2023-12-09
Le macchinazioni per portare Draghi a capo dell’Ue
Secondo «Repubblica» c’è un piano Parigi. Per Giorgia Meloni sarebbe dura opporsi all’italiano amato all’estero. Lui per ora nega.Mario Draghi al vertice della Commissione Ue. Se ne era già occupato Panorama tre settimane fa. Un po’ come auspicio, un po’ con timore visto che Mr Bce su molti dossier si è dimostrato cura e malattia. Dalle privatizzazioni in avanti. Ieri, è stato il turno di Repubblica con un titolo a tutte colonne dal significato inequivocabile. «Il candidato Draghi». Il corrispondente del quotidiano che fu di Eugenio Scalfari snocciola una serie di indiscrezioni provenienti dalle cancellerie tedesche e francesi. In sintesi, Emmanuel Macron sarebbe pronto a calare l’asso e proporre il nostro ex presidente del Consiglio come candidato «tecnico» alla Commissione. In un colpo solo sfilerebbe la poltrona più ambita alla contesa che sarà inevitabilmente aspra tra Ppe, Ecr e Pse. Si garantirebbe un’investitura che da sola varrebbe molto più dei voti e del peso che il suo gruppo RenewUe potrebbe mai esprimere, farebbe un favore a Olaf Scholz che così potrebbe gestire le sue beghe interne, affidando ai Verdi qualche ruolo in Commissione. Infine, andrebbe dritto al sodo nel rapporto con l’Italia. Secondo Macron - scrive sempre Repubblica - Giorgia Meloni non potrebbe mai dire di no a Draghi. Per stima e perché sostanzialmente ne ha seguito le orme lungo le strade dell’Ucraina, del Pnrr e delle riforme correlate. Senza contare che renderebbe anche più semplice per il nostro Paese indicare nomi per la Commissione o altri ruoli nel Consiglio. Non sappiamo se la trama della storia e quindi il progetto di Macron sia vero. È però molto verosimile.E per capirlo ci piace percorrere i corridoi di Bankitalia dove almeno fino a poco tempo fa era esposto il dipinto di Draghi. Una tela a firma Giuseppe Carta, pittore e scultore sardo celebre per le sue melagrane giganti. Mr Bce è ritratto in piedi. Poggiato alla scrivania. Sopra il desco c’è una pila di libri a forma di piramide. Al fianco della piramide tre biglie o, forse, sfere di eguale circonferenza. Due sono rosse e una blu, striate di bianco. (Solo una coincidenza con la bandiera francese). Qui sta la perfetta sintesi del modello Europa che potrebbe portare Draghi a Bruxelles. Un posto di comando piramidale, tipico del tecnico che mastica molto di politica ma a cui non è richiesta alcuna campagna elettorale. Le tre sfere sarebbero i tre requisiti per governare una nave in tempesta. Carisma, tecnica e analisi. E Draghi a detta di chiunque li possiede tutti e tre. D’altronde nel corso della presentazione del libro di Aldo Cazzullo, l’ex premier giusto la settimana scorsa dalla chiesa di Sant’Ignazio di Loyola (gesuita) delineava il futuro dell’Europa. Un momento critico dal quale bisogna uscire con un reset e un ritorno ai valori fondanti. Circa un mese fa con un lungo articolo sull’Economist spiegava che l’Ue «deve darsi nuove regole», riferendosi al fiscal compact. «Ok alla severità ma ci vuole anche flessibilità». Il riferimento punta dritto alla trattativa in corso sul Patto di stabilità e al fatto che prima o poi a gestire il mega fardello dei debiti pubblici potrebbe servire qualcuno dalla mano pesante che non è tenuto a rispondere ad alcun elettore. Sarebbe il girone di ritorno del celebre «Whatever it takes» pronunciato undici anni fa da Francoforte. All’epoca era il salvataggio dell’euro. Ora sarebbe «Todo modo», costi quel che costi, comandamento dei gesuiti. Qui da salvare sarebbe l’economia del Vecchio continente? Non sappiamo. Però potrebbe essere la scusa o l’occasione per intraprendere la strada di azzeramento delle capacità e dei budget dei singoli Stati. Sarà quindi interessante attendere aprile e vedere che cosa conterrà lo studio che la Commissione lo scorso ottobre ha assegnato allo stesso Draghi. Obiettivo è definire le nuove linee guida del mercato comune. Capito? Tutto si tiene. Certo, fino a ora né noi né Repubblica abbiamo fatto i conti con l’oste. Ieri infatti Draghi ha fatto trapelare una smentita. Una fonte vicina all’ex premier ha contattato la Reuters e ha fatto sapere che non è interessato a diventare presidente della Commissione. È vero anche che in tanti hanno smentito l’interesse di Mr Bce a diventare presidente del Consiglio a Roma. Poi Draghi ha dovuto accettare, come ci hanno spiegato numerosi quotidiani nazionali. In fondo, l’Italia esporta molte cose, dai mobili, alla tecnologia. Perché non esportare anche l’esigenza di governi tecnici con la soluzione incorporata: il presidente italiano che piace agli stranieri. Ai francesi poi piace tantissimo. D’altronde a lui si deve il Trattato del Quirinale che anche se porta il nome di un altro Colle è stato spinto soprattutto dalle parti di Palazzo Chigi. Ci sono anche le liberalizzazioni (vedi idroelettrico) accoppiate al Pnrr, che piacciono tanto ai francesi. Per non parlare delle decisioni firmate Vittorio Colao, dallo Spazio al digitale. Insomma, non sappiamo quanto sia concreta la macchinazione per portare Draghi a Bruxelles. Certamente farebbe comodo a Macron, infastidirebbe Matteo Salvini e avrebbe un ulteriore ricasco tutto italiano. Si chiama premierato. Perché la riforma targata Meloni possa avere l’appoggio delle cancellerie Ue servirà moral suasion da Bruxelles. Da parte di chi? Draghi. Il premierato prenderebbe forma e il Colle ne uscirebbe indebolito. D’altronde come è il detto? Se Maometto non va alla montagna...
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