2019-04-22
L'Arabia Saudita vuol mangiarsi pure l'Iraq
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Grandi manovre in Medio Oriente. L'Arabia Saudita sta infatti cercando di espandere la propria influenza in Iraq. Mercoledì scorso, il primo ministro iracheno Abdul-Mahdi si è recato in visita di Stato a Riad, con l'evidente intento di rinsaldare i rapporti diplomatici ed economici tra i due Paesi. Nell'occasione, sono stati siglati tredici accordi e una serie di memorandum in materia di commercio, energia e cooperazione politica. Questa distensione avviene dopo quasi trent'anni di relazioni turbolente, principalmente dovute all'invasione irachena del Kuwait nel 1990. Del resto, il risanamento di questa rottura ha concretamente preso avvio da poco tempo: a inizio aprile, l'Arabia Saudita ha aperto il proprio consolato a Baghdad, assicurando inoltre di fornire all'Iraq energia elettrica e gas naturale. Un elemento importante, visto che i continui blackout che caratterizzano il Paese sono fonte di un profondissimo malcontento verso il governo iracheno.Insomma, nell'ultimo mese i rapporti tra Riad e Baghdad si sono decisamente rasserenati. E questa nuova stagione potrebbe rivelarsi ricca di conseguenze sul piano geopolitico. In primo luogo, è chiaro che un simile rafforzamento dei legami con i sauditi sia una strategia dell'Iraq per cercare di allentare la propria dipendenza economica e politica dall'Iran. Non è un mistero che, da tempo, Teheran stia cercando di estendere la propria influenza sul Paese: non solo la Repubblica Islamica ha recentemente siglato una serie di accordi commerciali con l'Iraq. Ma l'Iran sta anche cercando di sottrarre Baghdad dalla sfera statunitense, approfittando di alcuni gruppi paramilitari sciiti presenti sul territorio iracheno. Non sono pochi d'altronde i parlamentari locali che guardano a Teheran con la speranza di una smobilitazione definitiva delle truppe americane dalla regione. Ecco, intrecciare legami con l'Arabia Saudita (che dell'amministrazione Trump è attualmente alleato di ferro) serve - agli occhi di Baghdad - esattamente a questo scopo: bilanciare l'influenza iraniana e adottare la politica del pendolo, oscillando pragmaticamente tra due acerrimi avversari come Riad e Teheran. Non sarà un caso che Abdul-Mahdi si sia recentemente recato in visita anche in Iran.Considerando la situazione dal punto di vista saudita, è chiaro che la strategia sia quella di fungere primariamente da argine anti-iraniano. Una linea che la petromonarchia non segue solo su input degli interessi americani ma anche per proseguire la sua lotta egemonica nello scacchiere mediorientale. Non sono pochi i teatri in cui Arabia Saudita e Iran si stanno infatti fronteggiando (dallo Yemen alla Siria). E, in quest'ottica, ogni tentativo espansivo della Repubblica Islamica non può certo essere tollerato da Riad.Ciononostante, al di là di questa pur importantissima partita, se ne sta giocando anche una di carattere maggiormente territoriale. Innanzitutto Riad punterebbe a contrastare le cellule legate all'Isis tutt'ora presenti in Iraq. E questo non solo per la propria sicurezza ma anche perché – secondo i sauditi – lo Stato Islamico sarebbe usato come una scusa dalle organizzazioni paramilitari sciite per agire autonomamente rispetto alle forze irachene. Un'autonomia che – sospettano a Riad – mirerebbe a fare principalmente gli interessi di Teheran. In questo senso, i sauditi starebbero cercando di coinvolgere le tribù sunnite locali in funzione anti-Isis, seguendo sostanzialmente i crismi del cosiddetto "risveglio sunnita": il riferimento è a quando – nel 2007 – gli Stati Uniti aumentarono il numero di soldati in Iraq, attuando – attraverso il generale David Petraeus – una strategia di cooptazione di forze sunnite che erano state in precedenza fiancheggiatrici di al-Qaida. Una linea che riuscì a portare relativa stabilità nella regione, dopo anni di caos e turbolenze. In tutto questo, non bisogna poi neppure trascurare che alcune organizzazioni paramilitari locali risultino profondamente avverse a Teheran: si pensi al leader sciita iracheno Muqtada al-Sadr, che sta non a caso lavorando per favorire i rapporti tra Baghdad e Riad (tanto da essersi addirittura recato in visita in Arabia Saudita nel 2017).Ma l'Iran non è l'unica potenza regionale che si oppone all'influenza saudita in Iraq. Anche il Qatar infatti non risulta particolarmente ben disposto verso l'iperattivismo di Riad nell'area. Non dimentichiamo che, nel 2017, l'Arabia Saudita abbia interrotto le relazioni diplomatiche con Doha, principalmente a causa dei rapporti cordiali intrattenuti da quest'ultima con Teheran. E, al di là di questo, non va trascurato che ultimamente i legami economici tra Qatar e Iraq siano notevolmente migliorati: si pensi solo che, nel corso del 2018, gli scambi commerciali tra i due Paesi avrebbero visto un incremento del 52%. Del resto, per Doha l'Iraq rappresenta un importante mercato per sostenere il proprio export di petrolio. È quindi chiaro che, agli occhi del Qatar, l'avvicinamento tra Riad e Baghdad viene visto come un duplice pericolo: in termini di rivalità geopolitica e - soprattutto - di concorrenza economica.L'Iraq sta insomma cercando di barcamenarsi opportunisticamente tra potenze contrastanti, giocando una strategia essenzialmente basata sull'equilibrio delle influenze. Una partita scaltra ma anche molto rischiosa. Una partita che potrebbe avvantaggiare Baghdad. Ma anche renderla un nuovo pericoloso focolaio di scontri nel già complicatissimo scacchiere mediorientale.
Il segretario agli interni britannico Shabana Mahmood (Ansa)
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Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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