tutti quanti abbiamo letto i dati economici della Russia: era stimata una crescita del 6 per cento del Pil, adesso sta festeggiando una chiusura a meno 3,5 per cento, secondo i dati ufficiali della propaganda russa. Questo è l’effetto delle sanzioni. Credo soprattutto», sottolinea una contrita Meloni, «che l’Italia non debba e non possa discostarsi dalle scelte della comunità internazionale alla quale appartiene». E le parole sibilline di Draghi? «Non so a chi Draghi faccia riferimento», ha aggiunto una sfuggente Meloni, «però io guardo i fatti e per quello che riguarda il centrodestra è sempre stato compatto non solo nel condannare, ma nel votare i provvedimenti che erano necessari a sostenere l’Ucraina». «Well done!», avranno pensato oltreoceano, ma il banco di prova per la Melony, la Giorgia versione americana, sarà la formazione del governo.
Jose Mourinho (Getty Images)