
Nel 1923 la città nel Nord della Francia ospitò la prima edizione della gara automobilistica più famosa e iconica al mondo. Ripercorriamo la sua storia attraverso i racconti e gli aneddoti dei piloti che alla 24 Ore hanno consacrato la loro carriera.Non servono conferme dall’onnisapiente Wikipedia per realizzare che la 24 Ore di Le Mans è non solo una delle tre gare totem della stagione, anzi della storia automobilistica. Le altre due sono il Gran premio di Formula 1 di Monaco e la 500 Miglia di Indianapolis: autentiche fucine di episodi di cronaca, di numeri e aneddoti che danno vita all’accademia delle corse, che sanciscono l’evoluzione di questo sport e di chi vi partecipa o vi ha partecipato: piloti, team, case automobilistiche. Ma Le Mans va oltre: ha scritto, con il suo secolo tondo tondo di storia, anche l’evoluzione della tecnologia dell’automobile. L’auto vicina a quella di serie, quella che tutti o quasi utilizziamo ogni giorno.[...] Vincere la 24 Ore non è soltanto «andare forte». È riuscirvi per 24 ore di seguito, con la luce e con il buio, in condizioni ambientali spesso in cambiamento continuo fra asciutto e bagnato e nebbia notturna. Il tutto all’inseguimento di potenzialità tecniche che le vetture sono in grado di assicurare per tutta una giornata ma a patto che la loro gestione, dalla guida al lavoro dei box, sia perfetta dalla prima all’ultima curva. Sintetizza Jacky Ickx, uno dei piloti monumento del ’900, che l’ha conquistata per ben sei volte, che vincere la 24 Ore, evitare tutte le sue possibili trappole, è come centrare un pieno alla roulette. Una possibilità, soltanto una, che tutto vada giusto sino alla fine, ammesso che tu abbia un volante competitivo a sufficienza. E non 36, ma 36mila sono le chance che qualcosa, qualsiasi cosa, anche piccolissima come un bullone difettoso, vada storto. Tom Kristensen, pilota danese, questo pieno al casinò l’ha centrato nove volte, su 18 partecipazioni in totale. Il suo conteggio statistico è semplice: una puntata sì e una no al tavolo verde. «Intendiamoci: vincere Le Mans significa sempre e comunque andare fortissimo, quasi sempre al massimo, evitando anche il minimo errore. Questo, turno dopo turno di guida; ripresentandosi in pista nella massima forma dopo brevi riposi; interpretare sempre al livello top lo straordinario sforzo di squadra che un team impegnato in una 24 Ore produce con la precisione di un’orchestra e con un unico spartito. Questo significa tantissimo, per un pilota che deve mantenere concentrazione e lucidità intatte nonostante la stanchezza, inevitabile. Deve capire al volo quando risparmiare i freni o carburante perché si trova quasi alla fine di un turno di guida», ricorda oggi Kristensen. [...] «Mio padre, Karl Erik, gestiva una stazione di servizio», ricorda. «Per me, come spesso accade per i ragazzini, era un eroe e mi tolsi dalla sua scia grazie ai primi successi nel karting. Ma il sogno di avere anch’io, un giorno, una mia stazione di rifornimento mi torna alla mente spesso. Anche se il mondo delle corse continua a chiamarmi. Le 24 Ore sono il mio territorio, la mia specializzazione» [...] Per capire il peso dello sforzo, umano e tecnico, necessario per vincere la 24 Ore francese, è preziosa anche la testimonianza di Emanuele Pirro, terzo vincitore di sempre a Le Mans grazie ai cinque successi ottenuti fra il 2000 e il 2007 e sempre riuscendo, in questo periodo, a salire sul podio. «Dici Le Mans e tutti pensano alla gara», racconta Pirro. «Ma in realtà l’evento inizia un anno prima, subito dopo la fine dell’edizione precedente. Con Audi disputavamo infinite sessioni di test, provando tutto, sperimentando ogni minimo particolare tecnico o condotta di gara, simulando