2021-10-09
La sentenza che inguaia Di Donna
La Cassazione stanga Mario Benotti, il re delle mascherine, affermando che il suo è traffico d'influenze illecite. Reato identico a quello contestato all'ex collega di Giuseppi.Una sentenza della quarta sezione della Corte di cassazione demolisce le speranze del re delle mascherine Mario Benotti e, anche se indirettamente, potrebbe abbattersi sull'inchiesta in cui sono coinvolti l'avvocato Luca Di Donna e la cricca del 5 per cento. Perché la massima che se ne ricava, riportata anche sul quotidiano giuridico della Wolters Kluwer, è destinata a fare giurisprudenza: «In tema di traffico di influenze illecite, è configurabile il reato previsto dall'articolo 346 bis del codice penale nella condotta dell'imprenditore che, sfruttando i rapporti di amicizia con il titolare della struttura Commissariale costituita nel periodo di emergenza Covid 19, ottenga per sé benefici economici, nella specie costituiti da cospicue percentuali per l'attività di intermediazione con fornitori italiani corrispondenti di aziende fornitrici estere di presidi chirurgici, non rilevando il mancato avvio di procedure di evidenza pubblica, potendo il commissario straordinario avvalersi per legge, nell'attuazione dei suoi compiti istituzionali durante il periodo emergenziale, di «soggetti attuatori e di società in house, nonché delle centrali di acquisto»».Benotti aveva impugnato, tramite i suoi legali, un decreto di sequestro preventivo dei saldi attivi sui suoi rapporti bancari per 872.000 euro. Il sequestro era stato disposto perché all'indagato viene contestato di aver svolto attività di mediazione illecita, basata esclusivamente sulla sua conoscenza personale con Domenico Arcuri, in quel momento commissario straordinario per l'emergenza Covid, per oltre 800 milioni di dispositivi di protezione individuali (Ffp2 e Ffp3). Mascherine per le quali la struttura del commissario ha pagato oltre un miliardo di euro a tre società cinesi individuate attraverso l'intermediazione dell'ingegnere Vincenzo Tommasi, titolare della Sunsky srl, che, a sua volta, si era rivolto a Jorge Solis della Guernica srl (formalmente intestata alla figlia). I giudici della Suprema corte ritengono che «il Tribunale ha posto in rilievo le circostanze di fatto relative allo sfruttamento, da parte dell'indagato, del suo stretto e risalente rapporto di conoscenza con Arcuri (preesistente alla nomina di quest'ultimo a commissario straordinario) al fine di privilegiare Tommasi (e gli altri mediatori, ndr) nella procedura d'acquisto di mascherine dalle tre società cinesi con le quali i coindagati erano già in contatto». Ma le randellate non sono finite: «L'esistenza del rapporto confidenziale», è scritto in sentenza, «era ben conosciuta da Tommasi, il quale in uno scambio di messaggi intercorso l'11 marzo 2020 aveva commentato con Benotti l'imminente nomina di Arcuri (formalmente avvenuta il 18 marzo)». Non solo: «Già prima dell'11 marzo Benotti aveva fatto riferimento, nelle sue interlocuzioni con Tommasi, alla conoscenza di Arcuri, affermando di aver contribuito alla stesura del suo decreto di nomina, dando alcuni suggerimenti al riguardo». I due, inoltre, si erano già organizzati nei primi giorni di marzo per «sfruttare il periodo dell'emergenza sanitaria e le relative possibilità di concludere affari legati alla fornitura delle mascherine grazie al canale preferenziale rappresentato dallo stesso Benotti». Secondo i giudici, ad affare concluso, Tommasi ha poi riversato la quota a Benotti «per l'attività di intermediazione da lui direttamente prestata (attraverso innumerevoli contatti telefonici, 1.282, intercorsi con Arcuri nel periodo ricompreso tra gennaio e maggio 2020)». Benotti, insomma, «si era accreditato con la struttura commissariale per il solo motivo di essere amico di Arcuri». In conclusione: «In assenza dell'intervento effettuato da Benotti presso Arcuri e la relativa struttura commissariale», evidenziano i giudici, «l'offerta promossa da Tommasi per conto delle società cinesi non sarebbe stata neppure avanzata».