2020-02-14
Le femministe milanesi frignano. Vogliono la sede gratis dal Comune
Dopo il blitz fallito per i 900.000 euro alla Casa delle donne di Roma, c'è il caso meneghino. Qui le compagne si rifiutano di pagare un affitto stracciato (3.000 euro al mese) per 700 metri in centro. Beppe Sala calerà le braghe?Un grande classico della sinistra: solidarietà, diritti, molta ideologia. Ma soprattutto: a spese dei contribuenti, anche di quelli che non condividono. E se per caso l'aiutino pubblico non c'è più, parte il piagnisteo. A Roma, la scorsa settimana, c'è stato un primo psicodramma per la Casa delle donne. Un emendamento al Milleproroghe aveva proposto di assegnare la bellezza di 900.000 euro all'associazione presieduta da Maura Cossutta, figlia di Armando, e a sua volta già deputata prima di Rifondazione comunista e poi dei Comunisti italiani. Appena uscita la notizia, è stato inevitabile l'affossamento del tentativo (doppio), con relativa dichiarazione di inammissibilità dell'emendamento. A seguire, reazioni isteriche a sinistra, Pd e renziani sulle barricate, mobilitazione sui social. In forme diverse, adesso si replica a Milano. Anche nel capoluogo lombardo c'è una Casa delle donne, con sede in zona Brera, in pienissimo centro (Via Marsala). E che sede: 700 metri quadri concessi a suo tempo dalla giunta di Giuliano Pisapia: comodato d'uso gratuito. Piccolo dettaglio: a dicembre è scaduto tutto, e, per evidenti ragioni di trasparenza, occorre partecipare a una gara, eventualmente vincerla, e alla fine pagare un canone superagevolato di 38.000 euro l'anno, cioè 3.166 euro al mese. Vi pare tanto? È pochissimo, se si considera il valore di mercato degli immobili in quell'area. Secondo i valori medi delle locazioni in zona, un affitto costa 20 euro al metro quadro al mese (la forchetta varia tra i 5 e i 35 euro: ci siamo prudenzialmente attestati a metà). È sufficiente moltiplicare i 20 euro per i 700 metri quadri e si arriva - in termini di mercato - a 14.000 euro al mese. Doverne pagare solo 3.166 significa pagare il 22-23% del prezzo di mercato, un ribasso del 77-78% rispetto a ciò che pagherebbe qualunque altro cittadino, ufficio, studio, associazione. Si tratterebbe insomma di un costo sopportabile, a maggior ragione dopo aver per anni usufruito gratuitamente di una sede enorme e prestigiosa, facendosi carico solo delle altre spese e delle bollette (almeno quelle). In altre parole, non si può certo dire che l'attuale giunta comunale (di sinistra) sia stata feroce. Aveva anche offerto alla Casa di confluire nelle strutture pubbliche dei Centri Milano Donna. Ipotesi a quanto pare rifiutata: la Casa tiene alla sua autonomia. Come da copione, è partita una petizione («La Casa delle donne non si tocca»). E un invito alla raccolta di firme campeggia sull'homepage di www.casadonnemilano.it. Si parla di «una inedita sinergia tra la democrazia partecipata e le istituzioni. Il contratto di comodato d'uso gratuito è scaduto ma rimane la necessità di un luogo che segni simbolicamente e concretamente la presenza delle donne in città. Firma la petizione affinché questo spazio rimanga patrimonio delle donne per continuare un'esperienza di apertura alle donne della città e di collegamento tra le reti nazionali e internazionali, dove il pensiero, la creatività e la forza delle donne trovino uno spazio per l'espressione e l'azione. La Casa delle donne deve rimanere dov'è, a disposizione di tutte e con le condizioni esistenti».Peccato che la petizione ometta di precisare che a pagare il conto dovrebbero essere i contribuenti, e che se il Comune confermasse la situazione attuale si esporrebbe all'accusa di danno erariale. Quanto alle attività, le animatrici amano evocare la biblioteca, i corsi di teatro, il coro. Non manca però un misterioso «gruppo autocoscienza». E, sempre scorrendo l'homepage, e quindi rimanendo alla strettissima attualità, balzano agli occhi eventi dal surreale taglio ideologico, cose perfino involontariamente comiche. Esempi? Il 28 gennaio, l'evento «Corpi di donne in lotta contro la Tav»: in un crescendo che stordisce, si legge di «corpi di donne e scambio di affetti, a contrastare la repressione» e ancora di uno «stretto legame tra l'opposizione alle logiche neo-liberiste e il femminismo». Vi gira la testa? Adesso arriva il meglio: si teorizzano come mali da combattere l'»estrattivismo» (che sarebbe «la pratica di prelevare risorse di una regione, a scapito dell'ambiente e delle popolazioni locali») e la «governamentalità»(secondo le femministe, sarebbe «il modo in cui i governi cercano di produrre cittadini più adatti a soddisfare le loro politiche»). Non vi basta ancora? Ecco un altro evento di gennaio, dall'eloquente titolo «Come si costruisce un maschio patriarcale». Si trattava della presentazione di un libro, ed ecco la sintesi: «Alle madri la società affida il compito di costruire il maschio patriarcale. Il protagonista è un maschio molto ben riuscito. Per questo è una catastrofe». E abbiamo detto tutto. A occhio e croce, c'è da dubitare che tutti i contribuenti siano lieti di finanziare queste attività. Cosa farà il sindaco Beppe Sala?