2023-02-14
La sparata del Cav dà voce all’Italia silenziata
Silvio Berlusconi (Imagoeconomica)
Le frasi del Cav non cambieranno la linea del governo ma vanno prese sul serio. Della guerra bisogna discutere senza censure.In qualche modo difficilmente spiegabile, Silvio Berlusconi è riuscito a conservare almeno una fettina dei suoi super poteri. Quando vuole, e quando la sua corte lo lascia libero di essere pienamente sé stesso, il Cavaliere riesce ancora a intercettare alcune delle frequenze che sfrigolano sotto la pelle della nazione. Ed è inutile girarci troppo intorno: le frasi che ha pronunciato sulla questione ucraina - con tutti i loro limiti che fra poco andremo a esplorare - sono condivise da una buona parte degli italiani, forse addirittura dalla maggioranza. Come noto, uscendo dal seggio elettorale a Milano, domenica, Berlusconi ha sganciato un paio di bombe in favore di microfono. Ha preso di mira Zelensky, e senza nemmeno troppi fronzoli: «Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto. Quindi giudico molto, molto negativamente il comportamento di questo signore», ha detto. Poi ha alzato la posta: «Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili», ha dichiarato ai giornalisti. «Per arrivare alla pace, il signor presidente americano dovrebbe prendersi Zelensky e dirgli: “È a tua disposizione dopo la fine della guerra un piano Marshall per ricostruire l’Ucraina dal valore di 6, 7, 8, 9 mila miliardi di dollari, a una condizione: che tu domani ordini il cessate il fuoco, anche perché noi da domani non vi daremo più dollari e non ti daremo più armi”. Credo che solo in questo modo si potrebbe convincere questo signore ad arrivare ad un cessate il fuoco». Per amore di verità si dovrebbe precisare che non è stato Zelensky a dare il via all’assalto al Donbass, al massimo gli si può imputare di non averlo fatto cessare, questo sì. Ma poco cambia ai fini del dibattito politico nostrano, dilaniato dalle deflagranti uscite del Cav. I primi a trovarsi in difficoltà, ovviamente, sono i rappresentanti di Forza Italia, a partire dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a cui certamente l’intemerata non ha giovato, come è facile evincere dalle precipitose smentite che lui e i colleghi azzurri si sono affrettati a imbastire. Un imbarazzo che si estende a tutto l’universo politico-mediatico berlusconiano che nei mesi passati si è dedicato alla caccia al putiniano dimenticando le posizioni del capo. Il quale, non c’è dubbio, non è fraintendibile, anche perché non è la prima volta che si lascia andare a commenti acidi su Zelensky (propose di sostituirlo con «brave persone», tra le altre cose). Poi, certo, ci sono rogne anche per gli alleati di governo. Le esternazioni hanno infastidito non poco Giorgia Meloni, che probabilmente era tra i bersagli di Silvio. E persino il Pd, che pure ha gioco facile ad affettare indignazione, si espone a cortocircuiti: dopo aver riabilitato il Cavaliere conferendogli il ruolo di statista in chiave anti meloniana, ora deve fare attenzione a stracciarsi le vesti. Quanto al povero Giuseppe Conte, si trova all’improvviso scavalcato sulla linea del fronte. Detto questo, l’impatto politico reale delle estemporanee berlusconate è rapidamente misurabile. Il governo certo non cambierà rotta, e nella maggioranza non si aprirà alcuna discussione sul tema ucraino o sulla fornitura di armi, anzi. Dunque gli sbocchi possono essere due: manifestare l’insofferenza del Cav (del resto piuttosto nota ai più) per il ruolo secondario rispetto al presidente del Consiglio e magari, chissà, guadagnare un paio di voti in più alle Regionali. Fine dello spettacolo. Resta tuttavia sul tavolo il tema principale. Le frasi di Berlusconi - quelle di domenica come quelle analoghe proferite mesi fa durante un incontro fra esponenti azzurri - saranno scombinate e inopportune finché si vuole, saranno strumentali e velenosette, ma non sono per niente folli. E, soprattutto, manifestano un pensiero che in Italia esiste ed è forte. Ed è esattamente qui che gli scherzi finiscono. Interrogarsi sull’esito del conflitto è legittimo. Di più: doveroso. Eccepire sulla linea di Zelensky - uno che ha annientato l’opposizione interna e continua a spingere sull’acceleratore dell’escalation - è indice di buon senso. Bussare alla porta della Casa Bianca per chiedere conto è un esercizio forse velleitario, ma fornisce un quadro onesto degli eventi. Invece di inveire contro Berlusconi - il quale regge la parte per convinzione e pro domo sua - dovremmo chiederci per quale motivo non sia concesso discutere pubblicamente di tutto questo. Tocca prendere atto che in questo momento esiste un vuoto di rappresentanza persino più notevole di quello che esisteva ai tempi del Covid. I tanti italiani contrari all’invio di armi che non intendono combattere fino all’ultimo ucraino o scatenare la guerra mondiale in nome della presunta democrazia di Kiev, fino ad oggi, non hanno avuto voce in Parlamento. O comunque hanno trovato rappresentanti non molto più credibili di Berlusconi (forse addirittura meno). Se le posizioni critiche - silenziate tramite accusa di putinismo o fascismo - fossero state considerate e esaminate, forse le boutade cavalieresche avrebbero meno peso, e di sicuro il confronto politico sarebbe stato più serio e concreto. Il risultato di un anno di ostinata mordacchia, invece, è che oltre la farsa - da un lato e dall’altro - non si riesce ad andare. E le più che ragionevoli istanze di tanta parte della popolazione rimangono lettera morta. O, peggio, terreno di scontro per lotte intestinali più che intestine.