2021-05-04
Le manovre «democratiche» di Biden per creare un 51° Stato di sicura fede
Joe Biden (Melina Mara-Pool/Getty Images)
La Camera dei rappresentanti ha approvato un disegno di legge per dare alla capitale Washington, che al 92% ha votato l'Asinello, due senatori e un deputato. Piegando le istituzioni Usa agli interessi di partito.A fine aprile, la Camera dei rappresentanti ha approvato, su iniziativa dei democratici, un disegno di legge - il «Washington, Dc Admission Act» - per rendere Washington Dc il cinquantunesimo Stato dell'Unione. Il provvedimento, che ha incassato l'endorsement della Casa Bianca ed è passato a strettissima maggioranza, prevede che il nuovo Stato avrà diritto a due senatori e a un deputato, mentre il suo nome sarà «Washington, Douglass Commonwealth» (dal noto politico abolizionista afroamericano Fredrick Douglass). Del nuovo Stato non farebbe parte solo una piccola porzione di terreno (comprendente la Casa Bianca, il National Mall e poche aree circostanti), che resterebbe sotto la giurisdizione del Congresso. Ricordiamo, per inciso, che la capitale è stata inserita in un distretto federale per evitare che - come paventato da James Madison - un eventuale Stato ospitante potesse acquisire eccessivo potere a discapito degli altri. Il punto è che, al di là di tutte le considerazioni che si possono fare, questa iniziativa legislativa mette in luce (una volta di più) come i dem stiano cercando di piegare le regole istituzionali agli interessi di partito. In primis, un provvedimento di tale importanza avrebbe forse dovuto essere portato avanti nel modo più bipartisan possibile. Invece il disegno di legge è stato approvato con appena 8 voti di scarto, senza che un solo deputato repubblicano (anche tra quelli ostili a Donald Trump) si sia espresso a favore. In secondo luogo, questo disegno di legge rischia seriamente di essere incostituzionale. Per rendere Washington Dc uno Stato non sembra infatti bastare la legislazione ordinaria ma pare necessario un emendamento costituzionale: un processo quindi particolarmente complesso. D'altronde, che la questione debba essere in caso affrontata attraverso un emendamento alla Costituzione è stato sostenuto, in passato, anche dal Dipartimento di Giustizia: sia ai tempi dell'amministrazione Carter (democratica) sia ai tempi dell'amministrazione Reagan (repubblicana). Esiste poi un ulteriore problema tecnico. Questo disegno di legge lascia in vigore (e non potrebbe del resto fare altro) il 23° emendamento, il quale attribuisce al Distretto un numero di grandi elettori per le elezioni presidenziali non superiore a quello cui ha diritto lo Stato meno popoloso dell'Unione (al momento il Wyoming): il che vuol dire che attualmente Washington Dc gode di tre grandi elettori. Ne consegue che, se passasse definitivamente il «Washington, Dc Admission Act», quella piccola porzione di terreno che non rientra nel nuovo Stato continuerebbe a disporre della possibilità di assegnare tre grandi elettori in occasione delle elezioni presidenziali. È vero che il disegno di legge chiede la celere soppressione del 23° emendamento, ma - al di là dell'intenzione - non c'è alcuna garanzia che tale abrogazione possa avere effettivamente luogo in futuro. Nonostante queste difficoltà, i dem sostengono che la statualità di Washington Dc sia necessaria per dare piena rappresentanza politica a 700.000 cittadini statunitensi, di cui - secondo The Hill - quasi la metà afroamericani. Effettivamente il Distretto - per quanto riguarda il Congresso - può eleggere oggi soltanto un delegato, alla Camera, senza diritto di voto. Tuttavia il dubbio che ci si trovi davanti a una manovra dettata da calcoli elettorali resta. Ricordiamo infatti come il District of Columbia abbia una popolazione prevalentemente democratica: il 92% dei suoi elettori ha votato per Joe Biden l'anno scorso. Non è quindi esattamente escludibile che l'intento primario dei dem sia quello di avere un nuovo Stato, che eleggerebbe con ogni probabilità parlamentari a proprio sostegno. D'altronde, come ha notato il Wall Street Journal, se il problema fosse realmente di rappresentanza politico-parlamentare, la soluzione più semplice sarebbe quella di restituire parte del territorio del Distretto agli Stati che lo hanno originariamente ceduto: questo è quanto successe, per esempio, nel 1846 quando il Congresso ripristinò il controllo della Virginia sulla contea di Alexandria. In tal senso, i repubblicani hanno introdotto un nuovo disegno di legge per restituire le aree residenziali di Washington Dc al Maryland. Una soluzione del genere scontenta tuttavia i dem, perché li priva della (quasi) certa possibilità di disporre di tre parlamentari in più. Senza comunque trascurare che non tutto l'asinello è compatto sulla questione. Il senatore dem, Joe Manchin, si è infatti già detto contrario al provvedimento. «Se il Congresso vuole fare del District of Columbia uno Stato, dovrebbe proporre un emendamento costituzionale», ha detto venerdì. Una posizione che pesa e che molto probabilmente farà naufragare il disegno di legge al Senato. Intanto però, oltre alla questione di Washington Dc, la leadership dem continua a proporre provvedimenti divisivi: la contestata riforma elettorale, l'aumento dei giudici della Corte Suprema, l'abolizione del «filibuster». Torniamo quindi a chiederci: che ne è dell'unità nazionale promessa da Biden?
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)