
I pirati informatici riescono a penetrare nei sistemi che guidano oggetti e robot, impartendo comandi da remoto. Potranno svaligiare abitazioni, ma anche modificare le posizioni di aerei e falsificare dati.Se rientrando dalle vacanze trovaste la vostra casa svaligiata sarebbe senza dubbio una sgradita sorpresa, ma se poi qualcuno vi spiegasse che il «complice» dei ladri è stato il vostro robot aspirapolvere probabilmente vi prenderebbe un colpo. Eppure non stiamo parlando di fantascienza. In un caldo sabato di agosto, in quel di Las Vegas, un gruppo di esperti di sicurezza ha spiegato come sia possibile infiltrarsi nel sistema che governa le operazioni di almeno due aspirapolvere di ben note marche. Gli hacker sono riusciti a dimostrare come sia possibile raccogliere tutti i dati relativi alle attività del robot, dalla planimetria della casa alle abitudini degli inquilini, e impartirgli comandi da remoto.Tutto questo è accaduto in un caldo sabato di questo agosto a Las Vegas nel corso del Defcon, annuale convention dedicata alla sicurezza informatica e ormai anche alla cybersecurity. Naturalmente i ricercatori non si sono limitati alle «faccende domestiche». Una presentazione dall'autoesplicativo titolo La tua auto è la mia auto ha chiarito come si possa controllare da remoto il veicolo altrui. Quasi divertente il seminario dedicato alla manipolazione dei telefoni di emergenza, in particolare quelli presenti sugli ascensori che sono stati riprogrammati per diventare sistemi di intercettazione ambientale. Decisamente più inquietanti invece il workshop dedicato alla violazione dei sistemi medicali intelligenti (falsificare i dati delle analisi potrebbe uccidere i pazienti), e quello riservato alla prospettiva di oggetti intelligenti che potremmo gestire con la forza del pensiero tramite connessioni neurali, uno dei campi in cui si stanno concentrando grandi investimenti. L'esordio di uno dei relatori è stato molto chiaro: se siete preoccupati per cosa sta facendo Facebook con le vostre informazioni oggi, immaginate cosa potrebbero fare il giorno che avranno i dati direttamente dal vostro cervello. Il Defcon, così come il Blackhat, manifestazione analoga ma con un taglio più aziendale che si è svolta a Los Angeles la settimana precedente, sono ormai guardati con attenzione anche dai governi, per cercare di capire quanto i propri sistemi sia vulnerabili. Non a caso per la prima volta l'aeronautica degli Stati Uniti ha concesso a un gruppo di hacker la possibilità di testare la sicurezza dei sistemi di volo di un aereo da combattimento F15 e ci sono riusciti. Allo stesso modo la Darpa, l'agenzia statunitense per le ricerche avanzate di sicurezza, aveva portato a Las Vegas il suo prototipo di macchina elettorale elettronica sul quale ha investito 10 milioni di dollari. Questo dopo che negli ultimi due anni al Defcon erano riusciti a violare la sicurezza dei modelli commerciali «in meno di un minuto». Sfortunatamente il gruppo di hacker ingaggiato non è riuscito a testarne la sicurezza, perché ci sono stati problemi di configurazione dei dispositivi. In pratica non funzionavano correttamente. Chiudiamo la nostra carrellata con la dimostrazione di un sistema di disturbo degli autovelox in uso alla polizia statunitense, che il relatore si è costruito dopo avere analizzato il funzionamento delle dotazioni delle forze dell'ordine. Nel corso della demo è stato precisato che il sistema rende il vostro veicolo praticamente «invisibile» alle forze dell'ordine, ma non in tutti gli stati è legale.Sono proprio queste le occasioni in cui vale la pena fare qualche riflessione sul nostro rapporto con le tecnologie dell'informazione dalle quali oggi siamo circondati, ma nelle quali domani saremo completamente immersi. L'Internet delle cose, con la sua pletora di oggetti intelligenti, sta rapidamente colonizzando le nostre case e negli ultimi anni proprio nelle diverse edizioni del Defcon sono state rivelate oltre 300 vulnerabilità che hanno interessato ogni genere di dispositivo dagli smart tv ai pacemaker. Non dovremo stupirci quindi se tra qualche anno il detto «casa, dolce casa», si trasformerà in «case da incubo» o forse in un «mondo da incubo». Quello di cui non abbiamo ancora parlato riguarda questi sistemi che gestiscono gli oggetti un po' più «grandi» perché non sono soltanto aspirapolveri, tv e frigoriferi a sfruttare la forza delle nuove tecnologie, ma anche aerei, treni, centrali elettrici e in generale centinaia di macchine industriali. I sistemi di comunicazione e navigazione aereoportuali fanno ormai un massiccio ricorso alle tecnologie wireless; vedere dei ricercatori che, sfruttandone le vulnerabilità, fanno apparire aerei fantasma sui radar, modificano le reali posizioni degli aerei e falsificano i messaggi della torre di controllo non è un bello spettacolo. Su queste premesse in Europa qualcosa si è mosso, con l'Ue che ha da poco emanato il Cybersecurity act in cui, tra l'altro, si vogliono anche uniformare gli standard di sicurezza tecnologica dei prodotti. Comunque dobbiamo essere consapevoli che le norme non bastano, ma come consumatori abbiamo la grande opportunità di fare pressione sulle aziende privilegiando quei prodotti che tengano nella giusta considerazione i requisiti di sicurezza, ricordandoci sempre che se un oggetto lo possiamo raggiungere noi da remoto può potenzialmente farlo chiunque. Così quando comprate il prossimo elettrodomestico smart fatevi spiegare quali sono le contromisure per proteggerlo da attacchi informatici. Già questo sarebbe un bel passo avanti.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