qualsiasi tipo di inconveniente tecnico. [...] Nella settimana prima del sabato fatidico, poi, l’impegno e l’adrenalina salgono di giorno in giorno, quasi di ora in ora. C’è la presentazione, la parata per le vie di Le Mans che è bellissima, molto colorata, dove si inizia a sentire l’entusiasmo della gente del posto, del pubblico che nel weekend di corsa può contare 300mila spettatori. Quando si arriva alla partenza, è quasi una liberazione. E a questo punto lo sforzo è mantenere il massimo livello di concentrazione, di razionalità: l’emotività deve scendere al minimo, per riuscire a produrre il miglior gesto tecnico. È impossibile dire che al via della gara si arriva riposati. Io ho corso per tanti anni per Audi, un gigante di questo sport. E lo vivevo come un privilegio e come uno stimolo. Spesso provavo una forte voglia di andare a dormire un po’, ma la cornice di Le Mans, la sua festa sempre più coinvolgente, i tanti eventi di contorno, regalano ai piloti un clima eccezionale, irripetibile». Dopo di che, una volta in gara, i tanti amici, sorrisi, feste, lasciano il posto al vero mostro di Le Mans: la sua crudeltà. Del rischio estremo della 24 Ore, dell’incidente anche grave spesso dietro l’angolo, abbiamo già parlato. Ma è il rischio più piccolo, che ti segue come un’ombra curva dopo curva, frenata dopo frenata. L’errore, qualsiasi errore può risolversi con un brivido isolato e una isolata accelerazione di pulsazioni, ma può anche diventare irrimediabile e troncare di netto il lavoro magari perfetto eseguito fino a quel momento. [...] Per oltre quattro decenni della sua prima vita, la gara francese annoverava nella sua (ricchissima) cornice tipica anche una partenza... a piedi. Vetture parcheggiate su un lato del rettilineo davanti ai box, parallele e in diagonale; i rispettivi piloti in tuta e casco dall’altra parte dell’asfalto, pronti a scattare al segnale del via, correre verso il proprio abitacolo, infilarvisi e partire all’impazzata, senza neanche allacciarsi le cinture di sicurezza e rimandando l’incombenza al primo momento possibile di relativa tranquillità in gara. [...] Jacky Ickx era allora il tipico esponente di quella generazione di piloti glamour: giovani, belli e di successo con le loro ragazze sempre bellissime al seguito, spesso attrici o comunque stelle dello spettacolo, del jet set. Lui non faceva differenza e in quella cornice iridescente di Le Mans riluceva come del resto faceva anche nei Gp di Formula 1. Ma la Le Mans del 1969, con quella partenza teatrale in segno di protesta, resta come una gemma della sua corona anche perché 24 ore dopo la vittoria fu sua, e con il distacco più ridotto della storia della gara. «Sono un sopravvissuto», confessa oggi Ickx. «A 78 anni posso dire di avere portato a casa la pelle».
Nadia Battocletti (Ansa)
I campionati d’atletica a Tokyo si aprono col secondo posto dell’azzurra nei 10.000. Jacobs va in semifinale nei 100 metri, bronzo nel lancio del peso per Fabbri.
Ansa
Partita assurda allo Stadium: nerazzurri sotto per due volte, poi in vantaggio 2-3 a un quarto d’ora dalla fine. Ma la squadra di Chivu non riesce a gestire e all’ultimo minuto una botta da lontano di Adzic ribalta tutto: 4-3 Juve.
Maria Sole Ronzoni
Il ceo di Tosca Blu Maria Sole Ronzoni racconta la genesi del marchio (familiare) di borse e calzature che punta a conquistare i mercati esteri: «Fu un’idea di papà per celebrare l’avvento di mia sorella. E-commerce necessario, ma i negozi esprimono la nostra identità».
Prima puntata del viaggio alla scoperta di quel talento naturale e poliedrico di Elena Fabrizi. Mamma Angela da piccola la portava al mercato: qui nacque l’amore per la cucina popolare. Affinata in tutti i suoi ristoranti.