2022-11-19
La sinistra in delirio da rosicamento è un danno anche per la democrazia
Dal terribile paragone di Furio Colombo tra la figlia di Giorgia Meloni e i bimbi morti in mare, ai lamenti di Roberto Saviano la crisi isterica dei progressisti sembra infinita. E il vuoto dell’opposizione rischia di essere riempito da altri.Confessiamolo senza ipocrisia, direi quasi spudoratamente. Per chi non vota a sinistra, ma soprattutto per chi si sente da anni ammorbato da quella che Marcello Veneziani ha efficacemente definito «la Cappa», leggere i giornali oppure dare uno sguardo ai social - in questi giorni - è fonte di divertimento irresistibile. Roba da rimanere con il sorriso per ore, magari dopo essere sbottati a ridere in faccia all’ignaro passeggero di fronte a noi in treno o sul bus: il quale non potrà mai sapere che avevamo solo finito di leggere una mezza pagina di Repubblica o della Stampa, oppure di vedere un clippino tv riprodotto e rilanciato da qualche valoroso su Twitter.Ogni giorno ce n’è una: un Furio Colombo in crisi isterica che sbrocca in diretta video, abbandonandosi a scombiccherati (e vergognosi) parallelismi tra la figlia di Giorgia Meloni in viaggio per Bali e i bimbi che muoiono nel Mediterraneo (a quel punto perfino un’esterrefatta Myrta Merlino ha dovuto prendere le distanze dal suo cotonatissimo ospite); un Roberto Saviano che frigna e si sbraccia nelle brevi pause in cui non insulta; una Lilli Gruber che ogni sera vibra di indignazione per le malefatte vere o presunte della destra, incitando anche gli ospiti più indolenti alla resistenza (rigorosamente a favore di telecamera); per non citare la sequenza dei Fabio Fazio, dei Marco Damilano, dei Massimo Giannini, ogni sera più luttuosi, più intristiti, più amareggiati, più piegati da eventi che non riescono a dominare. Ma come? Non solo la Meloni si è permessa di vincere, ma adesso continua imperterrita a crescere nei sondaggi? Nonostante tutti gli sforzi dell’Editorialista Unico e della Suprema Cupola Politicamente Corretta? Roba da impazzire: loro di rabbia, noi di risate. Varcando l’Oceano, è la sindrome ben fotografata dal trionfalmente rieletto governatore della Florida, Ron DeSantis, che, riferendosi ai mainstream media, ha sintetizzato: «Gli viene un attacco ogni mattina per il solo fatto che io mi alzi dal letto». Sostituite DeSantis con Meloni, e il gioco è fatto: per gli avversari, stessa ira repressa, stessi denti serrati, stesse voci stridule. Solo ieri, il menu dello psicodramma rosso prevedeva tre portate da leccarsi i baffi. Prima un Graziano Delrio lanciato «contro l’individualismo» e per «un’ecologia integrale», qualsiasi cosa ciò voglia dire (a quando le treccine stile Greta Thunberg?). Poi la quasi certa discesa in campo di Elly Schlein, già in battaglia - ci informa - per la redistribuzione «della ricchezza, del sapere e del potere». Di più: la Schlein ci fa sapere che, con la storia dell’articolo «il» invece che «la», quella di Meloni «è una leadership femminile ma non femminista, e non intende mettere in discussione il sistema di potere e la cultura patriarcale che permea la società». Mica pizza e fichi, concluderebbero a Cambridge. E infine non poteva mancare Michela Murgia: reduce da uno psichedelico dibattito con Rosy Bindi su «Dio queer» su Repubblica, ieri sulla Stampa ha bastonato Enrico Letta a colpi di schwa («Siamo stanch*»), promettendo o minacciando che lei e Saviano parleranno ancora «pagandone il prezzo in termini di esposizione extraprofessionale e assunzione della conflittualità». Fino all’anatema conclusivo scagliato contro il Pd: «Smettete di fingervi alternativi a questa destra, che sarà pure radicata nel più rozzo fascismo, ma almeno è coerente nel suo rapporto tra intenzioni e azione». Capito che botta? Coccolati da mamma Rai, vezzeggiati sui giornali d’area, portati in processione come (laiche) madonne pellegrine, e poi - sbam - arriva il ringraziamento degli intellettuali d’area: caro Pd, sei peggio dei fascisti. Ora, a prima vista, la destra potrebbe perfino rallegrarsi di questa situazione in cui in campo c’è una sola squadra, con avversari strutturalmente non competitivi. Diciamocelo: la Meloni, dal punto di vista dei sondaggi e del consenso, potrebbe perfino smettere di parlare. Fanno tutto quegli altri, lavorano per lei: litigando selvaggiamente, accapigliandosi ferocemente, sputacchiandosi reciprocamente, dando vita a un perenne lancio incrociato di pesci in faccia. E invece, a ben vedere, questa deriva deve preoccupare il centrodestra e qualunque osservatore ragionevole, almeno per quattro elementari ragioni. In primo luogo, perché una democrazia funzionante avrebbe sempre bisogno di una opposizione seria ed efficace, di un’alternativa pronta, di due schieramenti entrambi competitivi. In secondo luogo, perché è proprio il «vuoto» di politica a sinistra a produrre un «pieno» di sciocchezze, di parole sparate a vanvera, di distrazioni inutili o addirittura tossiche. In terzo luogo, perché, in mancanza di un’opposizione capace di incanalare il dissenso su binari razionali e costruttivi, il rischio è quello di campagne mediatiche improntate al terrore (si pensi al tremendismo sanitario che non a caso si riaffaccia prepotentemente) o volte a cavalcare una linea anti italiana (sull’immigrazione, sui conti pubblici, su qualunque vertenza che veda il nostro Paese in una relazione tesa con chicchessia). E infine, in quarto luogo, perché, davanti al fantasma dell’opposizione «ufficiale», può crearsi la tentazione - più o meno consapevole - di una sorta di indebita e anomala «surroga» da parte di Ue e Quirinale, come se toccasse a quei soggetti «fare argine» (non si sa bene a cosa: ah sì, alla volontà popolare manifestatasi nelle urne...), per «supplire» a una sinistra avviata a un destino di irrilevanza, com’è accaduto al partito socialista francese. In questo, per paradosso, il rischio di «commissariamento» vale più per l’opposizione che per la maggioranza: quest’ultima potrà essere al massimo osteggiata, imbrigliata, ostacolata (e si tratta di un pericolo da non sottovalutare); mentre è la sinistra a essere esposta al rischio esistenziale di essere cancellata e sostituita da «altro». Pensiamoci tutti, tra una risata e l’altra.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)