
Per comprendere quali siano davvero, in Italia, gli spazi per la libera espressione è molto utile osservare quanto accade in Emilia-Romagna, Regione in cui la cultura progressista è prevalente e saldamente intrecciata al potere. Giorni fa l’assemblea legislativa regionale ha approvato una risoluzione presentata da Avs e M5s il cui scopo sarebbe quello di «tutelare la salute e la dignità delle donne».
In che modo? Facile: «Fermando le manifestazioni anti-abortiste davanti a consultori e ospedali». Secondo Paolo Trande, consigliere regionale di Avs, «non ci sono più alibi: assessorato regionale, direttori generali delle aziende sanitarie, conferenze territoriali socio-sanitarie discutano e chiedano a prefetti e questori di spostare in altra sede, a debita distanza dai luoghi di cura, le manifestazioni anti-194».
Per Lorenzo Casadei (M5s), la nuova norma serve a impedire che le strutture sanitarie «diventino spazi di condizionamento ideologico o giudizio morale». Manifestazioni antiabortiste, condizionamento morale e ideologico: che orrore è mai questo? Che cosa faranno mai i temibili pro vita? Ovviamente niente di violento o intollerante: si limitano a organizzare momenti di preghiera. Lo faceva persino don Oreste Benzi, anzi fu forse lui a introdurre questa pratica in Italia. Parliamo di un sacerdote considerato progressista, molto lodato anche a sinistra. Eppure, anche il suo lascito va bene solo finché non disturba troppo il manovratore. I pro vita, insomma, non insultano, non aggrediscono, niente di tutto ciò. Pregano.
Ma ora, grazie alla legge emiliana, la preghiera è proibita, è considerata offensiva e pericolosa, fonte di «condizionamento». Ecco però la suggestiva contraddizione. Tutto ciò che ha a che fare con la religione non è molto gradito, è considerato cosa da bigotti, intolleranti e odiatori.
Del resto hanno detto così anche di Charlie Kirk per via delle posizioni e della sua identità spirituale. Eppure, guarda un po’, in qualche caso persino la religione diviene presentabile e accettabile. Ciò avviene, ad esempio, quando ci troviamo al cospetto della «teologia queer». Che cosa sia non è ben chiaro nemmeno a chi la propugna, però va molto di moda perché ricalca le istanze arcobaleno. A differenza delle preghiere pro vita, dunque, questa piace alla Regione Emilia Romagna, la quale patrocina il festival De-genere che si terrà a Cesenatico dal 3 al 5 ottobre.
Tra i vari appuntamenti in programma, tra un asterisco e un appello alla fluidità, c’è pure un bellissimo incontro con Daniela Di Carlo, pastora della chiesa valdese. Ci domandiamo, seguendo la logica e non le nostre posizioni politiche: se le preghiere sono condizionanti dal punto di vista ideologico non lo sono anche gli incontri queer? E perché allora questi vanno bene e quelle no? E ancora: perché i cattolici che pregano meritano di essere cacciati e oscurati mentre la pastora valdese si merita approvazione e patrocinio? E perché le associazioni pro life vengono costantemente osteggiate e vilipese benché la legge le garantisca mentre ogni attivista che intenda mettere in piedi una manifestazione sulla fluidità e la decostruzione del genere ottiene fondi e appoggi?
La risposta in realtà la conosciamo: perché in questa finta liberal democrazia solo alcune posizioni sono ammesse, solo alcune idee trovano cittadinanza. Cioè quelle che fanno comodo al potere prevalente (che non è esattamente sovrapponibile a chi sta al governo, anzi). Chi esce dal recinto dei presunti buoni, merita la mordacchia. A chi obbedisce, ogni onore e gloria nei secoli.






