2022-04-09
La riorganizzazione di Tim mette in crisi il rapporto coi servizi segreti
Pietro Labriola (Pier Marco Tacca/Getty Images)
L’accorpamento delle funzioni tocca il ruolo della security normato da un decreto: scelta tra una terna proposta dal Dis.Tim in questi giorni ribolle. L’azienda ora guidata da Pietro Labriola è impegnata su diversi fronti. Interno, in una riorganizzazione che punta a fare sinergie ma soprattutto risparmi. Su un fronte esterno, nella gestione dei rapporti con l’azionista Cassa depositi e prestiti, con il fondo Usa Kkr, che da mesi annuncia una Opa, e con il fondo Cvc che sembra invece trovare maggiori sponde magari con l’obiettivo di chiudere un cerchio che sia un po’ anche un mucchione finanziario. Al centro di tutto l’azionista di riferimento, i francesi di Vivendi. Questi ultimi hanno compattato i rapporti all’interno dei vari ambienti di riferimento, sia il Mef sia Palazzo Chigi. Salvo scivolare giovedì su una buccia di banana e in un sol colpo fare pesantemente irritare i vertici dei nostri servizi segreti, il Dis guidato da Elisabetta Belloni. Labriola a quanto risulta alla Verità ha convocato Stefano Grassi, responsabile della Security per comunicare la decisione di accorpare diverse funzioni sotto l’ombrello della public policy e affairs. Al cui vertice Labriola vorrebbe mettere l’attuale numero uno di Telsy, Eugenio Santagata, già a capo di Cy4gate e alla luce degli incarichi attuali e precedenti non distante dai vertici delle agenzie di intelligence. Grassi, già ufficiale della Gdf e in precedenza affidatario di incarichi delicati come la sicurezza di Poste e l’amministrazione dei beni di Mafia Capitale, si troverebbe a fare un passo indietro. C’è però un dettaglio. Tim, visto i dati che tratta, non è una azienda ordinaria. La nomina all’ufficio della Security non può avvenire in modo indipendente. Esiste un decreto della presidenza del Consiglio, che La Verità ha potuto visionare, all’interno del quale, considerata la presenza dei francesi di Vivendi, sono inserite diverse prescrizioni e obblighi. Nello specifico il decreto impone a Tim e alle società controllate l’obbligo di comunicare ai vertici dell’intelligence la necessità di un avvicendamento e successivamente scegliere il manager da una terna proposta da Palazzo Chigi e dall’intelligence stessa. La norma né giovedì né ieri è stata in alcun modo violata. Non sappiamo se per intervento dell’ufficio legale o per una ponderazione della dirigenza. Solo che l’incidente diplomatico si era già consumato. Si tratta di incarichi molto delicati. E la prassi imporrebbe un contatto con qualche vice direttore se non direttamente con Elisabetta Belloni. D’altronde nei momenti delicati del 2018 quando il fronte guidato dal fondo Elliott e da Cdp impose un cambio di passo rispetto al precedente assetto che vedeva al comando proprio i francesi di Vivendi, le deleghe più delicate, quelle sulla sicurezza, finirono in stand-by: vennero assegnate a Grassi temporaneamente. Incarico a tempo, «perché sulle strategie per la difesa e la sicurezza nazionali è in corso un’interlocuzione con il Comitato di coordinamento di Palazzo Chigi per arrivare a un assetto finale», scriveva Huffington Post, riportando un comunicato diramato al termine della prima riunione del nuovo consiglio d’amministrazione. «Il tema, tuttavia, è anche, anzi soprattutto, politico. Come finirà questa interlocuzione?», si interrogava il sito. Una domanda che torna più che mai di attualità. E spiega l’irritazione di chi guida la sicurezza del Paese ed è garante di asset così delicati. Intanto Labriola e il presidente Salvatore Rossi hanno preso carta e penna per far sapere agli azionisti quale sarà il riassetto del gruppo. «Le motivazioni e le logiche che guidano il progetto di riassetto e di riorganizzazione attualmente allo studio da Tim non rappresentano quindi un caso isolato, ma si inseriscono all’interno di un contesto che sembra evolvere in questa direzione», si legge nel testo. Progetti di valorizzazione di asset o attività di rete, ancorché su scala minore e più circostanziata, negli ultimi anni si sono intensificati sia in Italia (si pensi a Inwit e più recentemente a FiberCop) sia a livello europeo ed internazionale, soprattutto grazie all’interesse mostrato da parte dei fondi infrastrutturali: la nascita di soggetti interamente dedicati alla realizzazione di infrastrutture di rete ha come obiettivo il miglioramento dell’efficienza del mercato rendendolo più solido e sostenibile a beneficio dei consumatori e dell’intero settore», hanno detto Rossi e Labriola. Le sfide in effetti sono numerose, alcune toccano Tim ma passano dal ministero di Vittorio Colao. È infatti quasi scaduto il bando da 3,7 miliardi di euro per portare Internet veloce a 7 milioni di indirizzi sul territorio nazionale. Si tratta di 15 lotti - corrispondenti alle diverse aree geografiche - dove interverranno i vincitori dei finanziamenti. È il piano Italia 1 giga inserito nello schema del Pnrr. I vincoli imposti per evitare concentrazione degli appalti rischiano però di impattare sullo sviluppo della rete unica che per definizione porterà consolidamento del comparto e riduzione del numero dei player. Insomma, strategie opposte.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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