2021-08-17
L’abiura di Biden lo smemorato: «Colpa di Obama e degli afgani»
Il discorso dello scaricabarile del presidente: «Sbagliato immaginare di esportare la democrazia nel Paese Il nostro obiettivo era impedire attacchi terroristici all'America». Intanto cresce il fronte del no al ritiro Usa.Vi avevano detto che Joe Biden avrebbe portato gli Stati Uniti a una rinascita. Vi avevano detto che, con lui alla Casa Bianca, l'America avrebbe condotto una politica estera fondata sui diritti umani. Vi avevano detto che gli «adulti» sarebbero tornati al governo e che le relazioni transatlantiche sarebbero state rilanciate in grande stile. Previsioni altisonanti, ma tutte puntualmente smentite nel discorso che il presidente ha tenuto l'altro ieri, per spiegare il senso del precipitoso e catastrofico ritiro degli americani dall'Afghanistan. L'inquilino della Casa Bianca ha innanzitutto tentato una poco elegante operazione di scaricabarile, puntando il dito contro gli afghani. «I leader politici dell'Afghanistan si sono arresi e sono fuggiti dal Paese. L'esercito afghano è crollato, a volte senza cercare di combattere», ha affermato polemicamente Biden, mentre sottolineava l'ingente quantità di mezzi militari che – in questi anni – gli Stati Uniti hanno fornito al governo di Kabul. Constatazioni tristemente vere purtroppo. Ma che affondano le loro radici in cause ben precise. Per vincere le guerre non bastano gli equipaggiamenti, occorre anche – e soprattutto – la dedizione a una causa. Dedizione fondamentalmente assente tra i combattenti afghani. Una situazione incresciosa, ma che risulta principalmente dettata dalla fallimentare strategia di nation building condotta soprattutto dall'amministrazione di Barack Obama. Come riportato dal Washington Post nel dicembre 2019, fu proprio Obama ad accelerare quel processo, incrementando gli investimenti e riducendo le tempistiche. Un errore fatale, che ha contribuito a creare un governo afghano corrotto e impopolare: un governo a cui nessuno ha alla fine deciso di immolarsi. E pensare che l'altro ieri Biden se n'è uscito, dicendo: «La nostra missione in Afghanistan non avrebbe mai dovuto essere di nation building. Non avrebbe mai dovuto creare una democrazia unificata e centralizzata». Parole strane, visto che a pronunciarle è stato il vice di Obama. A onor del vero va ricordato che, nei dibattiti interni a quell'amministrazione, Biden si fosse detto critico sull'opportunità del nation building: una circostanza che lui stesso ha sottolineato l'altro ieri. Ciononostante l'allora vicepresidente ha alla fine appoggiato la linea di Obama e quindi – ne fosse convinto in coscienza o meno – risulta corresponsabile di quella strategia fallimentare. Ecco perché gettare tutte le colpe sulle spalle degli afghani è assolutamente paradossale. Così come altrettanto paradossale è l'aver cercato di scaricare la caduta di Kabul sul proprio predecessore. «Quando sono entrato in carica, ho ereditato un accordo che il presidente Trump ha negoziato con i talebani», ha dichiarato. Questo è senz'altro vero. Tuttavia vanno anche ricordati alcuni elementi. Innanzitutto l'allora presidente repubblicano, commentando l'accordo con i talebani, dichiarò: «Se accadono cose brutte, torneremo indietro con una forza che nessuno ha mai visto». Del resto, il grosso problema del ritiro americano non è solo la disorganizzazione, ma proprio l'assenza di una strategia di deterrenza. Quella stessa deterrenza che Trump, da presidente, non ha invece esitato a esercitare (si pensi solo alla reazione all'assalto contro l'ambasciata americana di Baghdad nel 2019). In secondo luogo, se Biden considerava l'accordo del predecessore tanto sbagliato, non si capisce per quale ragione non lo abbia sconfessato (come ha fatto invece con altri pezzi dell'eredità trumpiana). Giusto ieri è uscito, tra l'altro, un sondaggio di Politico, secondo cui sta crescendo il numero di americani scontenti del ritiro. Ma i nodi del discorso non si fermano qui. Biden ha infatti sempre auspicato un'alleanza delle democrazie contro i regimi illiberali, proponendo una politica estera basata sulla difesa dei diritti umani. Una visione che questo precipitoso ritiro ha ormai compromesso irrimediabilmente. Il presidente ha infatti detto che gli Stati Uniti tuteleranno i diritti umani degli afghani attraverso la diplomazia e non con le armi: veramente una strategia geniale per trattare con i talebani! E pensare che proprio Biden, nell'ottobre 2019, accusò Trump di aver abbandonato i curdi al loro destino in Siria. Un paradosso, aggravato dal fatto che il presidente, l'altro ieri, ha pronunciato un discorso interamente improntato alla tutela degli interessi nazionali americani. «Il nostro unico interesse nazionale vitale in Afghanistan rimane oggi quello che è sempre stato: prevenire un attacco terroristico alla patria americana», ha detto. Peccato che anche qui ci sia da eccepire. Primo: domenica scorsa i talebani hanno liberato vari esponenti di Al Qaeda, incrementando così il rischio terroristico per gli Stati Uniti. Secondo: ma Biden non era il presidente dell'«America is back»? Non doveva riportare gli Stati Uniti a guidare il mondo e a rilanciare le relazioni transatlantiche? Non una parola è stata spesa lunedì sugli alleati europei e sull'impegno da loro profuso in questi lunghi anni in Afghanistan. Un atteggiamento che avrà delle ripercussioni negative sui rapporti con il vecchio continente e che sta già minando la posizione di Washington nel suo confronto con Pechino. Il discorso di lunedì certifica il tracollo dell'internazionalismo liberal, nell'ambito di un conflitto che – giusto in partenza – ha finito poi col perdersi dietro esperimenti di ingegneria istituzionale tra l'altro mal condotti. Tutto questo, concludendosi nel peggiore dei modi. Spiace dirlo. Ma mai come ora l'America avrebbe bisogno di un presidente. E invece ha solo Joe Biden.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.