2022-08-04
La Pelosi a Taiwan è un assist a Pechino che spacca gli Usa
La Speaker criticata in patria per la visita a Taipei. Washington si mostra divisa davanti a un Dragone sempre più vicino a Vladimir Putin.Si è conclusa la visita a Taiwan di Nancy Pelosi, che è ripartita ieri per la Corea del Sud. Durante la breve tappa a Taipei, la Speaker della Camera statunitense aveva avuto modo di incontrare la presidentessa taiwanese, Tsai Ing-wen. «Oggi la nostra delegazione è a Taiwan per chiarire in modo inequivocabile che non abbandoneremo il nostro impegno nei confronti di Taiwan e che siamo orgogliosi della nostra amicizia duratura», aveva detto la Pelosi. Ringraziando la Speaker per il «sostegno incrollabile», Tsai Ing-wen aveva replicato: «Di fronte alle minacce militari deliberatamente aumentate, Taiwan non cederà». E non accenna a diminuire la tensione tra la Repubblica popolare e Washington. Il ministero degli Esteri di Pechino ha parlato ieri di «farsa politica», mentre 27 caccia cinesi hanno effettuato un’incursione nello spazio di difesa aerea dell’isola. Nelle scorse ore, la Casa Bianca ha cercato nuovamente di gettare acqua sul fuoco, ribadendo di non essere intenzionata a cambiare la cosiddetta politica dell’unica Cina. Nel mentre, l’editorialista del New York Times, Thomas Friedman, è andato all’attacco, bollando la visita della Speaker come «assolutamente sconsiderata». Ora, checché ne dica la propaganda del Partito comunista cinese, il viaggio di parlamentari occidentali sull’isola non è una violazione della sovranità di Pechino. Taiwan non è infatti una «provincia ribelle», visto che non ha mai riconosciuto né è mai stata sotto il controllo della Repubblica popolare cinese, istituita da Mao Zedong nel 1949. La Speaker aveva quindi pieno diritto di recarsi sull’isola, come sottolineato ieri in una nota anche dai deputati leghisti, Paolo Formentini ed Eugenio Zoffili. Il problema risiede semmai nel fatto che la Pelosi e Joe Biden avrebbero dovuto concordare preventivamente una linea comune a porte chiuse, anziché dare sfoggio di divergenza coram populo. Esattamente quanto purtroppo avvenuto, visto che - negli scorsi giorni - il presidente americano aveva lasciato chiaramente intendere di non apprezzare l’eventuale viaggio della Speaker sull’isola. Il nodo della questione non risiede quindi nell’aver «provocato» il Partito comunista cinese (che non ha alcun diritto su Taipei), ma nell’aver trasmesso a Pechino l’immagine di una spaccatura ai vertici delle istituzioni statunitensi. Un fattore che indebolisce la capacità di deterrenza della Casa Bianca nei confronti della Repubblica popolare e che potrebbe diminuire la sicurezza di Taiwan davanti ai rischi di un’invasione (ricordiamo che le incursioni militari cinesi nello spazio aereo dell’isola vanno avanti da ottobre, sulla scia della crisi afgana). Tutto questo si aggiunge alle divisioni sul dossier cinese già palesatesi in passato dentro la stessa amministrazione Biden, tra chi - come Tony Blinken - invoca (giustamente) la linea dura sui diritti umani e chi - come Janet Yellen - vuole un rapporto più disteso per esigenze commerciali. Senza poi trascurare l’inviato speciale per il clima, John Kerry, che è un fervido sostenitore della cooperazione ambientale con il Dragone. Va da sé che questi segnali contraddittori hanno effetti perniciosi: confondono gli alleati degli Usa nell’Indo-Pacifico e, al contempo, rendono Pechino più baldanzosa. La visita della Pelosi rischia quindi di rivelarsi un involontario assist alle mire imperialistiche cinesi, a meno che la Casa Bianca non si sbrighi finalmente ad elaborare una linea coerente, per rafforzare la sua capacità di deterrenza nei confronti di Pechino. C’è poco da fare: nel tenere a bada il Dragone, si avverte oggi la mancanza di Donald Trump e Mike Pompeo. Nel frattempo, si surriscalda la situazione nel settore dei microchip, di cui Taiwan è tra i principali produttori al mondo. La centralità geopolitica di Taipei sta d’altronde crescendo, man mano che Usa e Cina cercano di ridurre la loro dipendenza reciproca nel comparto hi-tech. Se l’isola cadesse nelle mani di Pechino, quest’ultima potrebbe bloccare la fornitura di semiconduttori all’Occidente o mettere in commercio merce di dubbia sicurezza. È quindi in un tale quadro che il Congresso americano sta chiedendo di inserire l’azienda tecnologica cinese Ymtc nella blacklist del Dipartimento del Commercio Usa. Se la mossa andasse in porto, Washington bloccherebbe la fornitura di materiale tecnologico a questa società (specializzata nella produzione di chip), infliggendo un duro colpo a Pechino. Continua frattanto il duello geopolitico tra Usa e Cina in Estremo oriente. La Repubblica popolare ha incassato l’appoggio di Russia, Iran e Corea del Nord nella crisi di Taiwan, mentre ieri il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si è recato in Myanmar: Paese ricco di terre rare, dove è al potere dall’anno scorso una giunta militare che, secondo il Council on Foreign Ralations, ha ultimamente consolidato i suoi legami con Pechino. Lavrov si sposterà poi a Phnom Penh, per prendere parte alle riunioni ministeriali nel quadro dell’Asean. A partecipare saranno anche Blinken e l’omologo cinese Wang Yi (che non dovrebbero tuttavia incontrarsi).
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