2019-06-15
Se questo è un prete. «Salvini? Giusto ucciderlo»
Invocava l'ictus per Silvio Berlusconi, ora bestemmia e invita a far fuori il ministro per legittima difesa. Come può restare prete?«La Messa è finita. Andate in pace e uccidete Salvini». Per quanto strano possa sembrare don Giorgio De Capitani è davvero prete. Può celebrare l'eucarestia, confessare, battezzare, confortare i moribondi. E, nel frattempo, invita i suoi fedeli a sparare al ministro dell'Interno. Possibile che a nessuno venga in mente di togliergli la tonaca? O, per lo meno, il vin santo? Alle esternazioni misericordiose questo prete della Brianza ci aveva abituato da tempo: è lo stesso che aveva invocato l'ictus per Silvio Berlusconi, aveva definito i nostri soldati in Afghanistan come «mercenari, farabutti e criminali» e aveva chiesto di tenere i leghisti fuori dalle chiese, definendoli «porci, bastardi, risucchiati nel water delle loro ideologie di merda». Non pensavamo, però, che il suo spirito caritatevole, oserei dire quasi di-vino, potesse arrivare fino a questo punto. Fino al punto, cioè, di lanciare un appello ai sicari per «far fuori» (testuale) Matteo Salvini. Ma sì: uccidetelo. Ve lo chiede il vostro don. In nome del Padre, del Figlio e dell'omicidio santo.Dalle sparate metaforiche alle sparate reali, il passo non è così breve. Eppure don De Capitani l'ha compiuto di gran carriera. In un suo audio, prontamente rilanciato da quei rabdomanti da fogna della Zanzara radiofonica, ha detto testualmente: «Salvini è un ladro, uccidiamolo». Aggiungendo: «Io elogio chi uccide Salvini». Il punto di partenza della sua (si fa per dire) analisi, è la legge sulla legittima difesa. «Se è lecito uccidere chi minaccia la nostra vita», argomenta (si fa sempre per dire) l'amorevole prete, «allora io ho il diritto di uccidere Salvini: infatti mi sento minacciato da lui perché ci sta rubando la democrazia». Quindi, continua, «lo posso fare fuori». E se lo fa qualcun altro, «io dico che ha fatta bene». Una provocazione? «Seguo soltanto il suo ragionamento». Come se un prete così avesse qualche cosa a che fare con la ragione. In effetti: la prima reazione, di fronte a simili esternazioni, sarebbe quella di chiamare direttamente l'ambulanza. Anche se in fondo don De Capitani, nella sua follia, non fa altro che rendere evidente ciò che altri, un po' più avveduti di lui, lasciano intendere: chi dice che Salvini è come Adolf Hitler, cioè un nazista, un fascista, un dittatore, un pericolo per la democrazia e per la libertà, automaticamente lo trasforma in un bersaglio. È chiaro, no? Chi uccide Hitler non è un assassino: è un partigiano. Un eroe. Il prete esaltato della Brianza non fa altro che portare alle estreme conseguenze il pensiero che attraversa molti intellettuali chic: di fronte a un nuovo Mussolini non basta alzare il ditino. Bisogna alzare le armi. Del resto don De Capitani l'aveva già detto: il ministro dell'Interno non è umano. Ergo, si può macellare. Come un vitello, per altro neppure troppo magro.La novità è che ora lo dice in modo esplicito. «È un ladro, uccidiamolo». Lo dice proprio così. E lo dice da prete, lo dice con la forza di chi vive dentro un'istituzione millenaria, di chi rappresenta non solo sé stesso ma l'intera Chiesa, il Papa, il vescovo, i suoi confratelli; lo dice con la stessa voce che dovrebbe annunciare il Vangelo e la misericordia di Dio, lo dice con quei paramenti che usa per celebrare messa e confessare i fedeli; lo dice trascinando nel suo gorgo d'odio una storia santa di beati e martiri che hanno donato la vita per testimoniare l'amore. Ed è scandaloso che tutto ciò non dia scandalo. È scandaloso che si liquidi questo delirio come se fossero normale. «Che ci volete fare?». «È don De Capitani». »È sempre lui». «È fatto così». Come se fosse davvero normale che un prete dica: «Uccidete Salvini».Perché il punto è proprio questo: don De Capitani è prete. A tutti gli effetti. Celebra ogni domenica alle 18 nella parrocchia di Dolzago, in provincia di Lecco. Ordinato sacerdote nel 1963, ha girato vari paesi della diocesi di Milano, fino al 2013, quando monsignor Angelo Scola gli ha tolto la gestione della parrocchia di Monte. Da allora vive a Villetta Brianza. Qualcuno lo chiama «teologo», anche se in realtà più che di Dio pare appassionato di politica. Prima di scrivere ho controllato il suo sito Internet: delle prime 10 notizie, 6 sono attacchi diretti alla Lega (siamo all'ossessione), poi c'è un articolo intitolato Con Berlinguer, un'intervista a Monica Cirinnà a favore dei matrimoni gay, un attacco alla diocesi «interdetta» e un inno all'eutanasia legato alla morte di Noa, la diciassettenne olandese. Il quale inno si conclude con la solita moderazione: «Prenderei per le palle il Papa, i cardinali, i vescovi, Mario Delpini e li appenderei ad un palo». In un angolo dell'home page si sfiora pure la bestemmia (anzi forse qualcosa più che sfiorarla): «Non c'è solo il “dio di m…." di Salvini», dice. E noi, illusi, che pensavamo che di Dio ne esistesse uno solo.Naturalmente il signor De Capitani, come libero cittadino, può dire, pensare e scrivere quello che vuole, al massimo risponderà in tribunale quando esagera. Ma come don no. E dunque ci domandiamo: come può tollerarlo la Chiesa? Come può tollerarlo ancora? Come può tollerare che domani salga sull'altare e consacri l'eucarestia? Che proclami la parola di Dio dopo aver elogiato l'omicidio? Come è possibile che il vescovo, così solerte a intervenire in tante occasioni meno gravi, non capisca la necessità di separare la strada di questo esagitato da quella dell'istituzione che rappresenta? O forse, e sarebbe peggio, c'è qualcuno che nella Chiesa condivide l'invito di don De Capitani? Forse quell'invito a «far fuori Salvini» è più apprezzato di quello che pensiamo? Magari proprio nelle alte gerarchie? Non ci vogliamo credere. Ma se nessuno interviene saremo costretti a pensarlo.