2024-03-20
Ecco la vera storia di Fini e dei suoi complici a sinistra nella guerra a Berlusconi
Gianfranco Fini (Imagoeconomica)
La casa svenduta al cognato è solo la punta dell’iceberg di un’intricata vicenda politica che, con la regia di Napolitano, puntava a fare fuori il Cavaliere da Palazzo Chigi.Il lettore Pasquale Graziano mi rimprovera il titolo di ieri, dedicato all’ex capo di Alleanza nazionale, per il quale i pm hanno chiesto una condanna a otto anni di carcere. «Non è da libertari», mi ammonisce: «Queste cose lasciale fare a comunisti e massoni o ai fascisti. Se ne volevi parlarne bastava un trafiletto a fondo pagina». Lungi da me voler emettere sentenze: a quelle ci penseranno i giudici il 18 aprile. Ma la nostra non era una condanna: semplicemente ci siamo limitati a riportare la richiesta di condanna dei pubblici ministeri nei confronti di un signore che non solo è stato un protagonista della storia della Repubblica, per lo meno di quella che viene impropriamente chiamata seconda, ma ha pure ricoperto un importante incarico istituzionale. È per questo che, pur considerandolo innocente come dice la Costituzione fino a che sia intervenuta una sentenza definitiva, ci siamo occupati di lui. Ed è per la medesima ragione che oggi voglio ricostruire la vicenda che lo ha portato sul banco degli imputati.Gianfranco Fini ha sempre negato di aver saputo che la casa di Montecarlo lasciata in eredità al partito di cui egli era presidente fosse stata ceduta al cognato per un prezzo irrisorio. E la madre delle sue figlie, Elisabetta Tulliani, lunedì è andata in suo soccorso, attribuendosi la responsabilità di avergli taciuto che l’acquirente dell’appartamento fosse il fratello. Allo stesso tempo ha scaricato su Giancarlo, da anni latitante all’estero, anche la responsabilità di aver riciclato i soldi del re delle slot machine. Insomma, l’ex presidente della Camera fu raggirato in famiglia: dal cognato prima, dalla compagna poi, la quale - parole sue - ha sentito il dovere di confessare le sue responsabilità solo l’altro ieri, a distanza di sette anni dall’avvio dell’inchiesta, prendendo la parola di fronte ai giudici poco prima che si chiudesse il dibattimento che vede Fini e i Tulliani (oltre ai due fratelli anche il padre) imputati di riciclaggio.Naturalmente è comprensibile che la donna cerchi di scagionare il papà delle sue figlie. Essendo a giudizio l’intera famiglia, la speranza è che almeno all’ex presidente della Camera possa essere evitato il carcere. La Procura ha chiesto nove anni per lei e come dicevo otto per lui, mentre per il fratello e il padre la richiesta è stata rispettivamente di 10 e 5 anni. Per come sono messe le cose, è difficile che i Tulliani escano indenni dal processo. Dunque, alla famiglia non resta che sperare che i giudici assolvano almeno Fini. Ribadisco, non faccio il pm e nemmeno il giudice, mi limito solo a ricostruire i fatti.Molti anni fa una nobildonna bergamasca lasciò al partito guidato dall’ex presidente della Camera un appartamento a Montecarlo, con la precisa indicazione che quell’eredità servisse a una buona battaglia, ovvero a rappresentare le idee della destra italiana. Certo non pensava che invece la casa sarebbe finita nelle disponibilità della famiglia Tulliani e non per una buona battaglia, ma per consentire ai membri della stessa di fare la bella vita. In realtà, attraverso alcune società estere e con i soldi ricevuti da un imprenditore assai discusso di nome Corallo, che risiedeva ai Caraibi forse anche per sfuggire alla giustizia italiana, l’appartamento monegasco a un certo punto fu comprato per una cifra irrisoria, pari a un sesto del suo reale valore, da Giancarlo Tulliani. Nel 2010, su segnalazione di un conoscente del collega Livio Caputo, ex vicedirettore del Giornale, che notò la presenza di Fini nel Principato, Gianmarco Chiocci, attuale direttore del Tg1, si recò a Montecarlo e suonò alla porta di quel condominio, facendo un po’ di domande. Siccome Monaco non è Milano o Roma, finì con il collega fermato dalla gendarmeria e l’inizio di uno scandalo che in capo a qualche anno avrebbe travolto lo stesso Fini, cancellandolo dalla scena politica. Il presidente della Camera negò fino allo spasimo che la casa fosse sua o del cognato, dicendo in una famosa intervista a Mentana, su La 7, che si sarebbe dimesso all’istante se si fosse dimostrato il contrario. In realtà, fu dimostrato che il vero proprietario era Giancarlo Tulliani, ma l’ex presidente di An si guardò bene dal mollare la poltrona. L’uscita di scena, infatti, la decisero gli elettori quando Fini, con il partito da lui fondato, si candidò al seguito di Mario Monti, ma lo zero virgola raccolto non gli bastò per tornare in Parlamento.Argomento chiuso, almeno dal punto di vista politico, se non da