2021-11-30
La pacca sul sedere indigna i giornali. Monti che vuole censurarli invece no
La molestia subita da Greta Beccaglia in diretta tv ha suscitato grande clamore. Giusto condannare il gesto del tifoso (subito beccato), ma perché l’idea autoritaria dell’ex premier non genera scandalo?Una vergogna. Uno schifo. Una violenza. Un reato. La compilation delle reazioni social, uno tsunami emotivo che ha coinvolto politici (uomini e donne, da Laura Boldrini a Giorgia Meloni), artisti, giornalisti, sportivi, la sottoscriviamo convintamente pure noi. Casus belli: la «toccata e fuga» di Empoli in diretta tv, protagonisti i giornalisti Greta Beccaglia (allo stadio) e Giorgio Micheletti (in studio, che a caldo se n’è uscito con un «non te la prendere», per cui ha fatto ammenda), dopo la brillante iniziativa di un tizio che, passando in compagnia di altri tre, ha rifilato una pacca sul sedere alla signora. Soggetto ignoto, almeno fino alla breaking news delle 11.09 di ieri: «Beccato!». Manco si trattasse di Matteo Messina Denaro o di Saddam Hussein, quando il proconsole americano Paul Bremer gongolò in video: «We got him».Merito dei social che, aperta la caccia al reprobo, avevano intimato alle autorità competenti di attivarsi senza indugio. Si è felicitato uno: «Commissariato Ps Empoli, indagini per individuare l’uomo che ha molestato la collega dell’emittente Toscana Tv». Ha avvertito un altro: «Tra poche ore sapremo tutto di te, cog****e. Come ti chiami, cosa fai, le scuse che ti inventerai, magari sei sposato e con figli» (peccato che il tweet che chiede nome e cognome sia di un anonimo, non si sa con chi complimentarsi per la fatwa).«Speriamo che ti licenzino, Micheletti», ha fatto eco un terzo, «così poi anche noi ti potremo dire: non te la prendere, pezzo di me**a». Fino a Beppe Giulietti, presidente della Fnsi, il sindacato di noi iene dattilografe, che ha appeso il suo personale «Wanted» da Far West: «É già stato identificato il molestatore? Chi ha visto esca dalle nebbie e vada a denunciare», giusto: non sia mai ci sia omertà come sulla mafia, messaggio rivolto a una pattuglia di destinatari, tra cui spicca perfino il Viminale.Poche le voci in controtendenza. Che, non sminuendo la gravità del gesto, hanno segnalato il meccanismo maccartista dell’informazione «virale», virus virtuale dannoso quanto quelli reali.«C’è l’ubriaco che ha messo sotto una ragazza, la rom che ha occupato la casa dell’anziano, e il tifoso che ha dato una pacca sul sedere, tanto è uguale: qui le persone vogliono vedere il sangue, vogliono sapere se “tu, cog****e, hai moglie e figli”», ha osservato sconsolata una.«Volete la gogna sulla pubblica piazza?», ha aggiunto un’altra, rimarcando la specularità dei due gesti, diversi per gravità ma incivili entrambi, la pacca e la pacchia della deplorazione un tanto al chilo. Che un risultato tuttavia l’ha ottenuto: «Ti chiedo umilmente scusa, puoi ritirare la denuncia?», ha piagnucolato uno dei quattro rivolgendosi a Beccaglia, come i classici beoni da tastiera che, se vengono querelati, si trasformano in agnellini.Sarebbe bello se siffatta mobilitazione corale scattasse anche per altro, ma si sa: i social offrono il meglio di sé quando fanno risaltare le virtù non della vittima, ma di coloro che si precipitano a esprimere solidarietà (a costo zero). E infatti l’affermazione più saggia è quella di Beccaglia (che si è fatta «un mazzo così per diventare giornalista», parole sue tra scatti in minigonna e tacco 12 che ne sottolineano l’avvenenza): «Io posso difendermi, le altre no», ricordando in sostanza che la molestia sessuale a favore di telecamera è ciò che accade ogni giorno a tante altre donne sul lavoro (in contesti più «silenziosi» e inquietanti, ma che non essendo «webbabili», cioè privi di appeal per il Sinedrio degli Infallibili sul web, non suscitano altrettanta ripulsa).Potevano farsi sfuggire la ghiotta fotonotizia Corriere della Sera, Repubblica e Stampa, i giornali a più alta tiratura? Ovvio che no, e difatti l’hanno impaginata in prima, come secondo titolo. Qui vediamo disvelata un’altra legge della comunicazione contemporanea. Che è da «tempi di guerra».Copyright del già presidente del Consiglio Mario Monti.Il quale, ornato del laticlavio da democratico senatore a vita, da questa tesi ha fatto discendere - con aplomb bocconiano - un corollario da Mario Bin Loden, un ayatollah: «Bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione delle notizie» sul Covid. Espressione, si è corretto poi, «infelice e impropria». In effetti è più propria al Minculpop, con quell’immagine dei cittadini pecore all’ovile cui dispensare le novità «autorizzate» (e immaginate se l’idea balzana l’avesse partorita Ignazio La Russa...).Qual è dunque l’apertura di cotanti quotidiani? Ma sulla variante Omicron, naturalmente, per cui si è, Corriere dixit, «salvi con il vaccino». Non mi permetto certo di discutere la portata scientifica dell’assioma (essendo prossimo alla terza dose, mi auguro di cuore sia fondato). Tanto più essendo avallata dall’opinione dell’autorevole Sandro Abrignani del Cts: «È improbabile che il ceppo possa bucare la protezione». Ottima notizia. Davvero. Peccato sia subito contraddetta, perché a seguire c’è il colloquio col paziente zero: «Sto bene perché vaccinato». Ne siamo lieti, ma, di grazia, questo singolo caso cosa ci svela in più sulla variante sudafricana? Nessuno vede il cortocircuito di mettere in sequenza la rassicurazione, «improbabile che il ceppo possa bucare la protezione», e la sua immediata smentita, «lo scudo delle dosi» che si dimostra tutt’altro che imperforabile?Repubblica invece stampa «Covid, la nuova emergenza» sopra il titolo «Così ho scoperto Omicron», intervista alla dottoressa sudafricana Angelique Coetzee che spiega (virgolettato nel sommario): «Il grado di contagiosità è più o meno simile a quello della variante Delta». Ah, ecco.Però se poi uno prende La Stampa, che promuove «il G7 straordinario sulla salute» perorato dal ministro della Salute Roberto Speranza, inciampa in un altro titolo, e ripiomba nello sconforto: «Servirà una quarta dose» (così l’immunologo Alberto Mantovani). Argh!Insomma: i Detti e contraddetti del mitico Karl Kraus sono ormai il nostro pane quotidiano. Indigesto.Ribadiamolo e non rassegnamoci, almeno finché possibile. Su queste colonne, ma non sul piccolo schermo. In virtù del protocollo-fantasma «Beppe Severgnini» (da far invidia al Comma 22 di Joseph Heller: se c’è un pericolo lo si denunci, ma non parliamone se c’è un pericolo) per cui è concesso esternare perplessità ma «non in tv», ché quello è lo spazio per i diktat alla Monti, e «non in prima serata», per non turbare il sonno dei giusti. O almeno quello dei telespettatori (di Severgnini).