2020-09-17
La sinistra si nasconde dietro al «fascismo eterno» per spiegare la violenza
Per gli intellò l'origine di tutti i soprusi è a destra, ogni autorità è negativa e il maschio è «tossico» in sé. Spazzando via la figura paterna però la furia animale non ha limiti.Viene da pensare che, per loro, sia un modo per sentirsi al sicuro, una forma di protezione. Si nascondono dietro al fascismo per timore di dover fare i conti con le proprie responsabilità, poiché evocare le «forze oscure» permette, in fondo, di lavarsi la coscienza, e di evitare una riflessione seria sulla società che abbiamo costruito. Anche ieri - proprio mentre faticavano a scrivere che un immigrato irregolare aveva accoltellato a morte don Roberto Malgesini a Como - i giornali italiani abbondavano di riferimenti alla «cultura fascista». La quale - secondo gli acuti osservatori progressisti - ammorba l'Italia causandone tutti i mali. Su Repubblica, Luigi Manconi spiegava che definire «fasciste» le violenze di Colleferro e di Caivano è «giusto», anche se con il fascismo storico, la marcia su Roma eccetera non hanno nulla in comune. A sostegno della sua affermazione, Manconi citava un testo di Umberto Eco, che Repubblica proprio in questi giorni ha offerto gratuitamente ai lettori. Si tratta di un pamphlet intitolato Il fascismo eterno, e possiamo considerarlo come il seme ideologico che ha scatenato la «psicosi nera» in cui siamo immersi da qualche anno. Eco elaborò in quel libretto la categoria di «Ur fascismo». Che sarebbe tra le altre cose, come ben riassume Manconi, «la propensione perenne della personalità autoritaria», e ancora «la tensione a tradurre la volontà di potenza in campo sessuale in machismo aggressivo». In buona sostanza, Eco ha sottratto il fascismo alla storia e lo ha tramutato in una categoria antropologica. Lo ha sovrapposto alla violenza, al machismo. Il risultato è che oggi ogni forma di autorità viene rifiutata in quanto fascista, persino il maschile nel suo complesso diventa automaticamente qualcosa di negativo, oppressivo, «tossico». Ed è qui il gigantesco equivoco. Combattendo ogni autorità, eliminando il principio maschile, non si elimina la violenza straripante e insensata vista a Colleferro e altrove. Anzi, la si alimenta. Luigi Zoja, analista junghiano insospettabile di simpatie destrorse, qualche anno fa ha pubblicato un bel libro sulla violenza degli uomini intitolato Centauri. Egli sostiene che il padre sia «il prodotto di una evoluzione recente, culturale più che biologica». Il padre - a livello di simbolo - «non corrisponde tanto a certi istinti, quanto a un loro controllo». Scopo del padre era quello di «porre limiti nell'interesse della famiglia». Controllava e limitava gli istinti, insomma, oppure li incanalava nella giusta direzione. Uccidendo il padre, aggiunge Zoja, «non compare il mondo più rotondo della Grande Madre, che antropologia, piscoanalisi e femminismo hanno rivestito di seni nutrienti e condotte affettive: riemerge invece direttamente un maschio animale». Ecco quello che è accaduto: il padre era già stato ferito a morte all'inizio della modernità, poi la sua identificazione con il fascismo autoritario ha dato il colpo finale. Solo che distruggere il padre significa eliminare i limiti e i confini, lasciare il campo libero a pericolosi adulti-bambini in preda agli istinti, anche i più bestiali. Continuare a parlare a sproposito di «cultura fascista», dunque, rende torbide le acque e impedisce di entrare a fondo nel problema. La brutalità di Colleferro non è frutto di una tendenza «reazionaria» o «nera» alla prevaricazione dittatoriale del più debole. Tutt'altro. Scaturisce invece dall'assenza di un confine, dalla liberazione dell'animalità che ci trasporta tutti in un campo di battaglia in cui vale soltanto la legge del più forte, e dove per i più deboli e indifesi non c'è alcuna pietà. Un terreno di guerra in cui il «bullo», il «gangster» è ammirato perché prevale. Lo ha scritto bene un altro uomo di sinistra, il regista Daniele Vicari, autore di un libro inchiesta sulla storia di Emanuele Morganti, ucciso nel 2017 ad Alatri, in circostanze simili a quelle in cui ha trovato la morte Willy. Vicari non cita «i fasci», ma fa notare che il problema sono quei «bravi ragazzi un po' agitati» che «comprano auto che non potrebbero permettersi e una sera, dopo aver “pippato" un po' troppo, ammazzano l'innocente che si trova lì “nel momento sbagliato nel posto sbagliato"». Il regista ricorda anche che, quando Morganti fu ucciso, «c'era Gentiloni al governo, un antipopulista totale, politico di vecchio conio». Segno ulteriore che ridurre tutto a una presunta degenerazione causata dal diffondersi del populismo conduce fuori strada. Persino un santino della sinistra come Nicola Gratteri, pochi giorni fa, ha deluso chi voleva tirarlo sulla pista nera. «Mentalità fascista? No a Colleferro c'è stata una mentalità mafiosa», ha detto a Otto e mezzo. Beh, forse Gratteri è andato abbastanza vicino alla verità. Non perché le cosche c'entrino materialmente qualcosa ma perché, in fondo, quella vista all'opera in terra laziale è la mentalità del «soldato» in stile Gomorra: «Mi prendo tutto quello che è mio». Ottenere tutto e subito, anche con la forza. Proprio come fanno i bambini capricciosi e cattivi, quelli che il papà non ha saputo educare.