2018-06-07
L’ambasciatore Usa sfida la Merkel e invita a Berlino il populista Kurz
Dopo l'intervista incendiaria a Breitbart sul sovranismo europeo, il diplomatico Richard Grenell, scelto da Trump, alza il tiro. La Casa Bianca aumenta la pressione sulla cancelliera Angela Merkel, segno che la guerra da commerciale diventa politica.Segnatevi questo nome: Richard Grenell. Americano, vicinissimo a Donald Trump, neo ambasciatore statunitense a Berlino: è lui il nuovo incubo di Angela Merkel, nonché la spina che la Casa Bianca ha conficcato nel fianco del corpaccione berlinocentrico europeo. Meno di un mese fa è arrivato in Germania, dove evidentemente erano abituati all'idea di ambasciatori esclusivamente dediti a ricevimenti, sistemazione delle posate sul tavolo, concerti e baciamano. E invece ai tedeschi è arrivato tra capo e collo un attore politico a tutto tondo, che non ha perso tempo a rilasciare un'intervista bombastica a Breitbart, il magazine di riferimento di Steve Bannon e della nuova «internazionale populista». Parole e musica di Grenell? «Ci sono molti conservatori in giro per l'Europa che mi hanno contattato per dirmi che ovunque avvertono un'ondata in corso». E ancora, per chi non avesse capito l'antifona: «Voglio assolutamente rafforzare altri conservatori in tutta Europa, altri leader. Penso ci sia un maremoto», sì, ha detto proprio «maremoto», «di politiche conservatrici che stanno prendendo piede dopo i fallimenti della sinistra». Grenell non ha fatto esplicito riferimento all'Italia o all'Ungheria, ma si è spiegato con un esempio chiarissimo per i tedeschi, quello di un vicino di casa piuttosto scomodo: il giovane leader austriaco Sebastian Kurz, il cancelliere criticatissimo da mezza Europa, e che a Vienna guida una coalizione che include forze di destra destra: «Guarda», ha detto Grenell al suo intervistatore, «penso che Kurz sia una rockstar. Sono un suo grande fan». E, neanche fosse lui stesso un capo di Stato, Grenell non ha perso tempo a invitarlo in Germania. Apriti cielo! L'idea che un ambasciatore non solo possa entrare nel dibattito politico interno di altri Paesi, ma addirittura dica esplicitamente che intende giocare un ruolo attivo per sostenere alcune forze in gioco, sta scatenando reazioni furenti sui media tradizionali e sui social network tedeschi. Non sono mancate anche algide reazioni istituzionali. Un portavoce del ministero degli Esteri tedesco ha dichiarato: «Abbiamo preso nota di un articolo su un giornale americano. Abbiamo chiesto alla controparte statunitense di dare spiegazioni, e di chiarire se davvero le frasi pronunciate siano state corrispondenti a quelle pubblicate». Come a suggerire: Grenell non può aver detto così. Meno gelide e più infiammate le reazioni politiche. Lars Klingbeil, segretario generale dei Socialdemocratici tedeschi, ha tuonato rivolgendosi a Grenell attraverso Twitter: «So che sei nuovo nel tuo lavoro, ma non è parte dei compiti di un ambasciatore interferire nella politica del Paese che lo ospita». Ma i colleghi di Martin Schulz e della Merkel sbagliano di grosso se pensano che Grenell sia un tipo impressionabile. Un mesetto fa, appena dopo aver presentato le sue credenziali, twittò subito a sostegno della decisione americana di stracciare l'Iran deal di Barack Obama, che è invece molto caro alla Merkel e al suo governo. Grenell fece di più: si rivolse direttamente alle imprese tedesche raccomandando loro di sospendere gli affari e le trattative in corso con Teheran per evitare sanzioni. Grenell insomma è un osso duro, e sembra avere un esplicito mandato da parte di Trump. Sarà bene che i tedeschi si mettano il cuore in pace. Nel derby geopolitico ed economico in corso tra Washington e Berlino, Trump non ha intenzione di andare per il sottile, e intende catalizzare in Europa tutte le forze che possano contribuire a bilanciare lo strapotere tedesco. Lo ha chiarito bene lo stesso Grenell in un tweet successivo alla sua contestatissima intervista: tweet che, in teoria, avrebbe dovuto smentire, o almeno attenuare le dichiarazioni iniziali, e invece ha finito per alzare la posta in gioco: «È ridicola l'idea che io stia sostenendo partiti o candidati. Invece mantengo la mia opinione: stiamo assistendo a un risveglio di una maggioranza silenziosa che rigetta le élite e la loro “bolla" (mediatica).» Questo processo è «guidato da Trump». E infine: «Non c'è dubbio che questo sia un momento eccitante per me. Vedo il panorama, c'è tanto lavoro da fare, ma penso che l'elezione di Trump abbia rafforzato gli individui e i popoli, e abbia consentito loro di dire che non permetteranno più alla vecchia classe politica di stabilire prima di un'elezione chi dovrà vincere e chi dovrà governare». Più chiaro di così… Sarà bene che a Berlino (e pure a Roma) alcuni vecchi mandarini prendano nota. Non c'è solo la guerra commerciale che ha come vero obiettivo un export tedesco fuori misura. Non c'è solo la richiesta della Casa Bianca di contribuire di più alle spese Nato e di smettere di fare i «free rider» (cioè gli «scrocconi»). Ora si passa alla guerra politica aperta, esplicita, condotta direttamente in territorio tedesco. E siamo solo all'inizio.