quello giudiziario? No, perché ancora oggi c’è chi, come Repubblica e La Stampa, parla di macchina del fango, di regolamento dei conti nel centrodestra. «La faida della destra, un caso giudiziario figlio della guerra sporca nata nell’allora Pdl», ha scritto il quotidiano sabaudo della famiglia Agnelli. «La vendetta di Berlusconi: intrighi immobiliari e macchina del fango», gli ha fatto eco il giornale gemello della nota casa. In realtà, non ci fu bisogno di alcuna macchina del fango, che non esiste e se esiste è in uso a Repubblica e affini, come si vede anche adesso con la vicenda dei dossieraggi. La storia è semplice: invece di vendere un appartamento ricevuto in eredità per finanziare il partito, An, di cui era presidente e padrone assoluto, Fini vendette a misteriose società nascoste in un paradiso fiscale e subito dietro il paravento si intravide la manina della famiglia Tulliani, oltre che di un imprenditore a capo di un gruppo poco trasparente, ma molto invadente. L’ex presidente della Camera dice che l’operazione, costata al partito almeno un milione mezzo di mancati ricavi, fu fatta a sua insaputa. E la compagna certifica, dicendo di avergli nascosto anche la provenienza dei soldi, cercando di scagionarlo dall’accusa di riciclaggio.Alcune cose però sono certe. La prima è che nel 2003 Fini trascorse le vacanze a Saint Marteen e proprio su quell’isola aveva la sua base l’imprenditore delle slot machine. La seconda è che nel 2003 era in discussione una legge che intendeva contrastare l’uso illegale di apparecchi e congegni di divertimento. La terza è che nel 2008 il cognato disse a Fini che una società sarebbe interessata a comprare la casa di Montecarlo e lo stesso ex presidente della Camera autorizzò la vendita senza curarsi troppo né dell’identità dell’acquirente né del prezzo di cessione, salvo poi scoprire che proprio Tulliani aveva affittato l’appartamento, mentre la sorella, cioè la madre delle sue figlie, lo aiutò ad arredarlo. Infine, nel luglio del 2010, l’ex leader di An scoprì che dietro alle società schermate c’era Corallo, l’imprenditore delle slot, e a dicembre, che il titolare effettivo delle fiduciarie era proprio il cognato. Pero si guardò bene dal rivelarlo. Siamo a dicembre di 14 anni fa e in Parlamento infuriava la battaglia per far cadere Berlusconi. Fu lo stesso Fini a fargli mancare i voti per indurlo alle dimissioni e sempre Fini che settimane prima andò da Mentana per respingere le accuse, parlando di macchina del fango e dicendosi pronto a dimettersi se avesse scoperto che il cognato o qualcuno della sua famiglia si fosse rivelato il vero proprietario della casa di Montecarlo comprata ai danni di An.In realtà, l’allora presidente della Camera, proprio in quegli stessi giorni, dicembre 2010, si rese conto che l’appartamento era intestato a Giancarlo Tulliani, il cognato, ma si guardò bene da ammetterlo e dimettersi. Fu lui stesso a dirlo davanti al giudice che lo interrogò. «Non resi pubbliche le conclusioni cui ero arrivato (e cioè che Tulliani era il proprietario occulto della casa, ndr) per timore che la incessante campagna politico giornalistica iniziata dopo la mia espulsione dal Pdl, tesa a costringermi alle dimissioni da Presidente della Camera, avesse successo in forza di quanto emerso dalle inchieste giornalistiche». Cioè, Fini si disse pronto a dimettersi se ciò per cui era criticato si fosse dimostrato vero, ma quando scoprì che era vero, anziché fare ciò che aveva giurato di essere pronto a fare, non si dimise perché se avesse lasciato sarebbe fallita l’operazione di far cadere Berlusconi. Come vedete, tralascio la storia dei soldi arrivati ai Tulliani da Corallo proprio in coincidenza della discussione della legge che regola i giochi. Tralascio le accuse di riciclaggio e tutto il resto che è stato pazientemente ricostruito dagli inquirenti con mesi, anzi anni, di indagine. Restano però un paio di fatti: non c’era nessuna macchina del fango, perché la storia raccontata da quelli che vennero descritti come i giornali di destra era tutta vera. Gli imbroglioni non stavano al Giornale o a Libero, ma in quelle testate che ancora oggi provano a nascondere la verità. Inoltre, c’è una questione politica. Fini dice di aver scoperto tutto a dicembre del 2010, ma invece di fare un passo indietro, come promeso, restò attaccato alla poltrona. Perché? La risposta è semplice: sperava di fare fuori Berlusconi e prenderne il posto. Gli andò male. Il Cavaliere cadde un anno dopo, ma a sostituirlo non fu lui. Nonostante le promesse, Napolitano infatti gli preferì Mario Monti con cui, ironia della sorte, nel 2013 Fini affonderà riuscendo ad acchiappare appena lo zero virgola. Meno della cifra a cui fu venduta la casa di Montecarlo.
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