
Il Senato respinge la proposta di legge sulla depenalizzazione: l'interruzione resta consentita solo in caso di stupro e di rischio per la madre. Violenze in seguito all'esito. Attivisti della sinistra radicale hanno attaccato i pro life, la polizia usa i lacrimogeni.La deriva ultraliberista, che trasforma ogni desiderio in diritto, che calpesta la legge naturale e la vita e che deresponsabilizza ogni individuo, in nome dell'autodeterminazione senza limiti, non è un processo ineludibile, un piano inclinato verso cui devono tendere tutti le nazioni e i popoli della terra. Il «così fan tutti i Paesi civili», ripetuto come un mantra dalle centrali del pensiero unico, è solo uno slogan logoro che ha perso efficacia. A ricordarcelo è stato il Senato dell'Argentina, che nella notte tra mercoledì e giovedì ha detto No alla legalizzazione dell'aborto fino alla 14° settimana. Dopo 16 ore di dibattito, iniziato alle 15.30 italiane, la proposta di legge sulla depenalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza è stata respinta con 38 voti contrari e 31 favorevoli. L'aborto rimarrà consentito nei casi di stupro e di pericolo per la vita della madre. L'esito del voto non era per nulla scontato. Infatti, solo lo scorso 13 giugno l'altro ramo del Parlamento, la Camera, aveva approvato il provvedimento con appena quattro preferenze di scarto. Al Senato sono stati determinanti i No espressi dai rappresentanti delle province settentrionali, ai quali si sono aggiunti anche quelli trasversali di alcuni «insospettabili» come quello della rappresentante kirchnerista Silvina García Larraburu, ufficialmente in polemica con il governo del presidente Mauricio Macri, per aver imposto il dibattito sull'aborto come una «cortina di fumo» per nascondere la crisi. In realtà la stampa argentina sostiene che l'ex presidente Cristina Fernández Kirchner avrebbe chiesto alla Lurrabaru di garantire la maggioranza al No, non potendo esprimersi in prima persona contro l'aborto per non entrare in polemica con l'ultrasinistra. Fortemente polarizzate sono state le piazze dei pro life e pro aborto, i primi con i fazzoletti azzurri al collo, i secondi listati da foulard verdi. Sfidando le rigide temperature dell'inverno argentino e la pioggia, migliaia di sostenitori di entrambi i fronti hanno seguito le 16 ore di discussione e la votazione davanti al Congresso di Buenos Aires.I promotori della campagna Salviamo le due vite (quella della madre e quella del figlio), che negli ultimi mesi si sono battuti per la difesa dei diritti del concepito, hanno accolto la bocciatura del Senato con grida di gioia e fuochi d'artificio. La delusione delle femministe più accanite e di alcuni gruppi della sinistra radicale si è invece trasformata in rabbia. Decine di attivisti favorevoli alla legge hanno lanciato, oltre le barriere divisorie tra i due gruppi di manifestanti, bottiglie e oggetti verso i pro life. La polizia ha risposto con gas lacrimogeni e almeno una persona è rimasta ferita.La seduta del Senato è stata inoltre accompagnata dalla Messa per la vita celebrata nella cattedrale di Buenos Aires, presieduta dal cardinale Mario Poli, arcivescovo della città e primate dell'Argentina, e concelebrata da monsignor Oscar V. Ojea, presidente della Conferenza episcopale del Paese. Alla vigilia del voto, lo stesso cardinale Poli aveva lanciato un nuovo appello ai parlamentari affinché non interrompessero «la onorevole e lodabile tradizione di legiferare per il bene comune e a favore di una cultura della vita, proteggendo i più deboli e indifesi».Insomma, rispetto alle più tiepidi prese di posizione tenute dalla Chiesa irlandese in occasione del referendum sull'aborto dello scorso maggio, il clero e i cattolici argentini hanno avuto un ruolo determinate nel dibattito pubblico. Importante anche l'apporto della comunità evangelica. Sabato scorso una folla di oltre 600.000 persone di tutte le confessioni ha invaso le strade della capitale per dire Sì alla vita. Nei mesi passati padre Pepe Di Paola, il noto sacerdote di frontiera che aiuta i villero (i poveri delle favelas) di Buenos Aires, in una sua audizione parlamentare aveva detto senza mezzi termini che la legge era voluta e imposta dal Fmi (fondo monetario internazionale) come contropartita di un nuovo prestito all'Argentina da 50 miliardi di dollari.In ogni caso, dall'Argentina arriva un segnale che scuote tutta la comunità internazionale. Amnesty international sul suo profilo twitter ha più volte stigmatizzato il risultato del voto, dicendo che la battaglia «non è finita». Stessa musica da parte della multinazionale degli aborti, la Federazione internazionale della Planned parenthood (Ippf), che assicura: «Continueremo a lavorare per i diritti sessuali e riproduttivi». Non a caso le lobby dell'aborto si stanno dando da fare anche in Brasile, dove i vescovi hanno denunciato come alcune organizzazioni abbiano cercato di orientare l'opinione pubblica, rilanciando cifre gonfiate sul numero degli aborti clandestini effettuati ogni anno nell'ex colonia portoghese.A esultare sono intanto i movimenti pro life. «Uniti si può», dice Filippo Savarese responsabile di Citizengo Italia, «non vai da nessuna parte senza una piattaforma di cittadini attivi e attivisti». «La voce dei laici impegnati per la vita e la famiglia può cambiare le politiche dei governi», ribadisce il leader del Family day, Massimo Gandolfini.
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