2021-03-07
Nino Frassica: «L’anonimato fa paura a chiunque, ma il marchio di Vip me lo toglierei»
Il comico e attore: «Non sono mai stato un barzellettiere, ho sempre usato il surrealismo per far ridere. La satira politica è troppo faticosa, la lascio a chi la sa fare, però vedo molta banalità e qualunquismo»Del suo nuovo libro, Vipp. Tutta la veritane, su queste pagine abbiamo già parlato. Ma abbiamo pensato che sarebbe stato bello che fosse direttamente Nino Frassica a spiegarci da dove nasce il suo modo unico di fare spettacolo, mai banale e sempre esilarante. Lui ha accettato, rilasciando un'intervista andata in onda su Rpl (www.radiorpl.it), di cui riportiamo qui alcuni passaggi e che ritrovate integralmente sulla piattaforma online della Verità e sul sito della radio. Il suo libro è uscito per Einaudi. Come si è trovato con un editore così prestigioso, intellettuale?«Mi sono meravigliato anche io, ho detto: “Einaudi?", poi ho visto che hanno aperto una linea più popolare, meno impegnata… Io faccio parte di quel gruppo. Non voglio venire confuso coi veri scrittori, per me la scrittura è quasi un hobby, il mio primo mestiere rimane l'attore».Però ha scritto parecchi libri. «Sono un attore che scrive i suoi testi quando va in tv, allora faccio anche dei libri».Io penso che lei sia davvero uno scrittore. Gioca con il linguaggio, le parole... «Sì, è vero. Però non sono un romanziere. Sì, vero. Racconto più storie, più cose. In questo libro ho fatto quasi il documentarista, alla mia maniera naturalmente».Perché un libro sui Vip?«Perché penso facciano ridere la banalità, la superficialità, la leggerezza, e a volte l'insignificanza di certi Vip. E mi metto in mezzo anche io, questo libro è anche autoironico. Io scherzo sugli altri ma alla fine siamo pari. Il Vip e la persona normale, in fondo sono uguali. Anzi, addirittura spesso è meglio la persona normale» Ma lei come vive il suo essere famoso? «Lo vivo perché non posso farne a meno, ma se potessi togliermi l'etichetta di Vip, me la toglierei. Per me siamo tutti uguali, non c'è differenza. Il Vip è uno che si mette in mostra e diventa importante, anche con niente. Ad esempio la signora che dice “Non ce n'è coviddi" diventa una Vip pure lei. Questa cosa fa ridere, no? Il diventare famosi con niente è ridicolo, no? Non c'è meritocrazia. Uno fa una stupidaggine oppure è il figlio di un Vip, e diventa Vip automaticamente».L'essere Vip è ereditario, come una malattia. «Si. Il Grande fratello è pieno di gente che non è Vip. Ma lo diventa perché è fidanzata con quello, o è stata con quell'altro…».Lei ci andrebbe mai al Gf?«No. Però lo guardo, mi fa ridere. Lo vedo come uno spettacolo comico».Sanremo lo ha guardato?«L'ho sbirciato, perché avevo un po' da fare e poi sto guardando delle serie tv». Frassica fan delle serie tv? Quali guarda?«Sto guardando Lupin. Mi piace guardare queste piattaforme. Niente sponsor, niente pubblicità. Arriva la serie e non devi nemmeno andare a cercare la seconda puntata». Le piace la comodità delle piattaforme. «Sì, è una bella invenzione. Vedi le cose quando decidi tu, a che ora vuoi tu, se hai voglia ti rilassi. Credo che oggi la tv sia migliorata. Ci sono ancora i programmi bruttarelli, però c'è tantissima scelta, la tecnologia ci riempie di quello che vogliamo». Rispetto alla tv che ha vissuto lei negli anni 80 è tutta un'altra cosa. «Io sono della generazione che per vedere un film doveva aspettare il lunedì. Vengo da un villaggio in provincia di Messina, lì per andare al cinema dovevi aspettare la domenica. E nemmeno sceglievi il film. Quel che davano, io andavo a vederlo. Poteva pure non piacermi ma mi dovevo accontentare». Quali film l'hanno spinta a fare l'attore?