2020-08-11
La sete di gloria spinge Giuseppi nel tunnel
Proposta a sorpresa del premier: invece di annunciare il solito Ponte sullo Stretto, lancia l'idea di una galleria sottomarina. Peccato che non riesca nemmeno a sbloccare una delle 750 grandi opere già finanziate ma azzoppate da burocrazia e proteste.Giuseppe Conte vuole passare alla storia. Ma siccome non vuole legare il suo nome solo all'emergenza Covid, bensì essere ricordato come un grande statista che ha lasciato un'impronta da tramandare a futura memoria, ha in serbo per sé, e purtroppo anche per noi, una grande opera pubblica. Il presidente del Consiglio deve averci pensato a lungo, rimuginando sulla linea ad alta velocità Torino-Lione e poi sulla Tav Napoli-Bari. Ma dopo aver studiato i dossier delle Ferrovie, deve aver capito che l'infrastruttura in Val di Susa, ma anche quella per collegare il Tavoliere alla Capitale, non avrebbero mai potuto portare il suo nome, essendo entrambe figlie di tanti padri. Sono decenni che si parla di bucare la montagna che separa l'Italia dalla Francia per far correre i treni a 300 all'ora. E da altrettanto tempo si discute di come portare i collegamenti veloci nel Mezzogiorno. Ovvio dunque che questi progetti non potrebbero essere battezzati avendo come padrino il capo del governo, che dovrebbe limitarsi a mettere la prima pietra e, se gli alleati non lo rimandassero a casa prima, anche l'ultima. Tuttavia, nessuno di quest interventi potrebbe essere considerato davvero opera di Giuseppe Conte, costretto ad accontentarsi di un taglio del nastro. Troppo poco per la vanità dell'inquilino di Palazzo Chigi, il quale deve aver cominciato a coltivare in segreto qualche altro progetto in grado di soddisfare le proprie ambizioni.Probabilmente il premier ha scartato l'ipotesi di cui egli stesso tempo fa aveva parlato, ossia di rispolverare la vecchia idea del Ponte sullo Stretto. Un viadotto che unisse la costa calabrese a quella messinese, rendendo più facile raggiungere l'isola, era il pallino di Silvio Berlusconi, ma nessuno dei governi del Cavaliere è andato oltre agli annunci e ad alcuni studi di fattibilità. Conte deve aver pensato che questa era l'infrastruttura giusta per lui, che da uomo del Sud avrebbe potuto essere ricordato come il presidente del Consiglio che aveva avvicinato la Sicilia al continente, rendendo più facilmente raggiungibile Palermo. Ma poi forse lo hanno fatto riflettere sulla cacofonia di un viadotto con il suo cognome. Sì, un ponte Conte non suona bene e anche invertendo non funziona. Come si fa a chiamare conte un ponte e viceversa. No, se uno vuole lasciare un segno nella storia, magari con tanto di targa scolpita nel marmo o nell'acciaio, non può rischiare il ridicolo, altrimenti sarebbe un brutto colpo per la vanità personale. No, il ponte Conte non si poteva proprio fare, perché si rischiavano le risate e anche le storpiature, con il ponte Duca e Marchese, per non parlare poi del ponte decaduto in caso di guai. Il capo del governo deve aver studiato come uscire da questo pasticcio e alla fine ecco accendersi la lampadina e spuntare l'idea del tunnel. Se ci sono riusciti gli inglesi e i francesi a passare sotto la Manica, perché non dovrei riuscire io a fare lo stesso con lo Stretto? Essendo alla guida di un governo che in fatto di opere pubbliche non si tira mai indietro, Conte ha pensato che il tunnel era una grande pensata. Ovviamente, come spesso gli capita, non ha approfondito i dettagli, ma gli è bastato far circolare la voce nella speranza di capitalizzare un alto consenso. Nessuno deve avergli spiegato che un conto è passare sotto la Manica e un altro è scavare sotto lo Stretto, né che la profondità e le correnti complicherebbero le cose, per non dire poi dei soldi che sarebbero necessari per realizzare un'opera del genere. Il presidente del Consiglio non deve avere nemmeno bene riflettuto sugli umori della sua maggioranza, in particolare della componente grillina, che il cemento lo vede come il demonio, al punto da aver finora ritardato i lavori della Tav e di non aver autorizzato quelli della gronda di Genova. Chi glielo spiega poi a Ferruccio Sansa, il candidato pentastellato in Liguria, che sul partito del cemento ha fatto dei libri, che ora ha un presidente del Consiglio di calcestruzzo? Soprattutto chi lo dice agli italiani che si fa il tunnel sotto lo Stretto quando negli ultimi 50 anni non si è riusciti a fare il ponte sopra il medesimo? Per non dire poi delle 750 opere pubbliche ferme che, nonostante siano ritenute strategiche per il Paese e già finanziate, ancora non sono partite a causa degli intoppi burocratici e dei blocchi politici. A Messina, tanto per dire, aspettano da un pezzo la Tav che dovrebbe collegare Catania e Palermo, mentre in Toscana sono in attesa della Firenze-Pistoia e nel Lazio della Roma-Latina. Sì, insomma, per strade, ferrovie, scuole e ospedali non mancano i progetti e forse nemmeno i soldi. Ciò che non si riesce assolutamente a reperire è la voglia di realizzarli e soprattutto il coraggio. Ma forse a Conte tutto ciò non interessa. A lui, e al portavoce che lo ispira, interessa di più un titolo sul giornale. Del resto, come ha spiegato Rocco Casalino, i giornalisti hanno la memoria corta e al massimo si ricordano ciò che hanno scritto 48 ore prima. A qualcuno, per esempio, viene in mente di chiedere al presidente del Consiglio che fine hanno fatto i 400 miliardi per l'economia che aveva annunciato l'8 aprile, in piena emergenza Covid? Ovvio che no: così come nessuno fra una settimana si ricorderà di chiedergli della mancata zona rossa nella Bergamasca e del verbale sparito nel breve tragitto fra il comitato tecnico scientifico del ministero della Salute e Palazzo Chigi. No, è assai probabile che anche il progetto del tunnel sia destinato a inabissarsi nelle acque limacciose della politica italiana, che sono molto più oscure e infide di quelle dello Stretto. Lì infatti le correnti non lasciano traccia di nulla, neanche delle chiacchiere di Conte.
Bologna, i resti dell'Audi rubata sulla quale due ragazzi albanesi stavano fuggendo dalla Polizia (Ansa)
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)