2021-10-10
Le curiose selezioni dei reati di giornali e Procure
Luca Morisi (Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)
Il caso Morisi e il caso Fidanza sono due facce della stessa medaglia, ossia operazioni di disinformazione messe in atto prima delle amministrative allo scopo di condizionare il voto. Se fin dal principio avevamo avuto il sospetto che si trattasse di una manovra politica, a una settimana dalle elezioni che la sinistra ha vinto a mani basse ne abbiamo la certezza. Per quanto riguarda la vicenda dell'ex social media manager della Lega, appare infatti evidente dalle stesse dichiarazioni del capo della Procura di Verona che non vi sia stata alcuna cessione di sostanze stupefacenti da parte del guru di Matteo Salvini. E dunque, nonostante sia stato oggetto di una specie di processo a reti e testate unificate, in cui giornali e tv hanno scandagliato ogni aspetto della sua vita privata, si può ormai definire acquisito il fatto che Morisi quella sera del 14 agosto non abbia portato la droga, ma a fornirla siamo stati i due escort ingaggiati via chat. Quindi nel caso Morisi, caduta l'accusa nei suoi confronti, si tratta di stabilire se vi sia stato un tentativo di ricatto ai suoi danni o se sia stata semplicemente una lite senza alcuna rilevanza giudiziaria. Nell'uno e nell'altro caso rimane però un fatto, ossia che, a prescindere dagli aspetti morali e politici della vicenda, Morisi non può che considerarsi una vittima, oltre che un ingenuo. E chi ha passato la notizia ai giornali, facendo immaginare una sua responsabilità penale, aveva sicuramente un obiettivo politico, ossia mettere in difficoltà la Lega pochi giorni prima che si aprissero i seggi.Non di meno si può dire del caso Fidanza, dal nome del parlamentare di Fratelli d'Italia finito indagato per finanziamento illecito e riciclaggio. La storia è nota perché è stata raccontata in lungo e in largo da Piazza pulita, il programma condotto su La7 da Corrado Formigli. Un giornalista del sito online Fanpage si è infiltrato tra i militanti e i parlamentari del partito di Giorgia Meloni per scoprire se, oltre a qualche nostalgico del Ventennio, ci fosse anche qualche esponente svelto di mano, non tanto perché pronto ad alzarla per fare il saluto fascista, quanto per intascare un po' di soldi. Risultato, il giovedì prima del voto abbiamo visto un video in cui alcuni esponenti di Fdi sembravano pronti a incassare soldi in nero, utilizzando un sistema di riciclaggio fatto di commercialisti compiacenti e scatole cinesi. In pratica, il giornalista avrebbe documentato con un video un ordinario momento di corruzione della classe politica. Peccato che, a prescindere dai protagonisti, che non paiono né attendibili né di prima fila, ci sia un problema giuridico grande come una casa. Ossia la mancanza del reato. Anzi: l'inesistenza del reato. Il giornalista che agiva da agente provocatore fingeva di essere un imprenditore pronto a finanziare illecitamente i politici, ma quando si sarebbe dovuto registrare il passaggio di denaro, si assiste semplicemente alla scena di una signora che consegna una valigia contenente libri sull'Olocausto. Dunque dove sta il reato? Dove sono le prove del finanziamento illecito o del riciclaggio? Al momento, non risulta che un trolley carico di volumi possa essere considerato una prova in grado di dimostrare un'attività di riciclaggio. E tuttavia, i pm di Milano si sono affrettati a iscrivere il parlamentare di Fratelli d'Italia nel registro degli indagati. E altrettanto rapidamente i giornali e le tv sono stati allertati dell'azione giudiziaria, ovviamente prima che si aprissero i seggi. Una solerzia che, a Milano, certo non si era registrata quando l'avvocato Piero Amara aveva denunciato l'esistenza della loggia Ungheria, coinvolgendo nomi altisonanti, né quando si era avuta prova del tentativo di depistaggio nel processo Eni. Di fronte a quelle dichiarazioni, la Procura invece di agire aveva a lungo temporeggiato, tanto che i suoi vertici sono finiti indagati e alcuni giorni fa si è arrivati a una chiusura indagini che potrebbe preludere a un rinvio a giudizio, con accuse pesanti, tra le quali quelle di aver nascosto elementi a discarico di alcuni imputati. Ma nelle vicende Morisi e Fidanza non si tratta solo di riflettere sull'obbligatorietà dell'azione penale, che qualche volta sembra funzionare solo a senso unico. Di una certa utilità sarebbe anche un dibattito sullo strabismo di giornali e tv, che in vista delle elezioni propongono ai propri lettori e telespettatori solo alcune storie e mai altre. A che cosa ci riferiamo? Beh, voi pensate che siano più interessanti le nottate di Luca Morisi e il saluto romano di Roberto Jonghi Lavarini o gli incarichi di centinaia di migliaia di euro ottenuti da un avvocato di nome Luca Di Donna, che il giorno in cui Giuseppe Conte fu nominato presidente del Consiglio, inviò ad amici e clienti un sms con scritto «Abbiamo un amico a Palazzo Chigi»? Non so voi, ma piuttosto che frugare fra le lenzuola di Morisi e inseguire le sceneggiate di un barone da operetta, io preferisco capire che cosa ci faceva un generale dei servizi segreti a un appuntamento in uno studio legale vicino all'ex premier mentre si parlava di contratti. Anzi, vi dico di più: fossi in Formigli, giornalista di provata esperienza che vuole fare piazza pulita, io a Di Donna, Conte, compagni e affari dedicherei una bella puntata.
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