2020-06-17
Se applichi la legge sull’aborto ti massacrano
Il ricovero per le donne che ricorrono alla pillola Ru486 vige in quasi tutta Italia e corrisponde ai dettami del ministero. Se lo impone la governatrice leghista dell'Umbria, però, è subito «ritorno al Medioevo». E Roberto Speranza chiede agli esperti un parere «aggiornato».Nella nostra curiosa nazione, talvolta, basta rispettare le norme per creare spaventosi sconquassi. È accaduto in Umbria, dove la giunta regionale - guidata dalla leghista Donatella Tesei - ha preso un provvedimento del tutto conforme alla legge, eppure viene trattata dai giornali come una congrega di malfattori. Che cosa hanno combinato i perfidi umbri? Hanno stabilito che le donne intenzionate a sottoporsi all'aborto farmacologico (tramite la famigerata pillola Ru486) dovranno rimanere in ospedale tre giorni per accertamenti. Viene forse impedito alle donne di abortire? Nemmeno per idea. Sia l'interruzione di gravidanza farmacologica sia quella chirurgica sono regolarmente consentite. Semplicemente, a tutela della salute femminile, coloro che assumono la pillola abortiva dovranno essere ricoverate per evitare complicazioni. Per altro, non si tratta di una iniziativa stravagante della Regione. Le linee guida del ministero della Salute, pubblicate nel 2010 (non secoli fa, dunque), spiegano che la Ru486 «deve essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla predetta legge e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto». È sempre il ministero a precisare che «l'atto farmacologico si articola in un percorso temporale piuttosto lungo, quasi mai inferiore ai tre giorni e vi sono implicazioni estremamente importanti dal punto di vista psicologico sulla donna che ha deciso di seguire questo difficile e doloroso percorso». Insomma, a consigliare i tre giorni di ricovero sono le autorità sanitarie. Non è tutto. La procedura, comprensiva di ricovero, è adottata da tutte le Regioni italiane tranne Emilia Romagna, Lombardia, Liguria, Toscana e Lazio, che da qualche tempo hanno avviato protocolli che consentono la somministrazione della pillola abortiva in day hospital (in pratica le donne ritirano il farmaco, firmano e se ne vanno). Questi sono i fatti. Significa dunque che l'Umbria a trazione leghista non ha «riportato indietro l'orologio della Storia», ma ha soltanto deciso di applicare una procedura standard, invertendo la tendenza rispetto alla decisione della precedente amministrazione rossa. Eppure i titoli dei principali quotidiani forniscono una versione decisamente raccapricciante: «Il dietrofront dell'Umbria sull'aborto», grida Repubblica. «Umbria, l'aborto negato», sbraita La Stampa. «Aborto farmacologico, la clava della Lega», tuona il Manifesto. Ovviamente, come responsabile dell'odiosa macchinazione, viene indicato il leghista Simone Pillon, dipinto come l'orco antiabortista che, invece di limitarsi a mangiarli, si ostina a voler far nascere i bambini. Le critiche più feroci arrivano, tramite La Stampa, dalla filosofa Michela Marzano. A suo dire, «la triste lezione che possiamo trarre dalla vicenda umbra è proprio questa: chi oggi ha il potere non accetta il pluralismo dei valori, e non sopporta che una persona possa voler vivere in base a una concezione del bene diversa dalla propria». Su un aspetto la Marzano ha totalmente ragione: il potere oggi non accetta valori diversi dai propri. Il punto è: di quale potere stiamo parlando? La filosofa accusa di intolleranza i leghisti umbri, però, a ben vedere, l'odio per il pluralismo risiede altrove. A non accettare una «concezione del bene diversa dalla propria» sono le forze progressiste, a cominciare dai giornali che raccontano il caso umbro come un intollerabile ritorno al Medioevo. Sono le associazioni come l'Unione donne italiane, che ha già pianificato una serie di proteste. Sono i politici come Laura Boldrini, che su Twitter accusa la Tesei (benché donna) di «oscurantismo». Sono i presenzialisti dell'indignazione come Roberto Saviano che su Twitter parla di «decisione gravissima, irrazionale e irrispettosa». L'Umbria rispetta la legge, difende la vita (come previsto dalla 194) e si preoccupa della salute delle donne seguendo le indicazioni ministeriali. Ma secondo la Marzano e gli altri «democratici» alfieri del «pluralismo» ciò è insopportabile. Il pensiero pro vita non è ammesso. Così come non è concesso opporsi alla retorica dell'omotransfobia, tanto che stanno imbastendo appositamente una legge bavaglio. I «pluralisti» di sinistra sarebbero addirittura pronti a cancellare l'obiezione di coscienza esercitata da tanti medici, se ne avessero l'occasione. Il nuovo dogma prevede che l'aborto farmacologico debba essere implementato, e chi non obbedisce è un mostro, un fanatico. I cari «democratici» accusano di intolleranza chi ottempera alle norme, ma sono i primi a forzare la legge quando si tratta di adozioni gay, utero in affitto e altre delizie di tal fatta. E infatti, in nome della «pluralità» di opinioni, il ministro della Salute, Roberto Speranza, ieri è intervenuto prontamente per sedare nel sangue la ribellione umbra. Il ministro ha chiesto al Consiglio superiore di sanità di esprimere un parere «alla luce delle più recenti evidenze scientifiche», per «capire se la salute della donna sia tutelata anche con il semplice day hospital». Chiaro: se il parere scientifico non si adatta all'ideologia, urge formularne uno nuovo e gradito al più presto. È il pluralismo liberal: puoi avere tutte le idee che vuoi, basta che siano uguali alla mia.