«Non è che avessi voglia di fare l'attore, da ragazzo. Avevo voglio di fare lo spettacolo. Di usare la fantasia per uscire dalla monotonia. Come mascherarsi a carnevale. Volevo uscire dalla realtà, dalla quotidianità, con la creatività. All'inizio avrei voluto fare il musicista».E poi? «Ho iniziato a scuola, col teatro, le prime cosine.. Poi sono arrivate le radio libere, e mi piaceva molto la radio. Fare la radio in Rai era quasi impossibile per un ragazzo di paese... Però le televisioni locali, private, davano modo di potersi esibire. E poi quindi, piano piano, è arrivata anche la Rai…».L'incontro con Arbore. «Prima ho fatto la radio con lui, poi quando è tornato in tv abbiamo fatto Quelli della notte, Indietro tutta... So che nacque tutto grazie alla segreteria telefonica. «Era un provino ante litteram. Oggi ti metti su youtube, ti vedono e qualcuno ti chiama. Allora io abitavo in Sicilia, e il mezzo più veloce per poter farsi vedere stranamente erano quei pochi secondi di messaggio. Pochi secondi perché non potevi lasciare un messaggio di mezzora. Erano messaggi cortissimi, con la sintesi facevo ridere», Cioè lei lasciava dei messaggi sulla segreteria telefonica di Arbore e lui risentendoli…«Rideva e mi ha chiamato».Oggi sarebbe stalking una cosa del genere...«Ma no, io lasciavo solo un messaggio ogni tanto... E non ho mai detto «scusi signor Arbore voglio lavorare con lei», non ho chiesto niente. Sapevo che con lo stalking l'avrei innervosito. Ogni tanto, gli lasciavo un messaggio cortissimo, che non disturbava, e lo faceva ridere… Non mi ha chiamato subito. Anzi, forse l'avrebbe fatto ma io non gli avevo lasciato il nome. Ma lui era curioso, sentiva questo tipo strano, così simpatico, (l'aggettivo che usava era “simpatico")…».Si ricorda un messaggio?«Gli dissi: “Sono un mio ammiratore, la saluto, stacco al mio tre. Tre!", bum e staccavo. Non sono stato mai barzellettiere, usavo il surrealismo».Come è arrivato al surrealismo?«Sono sempre stato amante di Totò, Cochi e Renato, dell'umorismo di Jannacci. La base erano l'umorismo milanese e quello napoletano. Poi c'era l'ozio: fare scherzi, avere un atteggiamento goliardico, menefreghista, del vandalo che distrugge la lingua italiana con gli strafalcioni. La mia comicità, nasce così, al bar».Oggi lavora con un altro mito della tv, Terence Hill. «Terence Hill è la persona che frequento di più sul lavoro. Siamo arrivati alla tredicesima stagione di Don Matteo. Ogni serie dura una media di 9 mesi, quindi ho trascorso tanto tempo assieme a lui. Gli voglio proprio bene perché è una persona perbene, garbata, educata, è un mito. Un divo e un antidivo assieme. È molto umile, e quindi una persona interessantissima. Io scherzo sulla sua bontà, ma per lui nutro tanto affetto. Con Francesco Scali, che fa il sacrestano, e Pietro Pulcini, il brigadiere, abbiamo fatto un quartetto e ci vediamo anche fuori dalle scene, siamo amici». Ci sono comici in cui rivede sé stesso?«Valerio Lundini, Maccio Capatonda, Massimo Bagnato, Toni Bonji…». La sua comicità prevede poca politica. «La satira politica non la faccio perché è veramente faticosa, per occuparsi di politica ed evitare il qualunquismo dovrei alzarmi alle 7, leggere tutti i giornali, interessarmi di tutto. Essere qualunquisti è facile: prendo il primo soggetto che vedo e lo prendo in giro, però la politica è una cosa seria, quindi ci vuole un impegno che io non ho voglia di mettere. Poi non ho la predisposizione, non mi piace, a me piace far ridere con altri metodi». Ha paura che facendo satira risulterebbe banale. «Sì, infatti vedo molta banalità nella satira politica. Quella fatta bene, la posso ammirare, anzi, beati quelli che la sanno fare. Io non la so fare. Se la satira è qualunquista, poi, quel che va preso in giro è proprio quel tipo di satira». Diceva che è molto facile diventare Vip. Non crede che noi italiani, da quando ci sono i social, siamo un po' ossessionati dalla «famosità»?«Lo siamo sempre stati, ma prima non c'erano i mezzi… a tutti piacerebbe vedersi in tv, essere dentro lo stadio, sul grande schermo... Siamo tutti vanitosi almeno un po'. Adesso c'è il mezzo per poterla alimentare, questa vanità: i social... Se uno pubblica una canzoncina al pianoforte e fa 18 like, ha un pubblico di 18 persone, è contento e cerca di vincere l'anonimato in quel modo. Non so bene come funzioni, visto che io l'anonimato l'ho vinto. Ma probabilmente non essere famosi, non essere qualcuno, fa paura».
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